Fingere oggi, nell’epoca di Internet, che non esista una questione dell’open access sarebbe come continuare ad investire sulla formazione degli amanuensi nell’epoca di Gutenberg: un clamoroso, poco lungimirante, drammaticamente anacronistico spreco di risorse. Ovvero proprio quel che per lo più accade.
Per molti, anche tra gli addetti ai lavori, l’open access – poco importa a cosa o per chi, purché lo si dica in inglese – è un’espressione vagamente suggestiva più che un insieme preciso e tecnico di temi e problemi che investono la pratica della scienza. Questo fascicolo, frutto di una collaborazione con il CNR, non soltanto aiuta ad orientarsi in questo territorio largamente inesplorato, ma mette impietosamente il lettore di fronte al prezzo che la ricerca sta pagando per il ritardo nel prendere atto che il medium in cui si muove la conoscenza è profondamente mutato. È salutare, per esempio, tenere sempre ben fermo davanti agli occhi il paradosso, su cui molto opportunamente richiama l’attenzione Elena Giglia, per cui oggi un ente di ricerca paga diverse volte i ‘suoi’ stessi risultati, grazie a quel perverso meccanismo per cui prima sostiene i costi per produrli, poi per comprare l’abbonamento alla rivista su cui sono pubblicati, infine per riacquistare i diritti ceduti in occasione della pubblicazione. Inutile sottolineare che il beneficiario ultimo, e unico, di questo circolo vizioso è l’editore: quello stesso editore – un soggetto privato, che persegue (più o meno) legittimamente i suoi interessi – al quale, con un altro sorprendente avvitamento sullo stesso circolo, l’osservatore pubblico affida un peso (e dunque un potere) a dir poco significativo nel determinare e nell’orientare le sorti della ricerca, visto che la sede di pubblicazione è uno dei parametri decisivi della valutazione della qualità di un certo ‘prodotto’.
Dalle pagine che seguono emerge con chiarezza in che senso l’apertura – dell’accesso, dei dati, dell’innovazione, della scienza, dell’educazione – rappresenti un paradigma radicalmente alternativo alla situazione tuttora dominante; un paradigma che richiede innanzitutto una forzatura di alcune categorie e delimitazioni tanto radicate da sembrare fissate per legge di natura. L’apertura, per esser davvero tale, deve investire gli stessi elementi di base della ricerca scientifica, che le nuove tecnologie fluidificano al punto da dar luogo ad un vero e proprio processo di fissione: per un verso si frantuma il prodotto nella sua forma standard, ossia l’‘articolo’, perché l’iter della ricerca deve poter essere condiviso già a partire dalla forma meno elaborata, quella della raccolta dei dati; per altro verso si scompone anche l’autore, che si pluralizza in una comunità dinamica che deve poter interagire a monte e non a valle del processo di ricerca. Prospettiva open, innovativa e affascinante: tutto risolto dunque?
Nonostante qualche accento qua e là particolarmente ottimistico, l’insieme dei contributi non lascia dubbi sul fatto che non siamo nella condizione di Alì Babà di fronte alla caverna: non basterà un «apriti Sesamo», fosse pure ben argomentato e documentato come lo è questo fascicolo, per schiudere a chiunque l’accesso ai tesori del sapere. Aprire la scienza significa, come è inevitabile in ogni cambio di paradigma, confrontarsi con problemi nuovi e, allo stato almeno, aperti anch’essi: dal modo di incentivare i singoli ricercatori alla condivisione, in un contesto di valutazione ancora rigidamente individuale, a quello di armonizzare l’esigenza della libera circolazione di idee e informazioni nella res publica scientiarum con le altrettanto legittime esigenze di guadagno dei privati che finanziano la ricerca in vista di brevetti; dalla necessità di ripensare, alla radice, il concetto stesso di proprietà intellettuale, al delicato problema del rischio per la sicurezza implicito nella condivisione di certi dati sensibili. Per non parlare della necessità di distinguere con molta chiarezza la questione della condivisione quando si tratta dello scambio fra pari (dove il problema è appunto quello dell’incremento delle informazioni disponibili) dai problemi, ben diversi, che essa implica nel caso in cui si tratta dell’educazione e dell’asimmetria informativa tra lo scienziato e chi scienziato non è (dove il problema è quello, esattamente inverso, di gestire la sovrabbondanza).
Problemi aperti, si diceva, che sono altrettante sfide e non motivi per indulgere in una qualche tentazione nostalgica. Con buona pace di chi oggi invoca muri e protezioni, l’essere aperti è un fatto, di cui prendere atto fino in fondo e il prima possibile, non una scelta.
(Editoriale da «Paradoxa» 1/2017, Scienziati, giù dalla torre d’avorio!, a cura di Riccardo Pozzo)
Stefania dice
Conoscerà realtà oggettiva attraverso la tua ‘ironia ‘ è splendido!!!!! Stefania