Il caso del piccolo Alfie Evans non può non riproporre alla nostra memoria la vicenda dolorosa di Charlie Gard. Diverse, certo – occorre sottolinearlo – le due condizioni: Charlie era affetto da una rarissima malattia che poteva essere aperta ad una terapia sperimentale, seppure dall’esito incerto, mentre per Alfie mancava una diagnosi clinicamente certa, dal momento che non si conosceva la causa della sua patologia. E, tuttavia, le domande che ci poniamo per entrambi sollevano ancora una volta i massimi problemi della bioetica: il conflitto tra sacralità e qualità della vita, i rapporti controversi tra morale e medicina, la relazione complessa tra etica e diritto. Chi può stabilire i limiti di una cura? Qual è il potere degli ospedali sui pazienti? Quali i diritti dei genitori? Siamo tutti d’accordo sul rifiuto dell’accanimento terapeutico, da intendersi come «l’ostinazione in trattamenti da cui non si possa fondatamente attendere un beneficio per la salute del malato e/o un miglioramento della qualità di vita» – e su questa base si è varata la recente legge sul biotestamento con una significativa convergenza tra differenti tradizioni morali, sia religiose che laiche – ma i due casi costituiscono un esempio emblematico di come il principio del rifiuto, nella sua applicazione a casi concreti, possa dar luogo a conflitti insanabili oltre che, come vedremo, a nuove forme di accanimento. [Leggi di più…]