L’Antropocene è definita come l’era dominata dall’uomo che con la sua azione ha modificato la biosfera. Era di indubbio successo economico a danno però della Natura. Una dominanza ben rappresentata dall’esplosione demografica della specie umana che è passata da 1, 6 miliardi di persone del 1900 ai 7,7 di oggi a, forse, quasi 11 a fine secolo. Ma questa prospettiva è sostenibile dalle risorse naturali? Senza scomodare la teoria di Malthus, l’esplosione demografica spinge a domandarci: siamo in troppi? L’impronta ecologica della produzione è già così forte che potrebbe farci credere che una transizione ecologica solo sia sufficiente. Anche se azzerassimo la produzione di CO2 si dovrebbero ancora affrontare enormi crisi ecologiche, dalla perdita della biodiversità alla deforestazione, dall’acidificazione degli oceani alla sovrappopolazione, dalla grave perturbazione del ciclo dell’azoto (e di altri cicli biogeochimici) alla concentrazione di ozono nell’atmosfera. La correlazione tra crescita della popolazione mondiale e sfruttamento delle risorse naturali non può essere più trascurata.
I primi indicatori sull’impatto delle attività umane sull’ambiente analizzano la numerosità della popolazione, il consumo pro capite e, ovviamente, il danno ambientale prodotto fatto per unità di consumo. L’impronta ecologica oggi utilizzata – elaborata nel 1990 da Ress e Wackernagel – viene misurata in ettari globali e messa a confronto con la biocapacità. Se la superficie dell’impronta ecologica supera quella della biocapacità, cioè consumiamo più terra per soddisfare le richieste dalle attività umane e disponibili in natura – di «frutta e verdura, carne, pesce, legno, cotone per vestiti, e assorbimento di anidride carbonica» di quanto ne abbiamo a disposizione – si ha un deficit ecologico.
La tecnologia, migliorata progressivamente nel secolo breve, ha certo prodotto un più efficiente utilizzo delle risorse naturali che ha ridotto il tasso di crescita dell’aumento dell’impronta ecologica. Ossia la produttività ha consentito di ottenere rese sensibilmente maggiori con poca terra in più usata. Ma ciò è avvenuto a prezzo che saranno le prossime generazioni a pagare. L’utilizzo massivo di fertilizzanti, pesticidi ed erbicidi ha reso più del 60% delle terre coltivabili inquinate da pesticidi, mentre l’estendersi delle aree coltivate riduce l’habitat dell’80% delle specie, ponendole a rischio di estinzione, e compromettendo la biodiversità – già intaccata da interruzioni dovute a strade e ferrovie, estrazione mineraria, urbanizzazione e disboscamento.
La crescita della popolazione e lo sviluppo economico imposto da una economia predatoria stanno già imponendo rischi di estinzione per molte specie e per l’uomo stesso – che è parte della natura – e impatta sull’integrità della biosfera ed in particolare sul riscaldamento climatico, quindi anche sul nostro benessere complessivo. Ci sono vie di fuga meno drastiche rispetto a riprodursi di meno. Se vogliamo ridurre l’impronta di carbonio si deve cambiare stile di vita poiché gli impatti su biodiversità e risorse dipendono dal numero di persone e dal modo in cui vivono. La de-carbonizzazione dell’economia non sarà da sola sufficiente a farci superare la crisi climatica, se non modifichiamo i modi di consumo, di produzione agricola, di allevamento del bestiame, di urbanizzazione e di trasporto.
Occorre allora riconoscere l’offerta di risorse naturali non riproducibili non è infinita e che il sistema di mercato è incapace di co-ordinare – se non altro perché i prezzi sono determinati dal valore di scambio e non da quello d’uso (e la biosfera è un tipico ‘bene’ che ha valore d’uso ma non di scambio). Se è difficile quantificare i danni diretti operati dall’uomo nel corso delle sue attività produttive, appare ancora più difficile calcolare il costo delle ripercussioni indirette, come quelle causate dai cambiamenti climatici. Le condizioni sopra ricordate ci ammoniscono ad affrontare i problemi della crisi del sistema: distribuzione iniqua, povertà e precarietà in aumento. Si può così individuare un disegno strategico: produrre in modo compatibile con l’ambiente e con l’umanità, cioè col benessere e non col PIL, mentre l’aumento demografico sta mettendo in forte pressione la biodiversità.
Ferdinando Mach dice
Cominciamo a proibire in Europa il cancerogeno glifosato .
A meno che si sottintenda usarlo usarlo come arma di sterminio di massa .