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Addio Vanni

5 Aprile 2017 di La redazione Lascia un commento

 

È solo rieducando l’orecchio contemporaneo ad un ascolto in prospettiva storica che può risuonare il significato della «repubblica» alla cui costruzione Sartori si è dedicato. Ci sono voluti duemila anni – sostiene – per passare dalla democrazia della polis, cioè della comunità, a quella dello Stato; anni durante i quali di democrazia non si è più parlato: «Per indicare l’ottimo regime, la forma politica ideale, si disse respublica, “cosa pubblica”» (La democrazia in trenta lezioni, Mondadori, 2008, p. 39). E proprio questo lungo passaggio intermedio per la respublica è indispensabile per comprendere la differenza qualitativa tra la nostra idea di democrazia e quella degli antichi, che sembra incarnare l’ideale della partecipazione di «tutti» entro la polis e che invece è, di fatto, la democrazia orizzontale della città-comunità: una città senza Stato, dunque senza rappresentanza, dunque – per come oggi la intendiamo – senza democrazia. La democrazia degli antichi, cioè quella diretta, si traduce in decisioni a somma nulla, mentre quella dei moderni produce decisioni a somma positiva: «La prima suddivideva il demos in vincitori e vinti, la seconda consente a tutti di ottenere qualcosa» (p. 40).

(Estratto dall’editoriale di «Paradoxa» 1/2014, La Repubblica di Sartori, a cura di G. Pasquino, p. 10)

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Un ricordo di Giovanni Sartori

5 Aprile 2017 di Marco Valbruzzi 3 commenti

Ho incontrato Giovanni Sartori per l’ultima volta il 23 ottobre, nella sua casa romana, avvolto come sempre da appunti, libri, ritagli di giornale e una vestaglia blu cobalto che sapeva indossare con grande maestria. L’età, i suoi quasi 93 anni, stavano mettendo a dura prova la sua resistenza fisica. Si lamentava perché non poteva più scrivere: quella mano, con la quale aveva scritto gli articoli più pungenti per il «Corriere della Sera» o alcuni dei capolavori assoluti della scienza politica, tuttora insuperati, continuava irrimediabilmente a tremare e non gli permetteva più di trasferire sulla carta le ancora tantissime idee che gli giravano per la testa. Per lui, che della parola scritta e della pulizia dei concetti e del linguaggio è sempre stato un maestro, quella era una condanna pesante, una punizione di cui non riusciva a darsi pace. [Leggi di più…]

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