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Riforma costituzionale a cinque stelle

14 Febbraio 2019 di Maurizio Griffo 1 commento

Il Movimento 5 stelle si è caratterizzato fin dagli esordi per un tenace conservatorismo costituzionale. Intransigenti difensori della ‘costituzione più bella del mondo’, i grillini hanno sempre presentato qualunque tentativo di ammodernamento della nostra carta fondamentale come un pericoloso attentato alle libertà fondamentali voluto dai ‘poteri forti’. Una deriva argomentativa che in più di una occasione non ha mancato di evocare il complotto plutogiudeomassonico di non felice memoria.

A questa corruzione della politica si contrappone la purezza della volontà popolare che deve essere libera di esprimersi, possibilmente lungo le linee indicate dai dirigenti del movimento. Se in casa grillina lo slogan ‘uno vale uno’ circola un po’ meno di qualche anno fa, la ripulsa per le conoscenze specializzate, la diffidenza verso le competenze tecniche, la ripugnanza nei confronti delle élite restano fra gli ingredienti essenziali della quotidiana polemica pentastellata.

Questi caratteri (disprezzo per la politica, ripulsa per le élite) si ritrovano nei contenuti dei progetti di riforma costituzionale di cui i grillini, con una apparente inversione di tendenza, si sono fatti promotori.

Le proposte investono due ambiti la riduzione del numero di parlamentari e la introduzione del referendum propositivo.

Una significativa riduzione del numero dei parlamentari era prevista, com’è noto, anche nei progetti di riforma costituzionale approvati dal parlamento nel 2006 e nel 2016 e poi bocciati dai referendum confermativi. Tuttavia in precedenza la diminuzione dei parlamentari era parte di un disegno più ampio volto a superare il bicameralismo paritario. Era cioè funzionale a una più razionale articolazione dei lavori parlamentari, differenziando i compiti e le funzioni delle due camere. In questo caso, invece, la diminuzione dei parlamentari non è accompagnata da un ridisegno delle attribuzioni delle due camere, ma lascia inalterata l’anomalia del bicameralismo paritario. In altri termini il progetto grillino non è animato dalla volontà di migliorare l’istituto parlamentare, bensì da una logica punitiva, quella di castigare gli appartenenti alla casta dei membri del parlamento.

Un simile atteggiamento non meraviglia se si considera quella che, con molta buona volontà, si può definire la filosofia di fondo del movimento. La convinzione, cioè, che non siano le buone leggi o le buone regole a far migliorare il tono della vita pubblica, ma che per ottenere questo risultato occorra colpire la onnipresente corruzione. E, naturalmente, nella visione pentastellata il centro della corruzione non può non essere rappresentato dal parlamento nazionale, abitato da una casta di ingordi affaristi, prezzolati scherani delle multinazionali, se non delle organizzazioni criminali.

Abbiamo poi il referendum propositivo, cioè la possibilità per i cittadini non solo di richiedere le abrogazioni di leggi ma anche di farne approvare di nuove. In particolare si prevede che se un progetto di legge d’iniziativa popolare, che abbia raccolto cinquecentomila firme, non è approvato dal parlamento entro un certo lasso di tempo (diciotto mesi) si convoca un referendum. A differenza di quanto previsto dall’art. 75 della vigente costituzione, il referendum targato cinque stelle non prevede un quorum di votanti per essere dichiarato valido e non esclude le leggi finanziare e di bilancio. Non c’è bisogno di essere studiosi di diritto pubblico per capire che con simili parametri sarebbe un gioco da ragazzi sfasciare del tutto il già malmesso bilancio dello stato italiano.

Il conservatorismo costituzionale del movimento cinque stelle è sempre stato ottuso, miope e antistorico, ma il riformismo costituzionale di cui danno prova è, se possibile, ancora peggiore.

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Commenti

  1. Dino Cofrancesco dice

    19 Febbraio 2019 alle 15:33

    Sono completamente d’accordo con quanto scrive Griffo e, del resto, sull’assoluta mancanza di cultura liberale delle istituzioni del M5S ho pubblicato, sul ‘Dubbio’ del 13 febbraio, un articolo in cui stigmatizzavo l’incontro tra Di Maio e i gilets jaunes.

    Detto questo, però, almeno su un punto stanno acquisendo indubbie benemerenze. Mi riferisco alla loro battaglia contro le nuove autonomie chieste da Lombardia, Veneto ed Emilia. Si tratta, infatti, di una riforma che, come ha scritto Ernesto Galli della Loggia, manderebbe in pezzi l’unità d’Italia. E poco importa che i pentastellati (al sud filoborbonici) non abbiano alcun trasporto per il Risorgimento e lo stato nazionale.

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