È abbastanza curiosa questa geremiade sul ‘non si può esportare la democrazia’. Sembra venire da gente che non ha mai letto un libro di storia. I regimi politici, tale è anche la democrazia, sono sempre stati ‘esportati’ lungo i secoli, a cominciare dall’antica Roma che diffuse il suo in larga parte delle sue conquiste. Ovviamente con adattamenti e accorgimenti, non proprio tale e quale, ma comunque imponendolo o se si preferisce insegnandolo ai nuovi sudditi.
Tutti i regimi politici si esportano e si importano: dai regni romano-barbarici dell’Alto Medioevo all’espansione dei regimi comunisti in molte aree geograficamente e culturalmente lontane dalle loro matrici storiche e culturali. Forse che la cultura cinese era naturalmente ‘marxista’, giusto per citare una esportazione di successo, mentre di altre restano soltanto macerie, dove tuttavia sopravvivono magari più vestigia di quante si immaginano ad uno sguardo superficiale (basta dare un’occhiata all’Europa dell’Est di oggi).
Ma per venire alla ‘democrazia’, forse che il costituzionalismo che è la sua matrice originaria non si è diffuso in Europa anche con le baionette ‘rivoluzionarie’ del giovane Napoleone? Certo alle spalle c’era il fenomeno dell’illuminismo, il mito delle rivoluzioni francese e americana, ma senza l’esperienza di quelle ‘occupazioni militari’ non siamo certi che la storia avrebbe marciato agli stessi ritmi. E infine la rinascita dei sistemi democratici nel post 1945 non è stata agevolata dalla vittoria delle armate americane e dalla loro pianificazione della pace?
Sappiamo benissimo che in molti dei casi segnalati in maniera così banalmente evocativa, c’erano radici ‘locali’, tradizioni autoctone o piuttosto conversioni convinte alle prospettive dei nuovi regimi. Ci dicono molti osservatori che questo non era presente in Afghanistan e naturalmente si può facilmente convenire. Non ne consegue però che in quelle terre non ci sono possibilità di esportare regimi politici. Modelli come quelli che propongono Al Qaeda, l’Iran, i vari potentati arabi, il Pakistan, giusto per citare, non sono meno ‘esterni’ di quelli occidentali. Hanno il vantaggio di sfruttare una connessione con una certa interpretazione dell’Islam che può stabilire legami con tradizioni locali che l’Occidental way of life non ha a disposizione.
Tuttavia si tratta probabilmente di tornare allo sforzo di elaborare una visione del regime costituzional-democratico meno legata ai suoi ultimi modi di espressione nel mondo occidentale e più capace di sfidare altre culture sul terreno dell’affermazione di valori fondamentali su cui non si può transigere. Sia chiaro: parliamo di valori e regimi che non si identificano piattamente con le forme storiche che hanno assunto in Occidente (e che, vogliamo dirlo, spesso risentono più di una certa decadenza del suo pensiero che di una forza dei valori universali).
Esportare la ‘democrazia’, cioè le conquiste di una evoluzione di civiltà di cui c’è da essere fieri, rimane una necessità. Bisogna realizzarla senza contenuti di imperialismo e di snobberia intellettuale, ma non si può recedere. Un sistema retto su un politeismo politico che lascia ogni territorio in balia dei suoi momentanei ‘signori’ non regge né sul piano interno né su quello internazionale.
Ci sono da fare al proposito riflessioni non facili, ma che vanno affrontate per superare lo spaesamento di questa transizione storica globale in cui ci tocca vivere.
Franco dice
Sono d’accordo con Pombeni. Ma per riuscire le esportazioni di sistemi politici (e economici) richiedono alcune condizioni preesistenti oppure lunghe occupazioni militari. L’islam per ragioni che Pombeni conosce meglio di me, se interpretato letteralmente, è incompatibile coi principi liberaldemocratici. Lo era anche il cristianesimo e ci ha messo due secoli per cambiare.