Il 24 gennaio i giudici della Corte ci faranno conoscere il loro parere sulla costituzionalità dell’Italicum e tutti assieme, non proprio appassionatamente, torneremo a discutere del nuovo – l’ennesimo – sistema elettorale in grado di risollevare la fiacca democrazia italiana. Ricomincerà l’eterna discussione tra i proporzionalisti e i maggioritaristi (per non dire dei «mististi», molto in voga nel nostro paese, e cioè quelli che vorrebbero «un po’ e un po’», convinti che per scovare il Sacro Graal dei sistemi elettorali basti mettere assieme «il meglio dei due mondi»); ci saranno coloro che in modo truffaldino suggeriranno ai potenti di turno la loro miscela magica in grado di garantire, in un sol colpo, rappresentatività e governabilità; non mancheranno poi i «simulatori», ossia quello stuolo di esperti elettorali, di ogni ordine e grado, che simuleranno scenari ipotetici sulla base di assunti irrealistici e di leggi elettorali alquanto improbabili; infine, verranno riesumati i latinisti della domenica, quelli che non hanno ancora capito che il gioco di affibbiare nomignoli col latinorum alle nostre vicissitudini elettorali è bello finché dura poco e, soprattutto, fino a quando non ci fa perdere di vista l’importanza della questione.
Se questo è tutto quello che ci aspetta, almeno per i prossimi tre o quattro mesi, ritengo sia utile fare un po’ di chiarezza su alcuni nodi fondamentali attorno ai quali verterà l’intero dibattito elettoralistico. Due, in particolare, mi paiono le questioni che meritano di essere approfondite e sulle quali intendo concentrarmi. La prima è l’idea di governabilità che, nell’assurda declinazione che ne danno i nostri soi-disants riformatori, è diventata soltanto un modo diverso/perverso per sostenere che i sistemi elettorali, nessuno escluso, debbano «fabbricare» maggioranze, e cioè trasformare minoranze elettorali, spesso infime, in maggioranze parlamentari. In questo modo, la (fraintesa) governabilità diventa soltanto una formula matematica, un prodotto di più o meno complessi algoritmi in grado di costruire maggioranze out of the blue, dal nulla. Allo stesso tempo, questa concezione – puramente aritmetica – offre enormi alibi ai nostri governanti: se non si raggiunge l’agognata governabilità, la colpa è sempre dei meccanismi elettorali imperfetti e mai dei «manovratori».
Fig. 1 – Maggioranze «naturali» e maggioranze «fabbricate» in 17 democrazie europee dal 1945 al 2016 (%)
Purtroppo, questa visione errata della governabilità, intesa scioccamente soltanto come stampella istituzionale per partiti traballanti, ha preso piede solo in Italia. Quasi dappertutto in Europa (vedi fig. 1), le maggioranze di governo non sono minoranze «camuffate» o premiate dallo specifico funzionamento dei sistemi elettorali, ma sono il frutto di accordi elettorali o parlamentari tra partiti relativamente affini che decidono di assumersi l’onere del governo per un periodo più o meno limitato di tempo. Al massimo, a parte alcune eccezioni (come la Francia o il Regno Unito, dove si vota con sistemi maggioritari in collegi uninominali), i meccanismi elettorali servono ad “irrobustire” maggioranze di governo, in modo tale da proteggerle dai ricatti di piccoli partiti o correnti. Ma non si può chiedere alle leggi elettorali di «assicurare» – addirittura la sera stessa delle elezioni – la formazione di una maggioranza in parlamento a partire da una minoranza di consensi nella società. È lungo questa china che la governabilità perde il suo significato originario e diventa un furbesco feticcio al quale si aggrappano tutti quei politici che non riescono a costruire credibili progetti di governo.
La seconda questione da precisare riguarda l’essenza stessa dei sistemi elettorali. Prima di azzuffarci attorno alle soglie di sbarramento, al grado di proporzionalità nella traduzione dei voti in seggi, ai ballottaggi più o meno eventuali dovremmo avere ben chiaro a che cosa servono i sistemi elettorali. Purtroppo, anche in questo caso il dibattito italiano sembra del tutto fuori fuoco, completamente concentrato su aspetti secondari, ad esempio la ricerca spasmodica del mix ottimale tra rappresentatività e governabilità (entrambe, peraltro, ampiamente equivocate). Prima di tutto e soprattutto, i sistemi elettorali servono a dare agli elettori il potere di scegliere parlamentari capaci di offrire reale rappresentanza ai loro concittadini e di prendere decisioni efficaci in tempi ragionevoli.
Per troppi anni abbiamo perso di vista il fatto che il miglior sistema elettorale è quello che favorisce la selezione e la formazione della migliore classe politica. E così siamo passati da un sistema elettorale (Mattarellum) che aveva cominciato a produrre i suoi benefici sulla qualità della rappresentanza parlamentare a sistemi (Porcellum e, in misura minore, Italicum) che hanno – o avrebbero – prodotto una «casta» di auto-nominati senza alcuna qualità, se non quella di una cieca fedeltà ai capi o capetti di partito ai quali devono la loro rielezione. Soltanto se la discussione sulla prossima legge elettorale ripartirà dall’essenziale, superando slogan sbagliati e fuorvianti, sarà possibile giungere a risultati positivi per la democrazia italiana e per i suoi cittadini.
gianfranco pasquino dice
E anche noi continueremo, non appassionatamente, ma sobriamente, civilmente e documentatamente, a presentare obiezioni, a formulare critiche, a indicare obiettivi degni di essere perseguiti, non tanto”la selezione della classe politica”, che dovrebbero fare i dirigenti e gli iscritti dei partiti, quanto dare potere agli elettori (a questo punto, sì, anche per selezionare la classe politica) e rappresentanza ai cittadini. Soltanto una classe di parlamentari competenti e rappresentativi riuscirebbe/rà a garantire la governabilità, che non è prendere decisioni frettolose, ma produrre decisioni buone, verificabili, riformabili.