La storia parlamentare italiana rappresenta un unicum nel panorama europeo quanto ad irrequietezza dei componenti le assemblee di Camera e Senato, tanto da alimentare non solo una vasta letteratura scientifica sull’argomento, ma addirittura rubriche gettonatissime su riviste e siti specializzati che mensilmente registrano, in un report annunciato con titoli da tabloid, l’andamento dei ‘cambi di casacca’.
Il fenomeno ha, com’è noto, molte ragioni, nobili e meno, ma tutte illustrate dallo stato comatoso dei partiti politici (combinato con leggi elettorali di ispirazione cooptativa e con l’uso improprio del divieto costituzionale del mandato imperativo), destinati all’inarrestabile décalage che negli ultimi anni ha prodotto cifre da patologia davvero impegnativa: 261 cambi di gruppo nella 16ma legislatura, 566 nella passata e 216 in questa, che ha superato da poco metà percorso.
Questa mobilità ha costruito – soprattutto a partire dalle ultime legislature – l’inedito dei Gruppi-Partito, e cioè di soggetti politici nati per secessione parlamentare dai ceppi più grandi oppure per confluenza in un unica identità parlamentare di singoli o piccoli drappelli numericamente insufficienti a far gruppo. In sostanza: realtà politiche che vivono solo nello specchio parlamentare, come le visioni di Alice nella lunga fiaba di Lewis Carroll, e non nel consenso elettorale.
Qualche esempio dal recente passato: Futuro e Libertà del presidente della Camera Fini, uscito dal Popolo delle Libertà nel 2010 portando con sé 48 parlamentari, presentatosi alle urne nel 2013 raccolse solo lo 0,47% e nessun eletto. Analogo epilogo quello dell’Alternativa Popolare del ministro degli Esteri Alfano, anch’egli in uscita, nel 2017, dall’alleanza di centro-destra, con un seguito di 49 parlamentari: al confronto con le urne non riuscì a superare lo sbarramento, fermandosi allo 0,5%.
Né andò molto meglio ai tre rivoli in cui si sfaldò Scelta Civica, la lista che faceva capo al senatore Mario Monti, che partorì, nella passata legislatura Democrazia solidale, Civici e Innovatori e Scelta Civica per l’Italia, accomunati dal medesimo, ingrato, destino della dimenticanza per estinzione. Più remoto nel tempo (scaviamo nella memoria della Prima Repubblica) il caso di Democrazia Nazionale, un partito che nacque, nel 1977, come gruppo parlamentare dopo la secessione di 30 deputati sui 50 dal MSI di Almirante. Presentatosi alle elezioni del 1979 raccolse solo lo 0,67% e neanche un seggio.
Dunque la storia politica racconta la vita grama dei Gruppi-partito, quasi sempre ologrammi parlamentari senza popolo. Caso diverso, invece, è quello del Movimento Cinque Stelle, nato con un forte imprinting antagonistico, illanguidito poi, una volta assunte responsabilità nelle istituzioni, da una vocazione governativa. Il M5S ha mostrato certamente di avere, nelle due tornate elettorali nazionali (ed europee) un grande consenso di popolo, raccolto, però, con esiti maggioritari nel livello elettorale parlamentare ma non in quello locale (nel 2013 elesse 163 parlamentari quasi raddoppiati, 339, nelle elezioni politiche del 2018, mentre sul piano regionale e comunale i risultati venivano fortemente ridimensionati).
Questa circostanza ha fatto del M5S un soggetto politico, non solo nella sua leadership, ma anche nelle sue strutture decisionali, fortemente caratterizzato dal suo ceto parlamentare. E la cosa, a ben vedere, è abbastanza comprensibile: si tratta di un’esperienza giovane sia nella storia del Movimento che nell’età dei suoi esponenti ai vertici della rappresentanza, che si muove e si modifica prendendo le misure dall’istituzione che sta imparando a conoscere.
Insomma: semmai il Parlamento abbia potuto svolgere un ruolo pedagogico nei confronti di chi lo abita, questo ruolo si è reso visibile e ancora si manifesta nel gruppo dei parlamentari del Movimento, in particolare della pattuglia governativa. La qual cosa mette in evidenza un altro aspetto rappresentato dalla scissura tra parlamentari e non, tra chi ha accolto e aderito alle procedure e alle modalità espressive delle istituzioni della Camera e del Senato, e chi ne è rimasto estraneo per difetto di conoscenza e per il non esserci. Sulla possibilità di comporre quella scissura, il Movimento si giocherà il suo futuro.
Strano caso quello dei pentastellati: sono certamente un soggetto politico che si identifica quasi esclusivamente con i gruppi parlamentari, così come è accaduto, e ancora accade, per le formazioni generate per partenogenesi parlamentare ma prive di popolo. A differenza di queste ultime, però, alla Camera e al Senato ci sono arrivati a furor di popolo. Riannodare le fila complicate di un rapporto incompiuto tra ‘locale’ e ‘nazionale’ sarà la scommessa che potrà garantire al Movimento la metamorfosi verso la forma-partito.
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