Rispetto al governo Draghi, che ha cominciato la sua navigazione, credo non si possa non provare un sentimento di ottimismo. Avere un governo di unità, o almeno di convergenza, nazionale guidato da una personalità autorevole sembrava un obiettivo impossibile dopo il risultato delle elezioni del marzo 2018. Come tutti sappiamo, in quella occasione, il partito di maggioranza relativa risultò essere il Movimento 5 stelle, che ottenne oltre il 32% dei voti validi espressi.
Il partito, fondato dal comico Beppe Grillo, viene spesso etichettato come un movimento populista. Ritengo si tratti di una definizione imprecisa, oltre che ottimistica. I 5Stelle sono un pericoloso concentrato di demagogia, incompetenza programmatica, tetragono giustizialismo. A rendere ancora più preoccupante il quadro politico stava poi il successo della Lega; un partito a vocazione demagogica per molti versi analogo ai grillini, che quadruplicava i voti rispetto alla precedenti elezioni, attestandosi al 17,4%. Così sopravanzando Forza Italia, che registrava un più modesto 14%, e diventando egemone nell’area di centro-destra.
In sintesi, forze a carattere demagogico dominavano la scena, e questo si ripercuoteva da subito sulla qualità delle politiche economiche perseguite. Per intenderlo basterà fare riferimento ad alcuni dati essenziali della fase pre-covid di cui forse, travolti dall’emergenza sanitaria, molti hanno perso memoria, ma che restano essenziali per capire il significato della posta in gioco.
Nel 2017 l’Italia, sotto il governo Gentiloni, aveva registrato un tasso di crescita dell’1,5%. Nel 2018, anno in cui, a giugno, si insedia il governo Conte uno, frutto dell’alleanza tra 5Stelle e Lega, il tasso di crescita scende allo 0,8. Nel 2019, il tasso di crescita peggiora ancora, assestandosi allo 0,3. Un risultato negativo che dipendeva, in primo luogo, da cause endogene, perché maturava senza che si fossero registrate variazioni molto significative nell’andamento dell’economia mondiale.
A tagliare le gambe alla nostra già debole economia sono state le scelte di politica economica messe in campo dal governo giallo verde. Scelte che si riassumono in due punti qualificanti: il reddito di cittadinanza e la cosiddetta ‘quota 100’ per le pensioni. Misure le quali più che assistenzialistiche si possono correttamente definire come esempi di peronismo economico; in sostanza, tutto debito cattivo, come usa dire oggi.
Il trend peronista non si interrompeva con il cambio di maggioranza che si aveva dopo la crisi di governo dell’estate del 2019. Il nuovo governo, il Conte due, insediatosi all’inizio del settembre di quell’anno, era sostenuto da una diversa alleanza politica: quella targata 5Stelle e Partito Democratico. Tuttavia la diversa maggioranza non faceva registrare nessuna discontinuità con le scelte economiche del precedente esecutivo, perché venivano confermati sia il reddito di cittadinanza che la quota 100.
Poi è sopravvenuta la crisi sanitaria legata al Covid, che ha provocato anche un crollo del Pil in tutti i paesi europei. Per fronteggiare questa emergenza, l’Unione europea ha varato un consistente piano di aiuti ai paesi membri per favorirne la ripresa. Il governo Draghi nasce soprattutto per far fronte in modo adeguato al Recovery fund, approntando piani credibili per la gestione dei finanziamenti (che sono in buona parte prestiti ma anche, per una parte non trascurabile, contributi a fondo perduto).
Tuttavia, ed è questo l’aspetto da tenere a mente, per avere questi finanziamenti occorre non solo presentare piani di spesa ben strutturati e finalizzati, ma è necessario accompagnarli con alcune riforme, riforme che da anni il nostro paese non è stato in grado di promuovere. Ancora non sappiamo come opererà nel dettaglio il nostro nuovo governo, ma una cosa appare certa: per avere accesso al Recovery è necessario segnare una netta discontinuità con il passato. In sostanza, dobbiamo lasciarci alle spalle il peronismo economico che ha dominato dal 2018 in avanti.
gioacchino di palma dice
Il breve pensiero di risposta fa emergere tutto il limite di questa modalità comunicativa, che non lascia troppo spazio ad un confronto approfondito.
Nel merito della breve osservazione, credo che sarebbe sufficiente trovare un accordo sul significato di: “passo indietro”.
In questo caso mi sembra che stia tutto nella mancata accettazione di un pensiero diverso.
Forse non sbaglio quando manifesto perplessità su questo tipo di discontinuità.
Dino Cofrancesco dice
Stimo molto l’amico Marco Tarchi, ma mi sfugge la sua ironia (sarcastica). Invettiva? Griffo ha definito” i 5Stelle un pericoloso concentrato di demagogia, incompetenza programmatica, tetragono giustizialismo”; e la “Lega un partito a vocazione demagogica per molti versi analogo ai grillini”. Per il resto, ha fatto un’analisi–discutibile quanto si vuole–dell’operato dei 2 governi Conte. In linea con quella di altri prestigiosi columnist, peraltro. I suoi giudizi sul M5S e, soprattutto, sulla Lega mi sembrano più ‘etici’ che ‘storico-politici’ ma il suo non era un discorso su queste due formazioni politiche.
Quanto a Gioacchino di Palma ha tutto il diritto di rimpiangere Arcuri (e di continuare a rimpiangerlo anche dopo le sentenze dei magistrati) ma accusare un liberale doc come Maurizio Griffo di fare l’esaltazione dei ‘superuomini’, beh, questo mi sembra troppo!!!!
Marco Tarchi dice
Dall’analisi scientifica all’invettiva. Bel passo indietro. Complimenti.
Gioacchino di Palma dice
Tanto per essere in linea con la dominante esaltazione del capo del governo, che comunque in un Paese democratico nomina un generale a ricoprire l’incarico che fu di Arcuri.
Questo segno di discontinuità mi lascia molto perplesso.
I superuomini non mi piacciono molto, e ancora meno l’adulazione dei molti che per non rimanere indietro si accodano al coro di chi li esalta.