Si fa un gran parlare di crisi della democrazia. Non è certo una novità per questo tipo di regime politico. Anche da quando si è consolidata nell’emisfero occidentale, grosso modo a partire dal 1945, periodicamente se ne lamenta la crisi, non di rado la morte. Ogni volta il sistema è risorto, o comunque ha retto agli urti, talora possenti. È però indubbio che oggi le democrazie rappresentative siano in affanno. Una sensazione di mutamento d’epoca è nell’aria. È soprattutto la rappresentanza politica a mostrare la ruggine. Si cercano da più parti iniezioni di partecipazione diretta che ridiano fiato e vigore alla democrazia. Un sistema politico anchilosato, invecchiato, così sembra. Una stanchezza che molti hanno definito come ‘morale’, tale da rendere apatico e indifferente quel cittadino che ne dovrebbe invece costituire il perno granitico e la linfa vitale. I due studiosi che nel secondo Novecento hanno rilanciato nel mondo la scienza politica italiana, Norberto Bobbio e Giovanni Sartori, hanno lamentato più volte quanto dolorante fosse il tallone d’Achille del governo del popolo sul popolo. Bobbio ci ricordava che «la democrazia ha bisogno, più di qualunque altra forma di governo, di cittadini attivi. Non sa che farsene di cittadini passivi, apatici, indifferenti […] vive e prospera solo se i suoi cittadini hanno a cuore le sorti della propria città come quelle della propria casa, che delle città è soltanto una parte». Sartori gli faceva eco: «La democrazia è una “grande generosità” perché per la gestione e la creazione della buona città si affida ai suoi cittadini. Ma gli studi sulla pubblica opinione mettono in evidenza che questi cittadini lo sono poco, visto che sono spesso privi di interesse, che non vanno neanche a votare, che non sono minimamente informati. […] dobbiamo distinguere tra la macchina e i macchinisti. I macchinisti sono i cittadini, e non sono un granché». Insomma, l’homo democraticus difetterebbe di pathos, di adeguato attaccamento alle proprie libere istituzioni. Il tema non è nuovo, ma non per questo manca di validità.
C’è però un altro tipo di invecchiamento verso cui la democrazia corre il rischio di precipitare. E più che un rischio, pare una strada certa, una discesa senza grandi possibilità di risalita. L’invecchiamento anagrafico della cittadinanza democratica. L’homo democraticus, europeo e occidentale, ha sempre più le fattezze di un vecchio (e vecchia). Limitiamoci all’Italia, caso esemplare sul tema. Le statistiche prevedono che nel 2045 gli over 65 saranno un terzo della popolazione (33,7%), mentre il totale degli italiani diminuirà del 3,5% arrivando a 58 milioni e 600mila. Ci dicono anche che aumenteranno le persone non autosufficienti: 300mila in più nel 2025, un aumento di 1.250.000 nel 2045 e di 850.000 nel 2065. Da qualche decennio la popolazione italiana diminuisce e al contempo invecchia assai velocemente: nel 2050 saremo due milioni e mezzo in meno, come se la città di Roma sparisse dalla penisola. Ma il dato ancora più rilevante è che gli over 65, oggi un quarto della popolazione, diventeranno più di un terzo, vale a dire 20 milioni di persone, di cui oltre 4 milioni avranno più di 85 anni. Un ultimo dato, relativo al 2018, fornitoci dall’Istat pochi giorni fa: i residenti con meno di 15 anni sono il 13%!
Cosa significa questo per la democrazia italiana? Bisogna chiederselo adesso. Il fenomeno si sta già dispiegando. Le risposte, chiare e distinte, ossia ‘scientifiche’, non le posseggo, ma sento che la domanda va posta in modo netto e con tutta l’urgenza che richiede. Una cittadinanza che per quasi la metà sarà, a breve, ultrasessantenne, quale tipo di politiche pubbliche prediligerà? E come sarà sostenibile un sistema di welfare, che sia il più ampio ed efficace possibile? Pensioni, sanità: come potranno essere garantiti servizi di alta qualità al maggior numero di cittadini? Se mediamente vecchio, o anziano che dir si voglia, l’homo democraticus sarà senz’altro un iper-conservatore? E, se sì, in che senso? In termini di chiusura alle novità sociali, culturali? O sarà solo più impressionabile, in quanto più insicuro, e quindi più facilmente manipolabile dalla propaganda dei media, qualunque essa sia? Ma in questo non differirebbe granché da una società molto giovane, costituita prevalentemente da ventenni. Basterà regolarizzare uno o due milioni di immigrati, tutti in età lavorativa? Un provvedimento di inserimento e integrazione del genere, probabilmente necessario nonché utile, non sarà però né rapido né socialmente indolore (basti pensare all’elevato tasso di disoccupazione della popolazione autoctona). Richiede molto coraggio e molta pazienza.
Mi limito qui a constatare due paradossi, che valgono per il caso italiano e forse anche europeo, fatte salve le debite eccezioni. Primo paradosso: le democrazie odierne si basano su società tra le più anziane di sempre e, al contempo, le meno sagge di sempre. Se la saggezza si fonda sull’esperienza accumulata nel tempo, l’età avanzata dovrebbe portar consiglio e saggezza. Dunque, senso della misura, equilibrio, capacità di gestire razionalmente emotività e allarmismi quanto mai diffusi. E invece accade esattamente il contrario. Perché? Forse perché un numero sempre minore di persone si basa sull’esperienza effettiva, sulla conoscenza della «verità effettuale della cosa», per dirla con Machiavelli. Si basa piuttosto sul ‘sentito dire’, o meglio sul ‘trasmesso’, sul ‘comunicato’, sull’‘informato’ tramite connessione con tv e social media. Viviamo sempre più in funzione del virtuale, di ciò che viene rappresentato dal sistema massmediatico, il quale, per vendere le proprie notizie – perché è sulla vendita delle notizie che vive e prospera –, punta direttamente e in grande abbondanza sul sentimentale e sull’irrazionale, su ciò che smuove le passioni e pertanto attrae come altri mai. Se vuoi vendere il maggior numero di notizie, devi catturare la maggiore attenzione possibile. Maggiore per estensione e intensità. E come fare? Solleticando la parte emotiva e irrazionale dell’uomo, che, va detto, nei giovanissimi e nei più anziani sovente è oltremodo sensibile. Ma è possibile per i più (come per i meno) conoscere davvero cosa muova società che crescono ogni giorno in complessità e interconnessione? L’invito al retto uso pubblico della ragione rischia di risultare ancor più presuntuoso che velleitario.
Secondo paradosso: più le nostre società diventano complesse e più la forma mentis diffusa, non solo tra le nostre classi dirigenti, si fa semplificata. Sempre maggiore complessità da una parte, sempre maggiore semplificazione, e semplicismo, dall’altra. A sempre maggiore libertà dovrebbe corrispondere un sempre maggiore sapere, una sempre maggiore autodisciplina, ovvero governo di sé, perché a tanta libertà dovrebbe corrispondere altrettanta responsabilità. Ma così non è. Anzi, a me pare si vada in direzione esattamente opposta. Oltre che disinformazione, intesa come informazione errata, falsificata e strumentalizzata, parlerei di de-formazione, intesa come destrutturazione antropologica, sfiguramento di un’idea di natura umana raziocinante, ispirata da senso della misura e ricerca dell’equilibrio, della moderazione tra gli estremismi. E tutto ciò nonostante la nostra cara democrazia invecchi ogni anno di più, nel senso che ogni anno di più cresce l’età media dei suoi componenti. Cosa comporta tutto questo? Mi limito a evidenziare la centralità politica della domanda e lascio ai più competenti l’ardua sentenza.
alberto de stefano dice
Fortemente a rischio di apparire petulante inescusabile, scrivo brevemente solo per rendere omaggio a CORINNA PIERI.
Ne esco ridicolizzato con le mie piccole,giornalistiche semplificazioni,che mi sarei ben guardato da esporre se un pensiero elevato,ed una scrittura magnifica fossero apparsi prima.Mea culpa,comunque,dovevo attendere.Nel merito,povero Danilo,valuta Tu,pur confortato dal rituale elogio di una fedelissima.fortemente incline alla piaggeria e piuttosto in contraddizione intima,con un lessico rivedibile.
Annamaria Biasini dice
Ciao caro Danilo. Mi scuso per la mia prolungata assenza, ma ho dovuto fronteggiare vari problemi. Ora posso respirare un po’!
Ho letto la tua riflessione che mi vede assolutamente d’accordo con la tua analisi. E’ incredibile come l’invecchiamento, già in atto della popolazione, debba essere affrontato e come la classe politica non si dia pensiero di ciò, anzi!! Inoltre, in me, è sempre più viva la sensazione dell’incompetenza ed irresponsabilità della classe politica che ci governa.
A presto mio caro amico. Un abbraccio e grazie per la puntualità e lucida preparazione di ciò che scrivi.
Un abbraccio.
Corinna Pieri dice
La degenerazione di una democrazia, che sfocia nel populismo, come accadde anche in Italia e in Germania tra gli anni ’20 e ’30, l’ha ben descritta Polibio definendola Oclocrazia. Secondo quanto afferma, non sarebbero i “vecchi” a provocarla, bensì le giovani generazioni che non avrebbero più una sufficiente tensione morale verso valori come la giustizia e la libertà; quindi , diventerebbero facili prede delle “paure” indotte dalla propaganda di colui e/o coloro che soffiano sul fuoco di una qualsiasi crisi (spesso economica) e “sbraitano” con maggiore incisività promettendo chimere. Più spesso sono i “vecchi” che “conservano “ la memoria e il Pathos verso quei valori irrinunciabili, mentre i giovani sono portati a seguire “ciò che il loro tempo apparecchia” e se quel tempo apparecchia servilismo e sudditanza da barattare per una speranza di vita che li sollevi dalla quotidianità del “faticare”, così come va interpretato il “Lavoro” nell’ art. I della Costituzione , arriva l’Oclocrazia che precede nuove forme di dittatura e la democrazia muore per soffocamento.
Caro Danilo, non sono tra i competenti ai quali assegni il compito di fornire l’ardua sentenza circa ciò che si sta muovendo, ma ho una prima certezza, ispirata dalla non più giovane età: abbiamo scritto, nella prima parte della nostra Costituzione, principi fondamentali e ineccepibili sul piano della civile convivenza che vanno “semplicemente” attuati, cosa questa raramente avvenuta, e viviamo, invece, con miriadi di Leggi incostituzionali che hanno avvelenato la democrazia fino a ridurre a brandelli il “Patto più alto ancora possibile stipulato dal ns. popolo” ed a quel popolo, soprattutto dai suoi giovani, sconosciuto. La mia seconda certezza è che se non ripartiamo da questa conoscenza , da diffondere in maniera capillare in ogni scuola, dalle elementari agli approfondimenti di livello universitario, non potremo mai cercare di risalire una china che, ad oggi, mi pare estremamente scivolosa. Spetterà ai giovani saper risalire la china, se lo vorranno, ma noi vecchi, caro Danilo, saremo lì dietro a far da puntello col nostro bagaglio di “conservatori” di pathos democratico e memorie.
Danilo Breschi dice
Cara Corinna,
la questione delle generazioni, e della trasmissione/comunicazione tra di esse, è sicuramente un nodo che, là dove si formi e si irrigidisca, va sempre sciolto politicamente e culturalmente per il buon funzionamento di un sistema politico e il mantenimento di una “buona società”.
Un caro saluto,
D.
alberto de stefano dice
Allora,caro Danilo,il populismo rientrerebbe comunque in lato senso nella democrazia.Cosi` salomonicamente sentenzi.aggiungendo che dobbiamo guardarci dalla,mia,retorica antipopulista,e cercare di navigare tra democrazia classica e populismo cercando di “migliorare”.
Sono sbigottito.Rammento il CROCE dei primi tempi del fascismo,per cui MUSSOLINI era l`uomo della Provvidenza.Generalmente ,intelligenza,cultura e coraggio non vanno assieme necessariamente.Anzi.Tra il vermiforme governo fascio -leghista- grillino,GUIDATO DALLA SETTA DI PROPRIETA` DEL FINANZIERE,e la democrazia parlamentare costituzionale,si tratta di bivaccare.Comprendo ma non sono d`accordo.
alberto de stefano dice
Francamente ammetto di non aver capito il senso di quanto afferma Ascheri.TESTUALMENTE : ” Non e` il populismo la causa della crisi,ma lo scarso radicamento della democrazia,,etc.”Sarei tentato di dire semplicemente che il populismo e` esattamente l`alternativa secca alla democrazia,la consacrazione del suo brutale accantonamento,in favore di modelli appunto populisti,plebiscitari.TERTIUM NON DATUR
Danilo Breschi dice
Caro Alberto,
credo Ascheri abbia ragione.
Il populismo è la democrazia che perde il lato liberal-costituzionalistico e i freni di cui parlava Montesquieu. Si tratta di un fenomeno che già gli antichi, i Greci intendo, avevano ben chiaro e che faceva loro diffidare della democrazia. Noi dobbiamo difenderla, avendo però sempre presenti i suoi lati oscuri se “letteralmente” presa (Sartori docet).
E, soprattutto, rifuggire da ogni retorica, tanto populista quanto anti-populista. Comprendere, anzitutto, per correggere e migliorare, ove possibile.
Un caro saluto ad Alberto e Mario. E grazie!
DB
Mario Ascheri dice
Sempre acuto, caro Danilo! Semplificazione indubbia, responsabilità dei media altrettanto: nei social c’è di tutto, di buono e cattivo, ma di sicuro spesso una speranza di capire quel che i media non spiegano o spiegano in modo troppo sofisticato quando lo fanno. La crisi è ovviamente molto collegata alla mancanza di sicurezza sul futuro: l’11 settembre e Lehmann Brothers sono stati eloquenti. Migrazione: che tu la accolga bene o forzatamente dà prospettive inquietanti per incapacità (in Italia ma non solo) di integrare e per probabile aumento esponenziale. Fallimento Europa e organizzazioni internazionali completano il quadro. Non è il ‘populismo’ la causa della crisi, ma lo scarso radicamento della democrazia, sentita come formalità ormai poco decisiva; si vota ma non cambia niente, questa è la sensazione maggioritaria!
alberto de stefano dice
Ovviamente,non sono tra i “competenti” a sentenziare su quanto domanda l`acuto BRESCHI.Ma ho come la sensazione che la questione,posta correttamente,non vada pero` al centro del problema del deterioramente rapido della DEMOCRAZIA.Grossolanamente quanto sta accadendo in Italia,e non solo,con il trionfo del piu` becero populismo,minaccioso,antidemocratico,settario,violento,lo vedrei connesso alla spaventosa deculturizzazione delle masse dei cittadini,nei decenni trascorsi.TV,social oggi,hanno sparso semi abbondanti di incultura.Chi legge piu` un libro,quale che sia ?Solo slogans,parole d`ordine,che le plebi raccolgono con mistico entusiasmo.incapaci di ogni minimo vaglio critico.Sta qui` a mio sommesso parere la radice di una mostruosa involuzione.Non nego che il fenomeno invecchiamento sia reale.Trovo decisiva pero` la caduta ai piu` infimi livelli dell`homo democraticus,ridotto alla dimensione bestiale di strumento docile di assecondamento dei voleri del capo tribu`.