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Robert Mundell e l’euro: architetto, cassandra o massimo esperto?

12 Aprile 2021 di Giovanni Ferri e Luca Fiorito Lascia un commento

Ci ha appena lasciati Robert Alexander Mundell, premio Nobel per l’economia 1999 quale fondatore della teoria delle aree valutarie ottimali (AVO). Se n’è andato un grande uomo e uno studioso di enorme spessore, ancora vivace alla soglia dei novant’anni, un condottiero del pensiero economico.

La questione che suona più stridente nel rimbalzo dei media che hanno dato la notizia della scomparsa è l’aver univocamente appiccicato a Mundell l’etichetta di architetto dell’euro. Questa rappresentazione cozza infatti con la logica conseguenza dei suoi studi. La sua teoria delle aree valutarie ottimali è una teoria puramente monetaria che, come tale, prende per dati i fondamentali economici, sociali e istituzionali dei Paesi che debbono decidere se rinunciare alle proprie valute nazionali per adottare una valuta comune, abdicando così all’autonomia della propria politica monetaria.

Come era ben presente a Mundell e come ha infinite volte spiegato Paul De Grauwe, alla sua nascita l’euro non era un’AVO. E chi sceglie di adottare una valuta comune laddove non ci sono le condizioni di AVO è destinato ad avere problemi, fino alla potenziale dissoluzione della moneta comune, come in effetti si è rischiato accadesse per l’euro nel 2012. Dunque, le implicazioni dei suoi studi portano a classificare Mundell più come ‘cassandra dell’euro’ che come ‘architetto della moneta comune europea’. In modo più equilibrato, sottraendolo agli epiteti opposti di ‘architetto’ o ‘cassandra’, si può pensare al grande economista scomparso come al massimo esperto dell’euro.

Dunque, se inizialmente l’euro non era un’AVO, si deve riconoscere che la scelta di adottare una moneta comune è stata una scelta politica, più che economica. Mundell e tanti altri illustri economisti, segnatamente i premi Nobel Paul Krugman e Joseph Stiglitz, ne erano consapevoli. Perciò, tutti gli esperti di quel livello si aspettavano che il lancio dell’euro sarebbe stata solo la fase uno.

Inevitabilmente, quest’area valutaria non ottimale non poteva rimanere tale. Di fronte al primo grosso shock economico internazionale sarebbe stato necessario accettare la dissoluzione dell’euro, oppure attuare le politiche della fase due, cioè attuare ulteriori politiche per rendere l’area euro una vera e propria AVO. Ciò è puntualmente accaduto a cavallo tra il 2008 e il 2012.

Lo shock della crisi finanziaria globale ha messo a nudo le fragilità dell’area euro fino a suscitare – dalla Grecia, all’Irlanda, al Portogallo, alla Spagna, all’Italia e a Cipro – l’ondata delle crisi euro-sovrane. La crisi fu disinnescata dal memorabile discorso «Whatever it takes» di Mario Draghi, che divenne così sul campo il vero architetto della fase due dell’euro.

Se comune era riconoscere la necessità della fase due – per rendere ottimale un’area valutaria nata non ottimale – Mundell e gli altri si combattevano aspramente sulle prescrizioni di quali fossero le politiche adatte all’uopo. In base alla sua visione sulle virtù del mercato e scettico sull’intervento pubblico, il primo suggeriva maggiore flessibilità e integrazione economica dei Paesi membri, così da consentire che gli shock asimmetrici tra Paesi venissero riassorbiti dalle forze di mercato.

Invece, nella tradizione keynesiana che enfatizza i fallimenti del mercato e la necessità di interventi pubblici compensativi, Krugman e Stiglitz suggerivano di creare forti istituzioni comunitarie e di adottare un budget comune. Forte è stato il conflitto tra le due scuole. Dal canto suo, pur avendo a lungo sostenuto le riforme e la flessibilità, Draghi si è pragmaticamente convertito alla visione keynesiana allorché lo scoppio delle crisi euro-sovrane ha scandito che il tempo per le riforme era esaurito.

Ci piace pensare a Robert Mundell che si affaccia ancora alle enormi balaustre di Villa Petrucci, suo rifugio per oltre cinquant’anni alle pendici della Montagnola senese. Da lì vedeva le distese di olivi dai colori cangianti nel vento e più in là le dolci colline rinverdite dai lecci. Oltre ancora percepiva la valle ove, per dirla con Dante, guelfi e ghibellini si batterono nel «grande scempio che fece l’Arbia colorata in rosso». Comunque la si pensi, onore al grande condottiero che ci ha lasciati.

mundell

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