Santa Sofia non è un edificio. Santa Sofia è un organismo vivente che ha accompagnato le vicissitudini di una delle più affascinanti e controverse città del mondo; separazione, nella contiguità simbolica e geografica, tra Occidente e Oriente. Santa Sofia si è modificata nel tempo, attraversata dagli impeti della storia dell’uomo, sempre controversa, sempre conflittuale. Per tutte queste ragioni, Santa Sofia è da sempre, e suo malgrado, anche trofeo. Trofeo per una umanità dalla logica predatoria, per cui ogni realtà esiste solo in funzione della propria appartenenza al potere di turno.
Questa trovata di Erdogan, altamente prevedibile e perfino in ritardo rispetto ai tempi che mi aspettavo, è l’ennesima occasione in cui si potrebbero, da parte nostra, ribaltare le carte, affrancando una volta per tutte un luogo così potente sul piano estetico e storico da ogni valenza di bottino di guerra, da esibire per dimostrare la validità di una egemonia che ha valore solo se le si dà valore.
Il mondo occidentale è complice di Erdogan. Perché nei commenti di questi giorni dimostra di pensarla allo stesso modo. Santa Sofia moschea? È uno scandalo, è il segno dell’avanzamento dell’Islam, è una perdita di territorio, che fino ad ora, in una indefinita quanto presunta neutralità, poteva essere rivendicato da tutte le parti in gioco.
Il vero scandalo è un altro. Che l’Occidente, e in particolare l’Occidente cristiano, sia a tutt’oggi profondamente ancorato alle logiche da crociata, da esercito, da clan, da tifoseria per l’una o l’altra parte. Non è su questo piano che si gioca la maturità storica di una cultura che dovrebbe essere ormai libera dall’artificio di identificare la potenza di una rivelazione con la quantità di bandierine appuntate sulla carta geografica.
Cosa sia Erdogan dovremmo saperlo da tempo, e certo Santa Sofia, in termini di gravità, è l’ultima delle dimostrazioni di una autocrazia che non guarda in faccia nessuno, usando l’Islam in maniera pretestuosa per consolidare un dominio ottenuto con la forza del fanatismo – e, bisogna ammetterlo, con i nervi d’acciaio di chi, sotto gli aerei che volevano ribaltarlo in quel luglio del 2016, non ha mollato di un millimetro, esortando i suoi sodali alla rivolta.
Cosa possono le mollezze delle ambasciate europee, perlopiù ignave rispetto ai soprusi che sono anche storia recente, di fronte alla determinazione di quest’uomo, ormai piuttosto avanzato nell’età ma con l’energia di un leone ?
Nulla, ne sono convinto. Lo scandalo per Santa Sofia è uno di quei balletti diplomatici e mediatici, il cui unico effetto è di consolidare la leggenda del ‘sultano’ (come lo chiamano i media in una ulteriore concessione alla sua epopea da conquistatore), che immagino sorridente di fronte a questa agitazione isterica, un po’ ipocrita, che sottende un comportamento sostanzialmente connivente e omissivo.
Santa Sofia una possibilità ce la offre. Far sì che l’operazione Santa Sofia diventi giudice feroce e inappellabile del suo stesso ideatore e della arretratezza della sua visione.
Testimoniando una cultura che ha superato le logiche primordiali della imposizione di una verità attraverso la moltiplicazione delle bandierine del risiko, con le sue armate e i suoi territori. Testimoniando una cultura in cui la valenza simbolica di un solo uomo che vive la propria identità con libertà e solidarietà può valere mille Santa Sofia, il cui portato di verità svanisce proporzionalmente al valore pragmatico di conquista che le viene attribuito. Testimoniando una cultura che non si disperde in mille rivoli isterici di lamentazioni inutili e dannose, incapaci di spostare di un solo millimetro la realtà delle cose.
Non abbiamo alcun timore di Santa Sofia che diventa moschea, perché al primo posto abbiamo il rispetto per l’uomo, il rispetto per la verità che non ha bisogno di alcuna fortezza, perché è fortezza in se stessa, amplificata non dalla pomposità, dal prestigio, dalla ricchezza dei luoghi o dalla forza degli eserciti, quali essi siano, ma dalla sua stessa essenza.
Presente, inalienabile e sostanzialmente indifferente ai miserabili autocrati della terra che con tutti i loro disastri non fanno altro che testimoniare la propria inesorabile e fatale transitorietà, che noi possiamo contribuire a rivelare, purché, ed è tutto da dimostrare, realmente differenti.
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