C’è una domanda alla quale non so rispondere. Se è vero, come è stato scritto da autorevoli politologi, che “bisogna dire a chiarissime lettere che esiste una linea divisoria netta fra democrazie e non-democrazie”, se è vero che la vicenda ucraina e oggi quella israeliana sono la dimostrazione che l’Occidente è sotto assedio, che più della metà del pianeta non si riconosce nelle democrazie liberali, nei diritti di libertà civili e politiche, nel rispetto della dignità umana, nell’eguaglianza dei sessi, nella laicità dello Stato, che sono (sarebbero) a fondamento delle nostre istituzioni, non ne dovrebbe derivare l’impegno a non rafforzare le autocrazie, a limitare drasticamente gli ‘affari’ con i gangster internazionali, per non irrobustirli economicamente e impedire che la ricchezza accumulata si converta in armi puntate contro di noi? [Leggi di più…]
Perché SVB non è Lehman Brothers
La memoria del capitombolo nel 2008 di Lehman Brothers, seconda più grande banca d’investimento USA, è ancora troppo vivida così da far pensare a molti che la caduta nella polvere di Silicon Valley Bank (SVB) potrebbe aprire uno scenario analogo quindici anni dopo. [Leggi di più…]
Perché le crisi attuali non sono ‘cigni neri’
Si sta ormai diffondendo un nuovo vocabolo – policrisi – per definire l’intricata situazione economico-politico-sociale in cui stiamo vivendo, che vede crisi di tipo diverso inanellarsi e contagiarsi da ormai una quindicina d’anni. [Leggi di più…]
Ucraina: zoom-out sulla situazione mondiale
Anche chi dava per buone le ragioni dichiarate da Putin all’inizio della guerra oggi sembra averle dimenticate. Restano le ragioni del potere a costo di ogni violenza e irragionevolezza. Ci domandiamo come finirà questa guerra e consumiamo informazioni sulle fortificazioni russe e le incursioni ucraine che lo zoom-in di riprese satellitari ingrandiscono. Proviamo a invertire lo zoom. Facciamo zoom-out. Riducendo la scala e allargando il quadro, forse diamo un senso a questa guerra.
Per molti, il mondo contemporaneo è un sistema che si auto-governa grazie ai global governors: multinazionali, associazioni epistemiche, organizzazioni non-governative, organizzazioni internazionali e stati. Essi producono global governance concordando standards e regole di gestione dei problemi collettivi: ad esempio gli standards per la fruibilità universale di internet e quelli di corporate responsibility concordati da networks di multinazionali. C’è del vero in questa concezione che non è del tutto vera. Esistono un sistema politico mondiale e un ordine che sono determinati dagli stati e non da altri global governors. Solo gli stati hanno giurisdizione su porzioni del pianeta nelle quali quanto è concordato dai global governors diventa efficace se e fino a quando i governi lo ritengono opportuno. Contro questa visione della global governance, la guerra in Ucraina ha suonato la sveglia. Abbiamo aperto gli occhi su una situazione del mondo che avevamo trascurato: la transizione dell’ordine politico mondiale.
Gli ordini politici si costruiscono nel sistema politico di ogni società in risposta a problemi collettivi. Ogni ordine politico ha un ciclo di vita. È instaurato da attori politici collettivi (fazioni, partiti, coalizioni) che propongono un progetto di istituzioni politiche e di risposte ai problemi collettivi. Una volta accolta e reputata legittima dagli altri soggetti la pretesa di autorità di una coalizione, il ciclo dell’ordine politico è determinato dalla reputazione delle istituzioni e delle risposte politiche ai problemi collettivi. La soddisfazione dei soggetti per le politiche dà stabilità all’ordine; l’insoddisfazione conduce alla transizione verso un altro ordine.
Se facciamo zoom-out sugli ultimi settanta anni, vediamo che la guerra in Ucraina accade in una situazione dell’ordine mondiale che è diversa da quando è stato legittimato il progetto della coalizione occidentale che, dopo aver vinto la guerra insieme all’Unione Sovietica, la ha emarginata dall’attuazione dell’ordine. Vediamo che, dopo la fase di attuazione di quel progetto, conclusa intorno alla fine degli anni Sessanta, la guerra in Ucraina rende palese l’apertura della transizione dell’ordine. Oggi quello che conta è il declino delle politiche con le quali, dopo la guerra, si sono affrontati i problemi collettivi della finanza, del commercio e della sicurezza degli stati con il metodo multilaterale delle istituzioni costituite sotto la leadership occidentale. Alcuni problemi collettivi non sono entrati nell’agenda dell’ordine mondiale; altri vi sono entrati ma non sono approdati al traguardo di politiche mondiali; altri, infine, come la proliferazione nucleare, la sicurezza alimentare, le pandemie e la crisi ambientale, sono maturati successivamente. Dalla fine della guerra, le politiche di FMI, Gatt/OMC e NU hanno promosso l’interdipendenza tra gli stati e causato trasformazioni non previste che hanno generato aspettative di cambiamento delle istituzioni e politiche mondiali. Recentemente, comunque, il problema climatico ha evidenziato l’importanza della risposta multilaterale perché le risposte unilaterali e minilaterali aggravano i problemi collettivi mondiali. Il policy-making della politica climatica, scarsamente conosciuto, ha evidenziato un dato non preso in considerazione dalle politiche mondiali del dopoguerra: i problemi collettivi devono essere affrontati con politiche-quadro mondiali di cui ogni stato ha la national ownership decisionale, revisionale e attuativa. In sede multilaterale gli stati devono avere gli stessi diritti decisionali nella formazione e nella revisione della politica (vedi le COP della politica climatica). L’attuazione della politica deve essere differenziata in base alle condizioni degli stati e la politica-quadro mondiale deve includere risorse di capability-building degli stati che non le posseggono, così come le politiche del welfare state hanno reso larghi strati di cittadini capaci di conformarsi all’ordine politico interno evitando crisi e rivolte.
Allargando lo zoom, quindi, il muro contro muro prodotto dall’azione sconsiderata dei leaders russi è spiegato dalla situazione di transizione dell’ordine mondiale. In termini più chiari, la delegittimazione delle politiche mondiali esistenti ha ceduto il passo alla situazione di transizione dell’ordine. Si pensi alla sfida alla centralità del dollaro nella politica finanziaria mondiale portata dalle banche finanziarie mondiali create dalla Cina e al pagamento in rubli dell’energia russa; al declino delle regole dell’OMC per ridurre le barriere al commercio portata dagli stessi Stati Uniti; all’inefficacia della politica contro l’aggressione letale a uno stato affidata a cinque stati nel Consiglio di sicurezza portata dal governo russo. Quali che siano le ragioni della guerra in Ucraina e quali che siano i giudizi politici e morali su questa guerra dei governi cinese, indiano e di molti altri governi non occidentali, essi non si associano ai governi occidentali per indebolire l’attuale ordine mondiale.
Nella transizione si tratta di proporre un disegno di istituzioni e politiche che possa essere legittimato da un largo numero di stati inizialmente con la ratifica di trattati internazionali e successivamente con l’attuazione mediante leggi e politiche interne conformi. I governi che sostengono la necessità di un ordine mondiale rules-based, fondato sul diritto internazionale, evidenziano solo una parte del fondamento dell’ordine. Dopo la guerra mondiale, il mondo è entrato in un ordine policy-based che oggi è più che mai necessario a causa del numero e dell’urgenza di problemi collettivi come il problema climatico.
Il senso della guerra in Ucraina è dentro questa situazione di transizione dell’ordine. In questa situazione, ha luogo un lungo processo di riconfigurazione delle coalizioni che supportano diversi disegni di ordine. Il processo termina con la prevalenza di una coalizione sulle altre oppure con la composizione dei diversi disegni di ordine, ma questa in passato non si è verificata. La guerra in Ucraina contiene rischi di escalation e ostacola il dialogo tra i potenziali leaders di coalizioni. Da una parte, gli stati che accettano di conformare le politiche interne a quelle mondiali. Dall’altra, gli stati che intendono conservare intatta la sovranità sulle politiche interne. Se la composizione di questi orientamenti è possibile, richiede comunque tempi lunghi. La situazione mondiale attuale non è di breve durata così come non lo sono state le transizioni del passato.
Sovranità e futuro dell’Europa
È stato scritto che il processo di integrazione europea, dopo i suoi inizi dovuti alla necessità di superare la cultura del conflitto che aveva distrutto l’Europa e di rispondere alle pressioni americane, ha fatto passi in avanti solo a seguito di crisi. E ciò perché la “sovranità” a cui le nazioni europee si erano abituate nel corso dei secoli da quando erano sorte era ancora considerato l’unico strumento capace di garantire libertà e sicurezza ai cittadini di ciascuna “patria”, anche se poi produceva conflitti devastanti fino alle due guerre mondiali. L’aver adottato un metodo di integrazione per “steps” ha garantito a lungo il bilanciamento tra le nuove sfide e il mantenimento il più a lungo possibile di tutta la “sovranità” che si poteva mantenere. [Leggi di più…]
Per una globalizzazione inclusiva
Si va parlando, ormai da qualche tempo, di crisi della globalizzazione – una crisi che, iniziata ben prima dell’elezione di Donald Trump, sta registrando una preoccupante accelerazione dopo la nuova presidenza americana. È un fatto che, dall’inizio della crisi finanziaria del 2007-08, il commercio mondiale non si è più ripreso. Cosa è successo al libero scambio?, titolava un paio di settimane fa il prestigioso «Wall Street Journal». Si pensi anche al fallimento dei negoziati sul trattato del Ttip (Transatlantic Trade and Investiment Partneship) tra USA e UE, materializzatosi alla vigilia dell’ascesa di Trump. Un aspetto della questione non deve passare sotto silenzio: mentre abbondano riflessioni e analisi intorno ai possibili effetti negativi delle tendenze in atto, non altrettanto si può dire della ricerca delle cause profonde di quanto va accadendo. [Leggi di più…]
L’involuzione sovranista fa male all’Europa (e al mondo)
Il sollievo che ci ha regalato Emmanuel Macron sconfiggendo Marine Le Pen durerà poco. Torneremo subito a confrontarci con questa fase convulsa della storia in cui stanno tramontando i vecchi assetti senza che si intravedano quelli nuovi. Le grandi incertezze con cui fare i conti vanno dal lavoro e la salute, alle crescenti disuguaglianze, ai flussi di migranti, ai problemi dell’ambiente. Sono tutte questioni che non si prestano a soluzioni nazionali, tantomeno per Paesi piccoli.
Però soffiano da più parti venti nazionalisti o, come ora si dice, sovranisti. È naturale che, siccome l’incertezza deriva in specie dalla globalizzazione, rafforzare i confini nazionali paia una via d’uscita. Ma l’idea che «la globalizzazione ha causato i problemi, quindi rimuoverla li risolverà» è un sillogismo errato. Anziché parte della soluzione, ciò rischierebbe di essere parte del problema, aggravandolo. [Leggi di più…]