L’unico candidato populista nell’ultima corsa per le presidenziali USA era Bernie Sanders, sconfitto da Hillary Clinton nelle primarie dei Democratici. Il populista là in mezzo non era, né ora né allora, Donald Trump. Qualche mese fa anche Paul Krugman ha scartato l’ipotesi che Trump sia un populista economico: non c’è nulla nel suo comportamento – come candidato o come Presidente – che ci consenta di appiccicargli quell’etichetta oggi molto in voga.
Il termine populismo include spesso una componente emotiva: il sentimento profondo di un cittadino comune che si identifica completamente in un leader che si sta impegnando ad alleviare il suo dolore e la sua rabbia. Si pensa cioè che il leader populista riuscirà a creare, prima o poi, condizioni di vita migliori per tutto il popolo. Questo tipo di populismo contiene un elemento comunitario, e cioè la sensazione diffusa che i governanti al potere agiranno per evitare ciò che è dannoso o indesiderato per l’intera comunità. Quindi, ci si illude che il governo smetterà di approvare politiche che beneficiano soltanto l’élite nazionale e le persone più ricche.
Non c’è nulla nel comportamento di Trump, tranne la sua retorica esuberante, che lo qualifichi come un populista. Krugman e altri commentatori politici hanno notato che il governo formato da Trump è strapieno di miliardari. Si tratta di persone che pensano sia un’eresia soltanto accennare all’idea di salario minimo. Cinicamente, si potrebbe sostenere che sono stati nominati proprio allo scopo di distruggere i dipartimenti governativi che hanno il compito di guidare. L’aspetto davvero stupefacente è che hanno accettato questo compito con un senso di impunità e vanità, senza preoccuparsi del fatto che le loro azioni e decisioni renderanno questo pianeta peggiore rispetto a come lo hanno trovato.
Qualcuno pensa erroneamente che la spesa pubblica della presidenza Trump farà schizzare verso l’alto il debito pubblico americano. Può anche darsi che accada. Ma se succederà sarà il prodotto dei tagli delle tasse ai ricchissimi e non certo dell’incremento della spesa pubblica per il welfare universale. Fino ad oggi tutti gli indizi ci dicono che, per quanto riguarda il mandato di Trump, il ‘mitico’ uomo della strada – a cui si rivolge la retorica populista – è destinato a cavarsela da solo.
I più tenaci sostenitori di Trump sono completamente accecati dalla sua retorica. Non si accorgono neppure che – ironia della sorte – saranno proprio loro a sentire più e prima degli altri i morsi della crisi. Applaudono beatamente all’approvazione di politiche educative, ambientali, fiscali e commerciali dannose innanzitutto per loro stessi. La diseguaglianza socio-economica si rimetterà a crescere, nonostante gli Stati Uniti abbiano già fatto da apripista per il resto del mondo industrializzato su questo perverso terreno.
Nessuna delle stravaganti falsità di Donald Trump, nessuna delle sue politiche (promesse o annunciate) e nessun’altra fiammata retorica dal suo «America First» potrà ribaltare una realtà ormai consolidata: la maggior parte degli americani, in particolare i più ferventi sostenitori di Trump, sono costretti a convivere con un livello stagnante, se non calante, dei loro stipendi. Non c’è qualcuno più bravo di Trump nel distrarre l’attenzione dei cittadini Usa da questa cruda realtà. I suoi intrepidi sostenitori adorano la furia e le banalizzazioni del loro leader-in-chief. Anche loro detestano i musulmani, i messicani e tutto il resto degli immigrati. Si bevono tutte le sue strombazzate fandonie, comprese quelle che lo dipingono come vittima delle ‘fake news’. I suoi servetti rimangono silenziosi e fedeli anche quando il loro líder máximo si trova coinvolto in qualche affare losco, ai limiti della legalità. Neanche nei suoi momenti migliori il senatore Joseph McCarthy ha potuto contare su una porzione così ampia e credulona dell’elettorato americano!
Il ‘discorso’ politico di Trump è anche una potente arma politica. È un maestro nell’uso strumentale delle parole e delle loro esagerazioni. Nessuno nell’attuale scena politica americana riesce con la stessa maestria a manipolare il comportamento dell’opinione pubblica. Ma che cosa spiega questo preoccupante comportamento di Trump, se non possiamo fare ricorso nel suo caso all’etichetta di populista che si sta diffondendo un po’ dappertutto nel mondo? Ecco alcune ipotesi.
I Padri Fondatori americani crearono, con l’apparente consenso popolare, un Collegio Elettorale proprio al fine di evitare il governo del popolo. E così oggi ci troviamo con un Presidente (Trump) eletto da una minoranza. Nonostante le spregiudicate proteste dello stesso Trump, Hillary Clinton ha ricevuto quasi tre milioni di voti in più del suo diretto sfidante. Gli storici si affretteranno a ricordarci che Trump non è il primo Presidente di minoranza eletto negli Stati Uniti. Vero. Ma dovranno aggiungere che si tratta anche del più pirotecnico e, per molti americani, del più pericoloso. Per inciso, le maggioranze Repubblicane presidenziali e legislative sono tra le più ampie anche a causa della pratica, nient’affatto democratica, del gerrymandering. Il fatto è che le attuali regole elettorali favoriscono le minoranze rumorose e ben organizzate. Con la normativa in vigore, si assiste ad una sistematica sotto-rappresentanzione di circa metà della popolazione che vive nelle 160 aree metropolitane. E sono le stesse regole che consentono ad appena un terzo dei cittadini americani di mantenere al potere i Repubblicani in molti dei singoli Stati. Anche gli esponenti del Partito Repubblicano più maltrattati da Trump restano in silenzio, a dispetto di quello che possa combinare – o non combinare – il Presidente in carica. Il loro silenzio dimostra che quasi per tutti loro l’eventuale rielezione conta molto di più dell’integrità e del futuro della Repubblica. Peraltro, appena qualcuno si azzarda a inviare il più timido segnale di critica verso Trump, viene immediatamente bloccato dalla rappresaglia retorica del Presidente.
Le armi letali di Trump includono i mass media e, soprattutto, i social media. È ovvio che la sua valanga di tweet si dimezzerebbe nel giro di un paio d’ore se non fossero efficaci. Atleti che si inginocchiano o si siedono appena viene intonato l’inno nazionale non sono altro che pupazzi nelle mani di Trump, che per inciso usa magistralmente i social media anche per plasmare il modo di pensare della sua base e per rafforzare le sue leve di comando.
Anche i mass media sono completamente al servizio del Presidente, compresi quelli apparentemente all’opposizione. La name recognition, o notorietà, è un ben documentato vantaggio nel contesto della politica americana, e i media – tutti – hanno seguito e inseguito ogni gesto di Trump. L’enorme copertura mediatica di cui ha goduto ha certamente contribuito a gonfiare le casse dei mass media. E ha finito anche per rafforzare la presa del Presidente sul paese. Del resto, è stato lui stesso a ringraziare tutti i media per avergli fornito, per di più non a sue spese, il massimo dell’esposizione mediatica praticamente a costo zero.
Adesso che Donald Trump può sfruttare il pulpito presidenziale a suo completo vantaggio, l’attenzione dei media si è spostata addirittura su scala globale. C’è chi dice che il suo ‘grado di approvazione’ nei giudizi del pubblico americano sia in una fase calante. Ciò nonostante la sua base rimane immobile, e Trump sembra già avviarsi verso un secondo mandato.
Al quadro tratteggiato fin qui, si aggiunga che l’America è largamente misogina: una caratteristica che calza a pennello per un Presidente a sua volta misogino. Non è mai successo in passato che un candidato alla Presidenza promettesse, se eletto, di spedire in prigione il suo oppositore alla carica presidenziale. I suoi più ferventi laudatores ne sono ancora convinti, anche se il Presidente sembra avere avuto dei ripensamenti in corso d’opera. Ma il punto è che se ci fosse meno misoginia nell’opinione pubblica americana, Donald Trump non continuerebbe a ‘sparare’ contro Hillary Clinton. A ciò si aggiunga che l’America è anche un paese profondamente razzista, un altro fattore che ha favorito Trump, il quale non ha certo perso l’opportunità di toccare questo ‘tasto’ del carattere americano. E Barack Obama aveva ben chiaro fin dall’inizio che non avrebbe mai potuto comportarsi, una volta in carica, come un ‘normale’ Presidente bianco. Il razzismo può anche essere subliminale; il che non lo rende di per sé meno rilevante. Un aspetto ben noto a tutti gli americani di colore, sia quelli che vivono nei luoghi più disparati degli Stati Uniti sia coloro che hanno la fortuna di occupare temporaneamente la Casa Bianca.
Si pensi anche che la maggior parte degli americani afferma nei sondaggi di essere favorevole a un’assicurazione sanitaria coperta, cioè pagata, dallo Stato. Ma appena si parla di Obamacare, ecco che i sondaggi vanno in picchiata! Anche quando l’ex-Presidente non c’entra nulla su una determinata questione politica, le folle ‘trumpiane’ sanno che è comunque utile allo loro campagna associare il nome di Obama a quella specifica vicenda.
Il mio ultimo punto nella spiegazione nell’ascesa di Donald Trump riguarda l’ufficio presidenziale, a partire soprattutto dalla presidenza di Richard Nixon. Da allora, il ruolo e i poteri del Presidente sono aumentati in maniera vertiginosa, toccando l’apice dopo gli attacchi alle Torri Gemelle. Anche Obama ha cercato ed esercitato appieno le sue prerogative presidenziali, come capo di Stato e comandante in capo. Si tratta di poteri che lasciano senza parole per la loro ampiezza e che indubbiamente rappresentano una minaccia per la democrazia. Oggi, con il consenso del Congresso e delle Corti federali il Presidente americano può ordinare l’uccisione di un cittadino statunitense, per esempio, attraverso un drone. E lo può fare sostanzialmente senza essere accusato di aver violato i diritti civili, cioè quelle libertà formalmente tutelate dalla Costituzione. Donald Trump può usare a suo completo vantaggio e piacimento questi poteri senza precedenti. Ma non è stato certo lui a crearli. Erano già lì, tutti al loro posto, quando lui è entrato trionfante nell’Ufficio Ovale.
Per tutte queste ragioni, credo sia sbagliato e anche pericolosamente fuorviante descrivere Trump semplicemente come un altro, l’ennesimo, governante populista, alla stessa stregua di quelli che si stanno invece diffondendo in Europa e in altre parti del mondo. È qualcosa di diverso, e potenzialmente qualcosa di peggiore.
maurizio griffo dice
Vorrei rivolgere una domanda a La Palombara. Il fenomeno della radicalizzazione della contesa politica non è solo degli Stati Uniti, come mai questo avviene se non ci sono più le grandi ideologie?
Gianfranco Pasquino dice
LaPalombara ha scritto un articolo potentissimo. D’accordo: Trump non è populista. E’ peggio. La domanda è, all’italiana: rappresenta un pezzo della storia degli USA, una parte dell’autobiografia della nazione: un po’ di razzismo, un po’ di suprematismo bianco/macho, un po’ del credo individualista americano? oppure è qualcosa di inusitato e irripetibile?
Joseph LaPalombara dice
La domanda di Gianfranco è molto importante e merita una risposta con qualche elemento di cautela. Personalmente, vorrei che il fenomeno Trump fosse eccezionale e irripetibile; e già questa sarebbe una buona notizia per il futuro della democrazia americana. Ma come analista politico devo ammettere che il pericolo di un altro Trump – più intelligente e meno schizofrenico – alla Presidenza americana è piuttosto alto.
Oggi gli Stati Uniti sono divisi così come lo erano durante la Guerra Civile o anche prima, al momento della rivoluzione contro l’Inghilterra. Sono molti i fattori che ci hanno portati fino a questo punto, tra cui le differenze nei livelli di istruzione, i cambiamenti socio-demografici, persino un sistema elettorale che rende possibili Presidenti di minoranza. A ciò si aggiunga l’enorme espansione dei poteri presidenziali: una crescita che i Presidenti democratici, Bill Clinton e Barack Obama, hanno purtroppo assecondato. Molti osservatori e commentatori politici hanno messo in rilievo le profonde divisioni esistenti negli Stati Uniti, molte delle quali si riflettono automaticamente nell’arena politica. Considerata questa situazione, è probabile non dovremo aspettare troppo tempo prima di vedere all’Ufficio Ovale un altro Presidente come Trump, ugualmente temibile, dentro e fuori gli Stati Uniti.