Le elezioni europee dell’8-9 giugno hanno confermato la crisi profonda in cui versa la democrazia italiana: che si tratti di ’mal comune mezzo gaudio’ non consola molto, dimostrando solo come il nostro abbia reazioni sempre più simili a quelle degli altri paesi dell’area euro-occidentale. Quali sono i sintomi più gravi della malattia? Ne elenco solo due. [Leggi di più…]
Ucraina: zoom-out sulla situazione mondiale
Anche chi dava per buone le ragioni dichiarate da Putin all’inizio della guerra oggi sembra averle dimenticate. Restano le ragioni del potere a costo di ogni violenza e irragionevolezza. Ci domandiamo come finirà questa guerra e consumiamo informazioni sulle fortificazioni russe e le incursioni ucraine che lo zoom-in di riprese satellitari ingrandiscono. Proviamo a invertire lo zoom. Facciamo zoom-out. Riducendo la scala e allargando il quadro, forse diamo un senso a questa guerra.
Per molti, il mondo contemporaneo è un sistema che si auto-governa grazie ai global governors: multinazionali, associazioni epistemiche, organizzazioni non-governative, organizzazioni internazionali e stati. Essi producono global governance concordando standards e regole di gestione dei problemi collettivi: ad esempio gli standards per la fruibilità universale di internet e quelli di corporate responsibility concordati da networks di multinazionali. C’è del vero in questa concezione che non è del tutto vera. Esistono un sistema politico mondiale e un ordine che sono determinati dagli stati e non da altri global governors. Solo gli stati hanno giurisdizione su porzioni del pianeta nelle quali quanto è concordato dai global governors diventa efficace se e fino a quando i governi lo ritengono opportuno. Contro questa visione della global governance, la guerra in Ucraina ha suonato la sveglia. Abbiamo aperto gli occhi su una situazione del mondo che avevamo trascurato: la transizione dell’ordine politico mondiale.
Gli ordini politici si costruiscono nel sistema politico di ogni società in risposta a problemi collettivi. Ogni ordine politico ha un ciclo di vita. È instaurato da attori politici collettivi (fazioni, partiti, coalizioni) che propongono un progetto di istituzioni politiche e di risposte ai problemi collettivi. Una volta accolta e reputata legittima dagli altri soggetti la pretesa di autorità di una coalizione, il ciclo dell’ordine politico è determinato dalla reputazione delle istituzioni e delle risposte politiche ai problemi collettivi. La soddisfazione dei soggetti per le politiche dà stabilità all’ordine; l’insoddisfazione conduce alla transizione verso un altro ordine.
Se facciamo zoom-out sugli ultimi settanta anni, vediamo che la guerra in Ucraina accade in una situazione dell’ordine mondiale che è diversa da quando è stato legittimato il progetto della coalizione occidentale che, dopo aver vinto la guerra insieme all’Unione Sovietica, la ha emarginata dall’attuazione dell’ordine. Vediamo che, dopo la fase di attuazione di quel progetto, conclusa intorno alla fine degli anni Sessanta, la guerra in Ucraina rende palese l’apertura della transizione dell’ordine. Oggi quello che conta è il declino delle politiche con le quali, dopo la guerra, si sono affrontati i problemi collettivi della finanza, del commercio e della sicurezza degli stati con il metodo multilaterale delle istituzioni costituite sotto la leadership occidentale. Alcuni problemi collettivi non sono entrati nell’agenda dell’ordine mondiale; altri vi sono entrati ma non sono approdati al traguardo di politiche mondiali; altri, infine, come la proliferazione nucleare, la sicurezza alimentare, le pandemie e la crisi ambientale, sono maturati successivamente. Dalla fine della guerra, le politiche di FMI, Gatt/OMC e NU hanno promosso l’interdipendenza tra gli stati e causato trasformazioni non previste che hanno generato aspettative di cambiamento delle istituzioni e politiche mondiali. Recentemente, comunque, il problema climatico ha evidenziato l’importanza della risposta multilaterale perché le risposte unilaterali e minilaterali aggravano i problemi collettivi mondiali. Il policy-making della politica climatica, scarsamente conosciuto, ha evidenziato un dato non preso in considerazione dalle politiche mondiali del dopoguerra: i problemi collettivi devono essere affrontati con politiche-quadro mondiali di cui ogni stato ha la national ownership decisionale, revisionale e attuativa. In sede multilaterale gli stati devono avere gli stessi diritti decisionali nella formazione e nella revisione della politica (vedi le COP della politica climatica). L’attuazione della politica deve essere differenziata in base alle condizioni degli stati e la politica-quadro mondiale deve includere risorse di capability-building degli stati che non le posseggono, così come le politiche del welfare state hanno reso larghi strati di cittadini capaci di conformarsi all’ordine politico interno evitando crisi e rivolte.
Allargando lo zoom, quindi, il muro contro muro prodotto dall’azione sconsiderata dei leaders russi è spiegato dalla situazione di transizione dell’ordine mondiale. In termini più chiari, la delegittimazione delle politiche mondiali esistenti ha ceduto il passo alla situazione di transizione dell’ordine. Si pensi alla sfida alla centralità del dollaro nella politica finanziaria mondiale portata dalle banche finanziarie mondiali create dalla Cina e al pagamento in rubli dell’energia russa; al declino delle regole dell’OMC per ridurre le barriere al commercio portata dagli stessi Stati Uniti; all’inefficacia della politica contro l’aggressione letale a uno stato affidata a cinque stati nel Consiglio di sicurezza portata dal governo russo. Quali che siano le ragioni della guerra in Ucraina e quali che siano i giudizi politici e morali su questa guerra dei governi cinese, indiano e di molti altri governi non occidentali, essi non si associano ai governi occidentali per indebolire l’attuale ordine mondiale.
Nella transizione si tratta di proporre un disegno di istituzioni e politiche che possa essere legittimato da un largo numero di stati inizialmente con la ratifica di trattati internazionali e successivamente con l’attuazione mediante leggi e politiche interne conformi. I governi che sostengono la necessità di un ordine mondiale rules-based, fondato sul diritto internazionale, evidenziano solo una parte del fondamento dell’ordine. Dopo la guerra mondiale, il mondo è entrato in un ordine policy-based che oggi è più che mai necessario a causa del numero e dell’urgenza di problemi collettivi come il problema climatico.
Il senso della guerra in Ucraina è dentro questa situazione di transizione dell’ordine. In questa situazione, ha luogo un lungo processo di riconfigurazione delle coalizioni che supportano diversi disegni di ordine. Il processo termina con la prevalenza di una coalizione sulle altre oppure con la composizione dei diversi disegni di ordine, ma questa in passato non si è verificata. La guerra in Ucraina contiene rischi di escalation e ostacola il dialogo tra i potenziali leaders di coalizioni. Da una parte, gli stati che accettano di conformare le politiche interne a quelle mondiali. Dall’altra, gli stati che intendono conservare intatta la sovranità sulle politiche interne. Se la composizione di questi orientamenti è possibile, richiede comunque tempi lunghi. La situazione mondiale attuale non è di breve durata così come non lo sono state le transizioni del passato.
Violenza di genere e femminicidio. Le sfide per il nuovo Governo
Per la prima volta nel nostro Paese sarà una donna a divenire premier: a livello simbolico un’inversione di rotta in un ambito tradizionalmente marcato al maschile, soprattutto per quanto riguarda le posizioni apicali. E lo diventerà anche grazie al voto delle donne che ne condividono le idee e forse apprezzano il suo essere ‘donna’ (tra coloro che sono andate a votare, il 62,2% delle aventi diritto al voto, il 27% ha votato per FdI, il 21% per il PD e il 15% per il Movimento 5 stelle; fonte: onData). [Leggi di più…]
Un commento a Vittorio Possenti
Vittorio Possenti, nel suo intervento L’insegnamento sociale della chiesa fonte di ispirazione per molte dottrine politiche?, ci richiama, in sostanza, all’adagio antico extra Ecclesiam nulla salus. Non sono un neo-illuminista né un ateo razionalista, non amo i laicisti né, tanto meno, quelli che un tempo venivano definiti i mangiapreti. Inoltre ho avuto una formazione laica ed empirista—i miei maestri erano Guido Calogero, Norberto Bobbio, Nicola Abbagnano, e in genere l’ala liberale della cultura azionista—che solo in età matura mi ha fatto scoprire che, nel nostro paese, c’è una filosofia cattolica che non ha nulla da invidiare a quella laica e i cui esponenti, Augusto Del Noce, Sergio Cotta, Vittorio Mathieu, Pietro Prini etc. avevano scritto—e continuano a scrivere, è il caso di Sergio Belardinelli, di Francesco D’Agostino e di qualche altro saggista– pagine sul nostro tempo, sulla cultura europea, sulla storia d’Italia, sull’etica politica, sulla civiltà del diritto spesso persino più profonde e meditate di quelle, assai più note, delle mie vecchie guide laiche. Fatta questa premessa e chiarito che non ho nulla contro il mondo cattolico e tanto meno contro intellettuali rispettabili e impegnati nella ricristianizzazione della società contemporanea, come Vittorio Possenti, debbo rilevare, ahimè, che al vaglio della mia ‘ragione scettica’(in senso humeano), risultano di colore oscuro le sue parole: <“Finalità immediata della dottrina sociale | della Chiesa | è quella di proporre i principi e i valori che possono sorreggere una società degna dell’uomo” (Centesima Annus, n. 10). Conosciamo questi principi: la persona, il bene comune, la destinazione universale dei beni, i limiti del mercatismo liberista, la sussidiarietà, la partecipazione, la solidarietà, la custodia del creato e della vita. |…| La categoria ‘persona’ è e rimane un’idea fondamentale nella controversia sull’humanum in corso ovunque>.
L’insegnamento sociale della chiesa fonte di ispirazione per molte dottrine politiche?
La questione delle culture politiche italiane e della loro quasi scomparsa nel corso degli ultimi 25 anni è tema appassionante e concreto, a cui Paradoxa ha dedicato il n. 4 del 2015 (ottobre-dicembre) con contributi di prim’ordine. Essi hanno ripercorso i momenti storicamente di svolta e le principali battaglie ideali in cui hanno preso carne tali culture (socialista, cattolico-democratica, comunista, di destra, azionista, liberale, federalista, gramsciazionista). Con tesi ad effetto ma non infondata G. Pasquino sostiene che nella notte in cui crollò il muro di Berlino, crollarono parimenti le molteplici culture politiche italiane, che già all’epoca mostravano variamente segni di fragilità. Il giudizio è forte, e gli stessi interlocutori hanno perlopiù mantenuto la speranza che talune tra quelle culture politiche non siano definitivamente tramontate.
La scomparsa delle culture politiche in Italia: note non troppo a margine
Ho riflettuto a lungo sugli interventi apparsi nel fascicolo di Paradoxa dedicato alla scomparsa delle culture politiche (n. 3/2015), anche dopo la sua uscita, e sulla discussione con Nicola Antonetti, Rosy Bindi, Mario Morcellini e Antonio Polito in occasione della tavola rotonda di presentazione. Ne sono venute queste note a margine.
Come già perspicacemente rilevato da Laura Paoletti nella sua introduzione al fascicolo, è vero che, in modi e con intensità diverse, tutti i collaboratori “pur nell’unanime riconoscimento di una profonda crisi” si sono opposti a “controfirmare la scomparsa effettiva e definitiva del patrimonio culturale di cui sono rispettivamente chiamati a farsi interpreti”. In un modo o nell’altro, tutti hanno cercato di negare che la cultura loro affidata è scomparsa. [Leggi di più…]