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Il ritorno del Mattarellum?

La fuoruscita costituzionale dall’Italicum

13 Febbraio 2017 di Gianfranco Pasquino Lascia un commento

Le motivazioni della sentenza della Corte Costituzionale n.35/2017 non soltanto confermano l’esistenza di incostituzionalità per alcune clausole dell’Italicum, ma offrono alcune importanti indicazioni su cui riflettere anche per valutare retrospettivamente e prospettivamente i tanti, troppi strafalcioni dei sostenitori dell’Italicum.

Primo, più volte la Corte scrive a chiarissime lettere che l’Italicum è una legge elettorale proporzionale. «La logica prevalente della legge [è] fondata su una formula di riparto proporzionale dei seggi». Questo dovrebbe bastare a zittire tutti coloro che straparlano di un ritorno alla proporzionale. Di tipi di leggi elettorali proporzionali ne esistono moltissimi, e la flessibilità/adattabilità è un pregio dei sistemi proporzionali.  L’Italicum, come il suo babbo, il Porcellum, è un sistema proporzionale stravolto dalle modalità di assegnazione di un premio di maggioranza eccessivo. Non stiamo tornando «alla proporzionale». La Corte invita a scrivere una legge elettorale decente che, qualora sia proporzionale, deve assomigliare il meno possibile all’Italicum.

Secondo, l’Italicum non era neppure lontano parente della legge usata per eleggere sindaci e consigli comunali. La pessima espressione «sindaco d’Italia» non è solo fuorviante. È anche, semplicemente, sbagliata. Al proposito, la Corte merita una citazione verbatim. Sottolineata la «logica distinta» che ispira la legge per «l’elezione di una carica monocratica, quale è il sindaco», la Corte sottolinea che «ciò che più conta è che quel sistema si colloca all’interno di un assetto istituzionale caratterizzato dall’elezione diretta del titolare del potere esecutivo locale, quindi ben diverso dalla forma di governo parlamentare prevista dalla Costituzione a livello nazionale». Punto, definitivo.

Terzo, l’obbligo, se le cose rimangono come sono riguardo alle candidature multiple, non gradite, ma neppure ritenute incostituzionali dalla Corte, l’individuazione attraverso il sorteggio della circoscrizione della quale la pluricandidata e plurieletta (ricorro al fastidioso politically correct, poi le donne faranno i loro conti) diventerà rappresentante è intesa a togliere dalle mani dei capipartito/capicorrente che già hanno sparato i loro colpi paracadutando i loro beniamini, un’arma: quella di scegliere chi lasciare fuori fra coloro che sono i primi non eletti dietro la pluriparacadutata. Peraltro, la Corte non impone il sorteggio se il legislatore saprà offrire una soluzione migliore, ad esempio, l’elezione nella circoscrizione in cui la pluricandidata è risultata più votata.

Infine – ma questo discorso non sarà di facile comprensione per tutti coloro che si sono riempiti la bocca con la parola governabilità per loro assicurabile soltanto da un cospicuo premio di maggioranza – la Corte sottolinea un notevole numero di volte la necessità di dare rappresentanza adeguata all’elettorato. In un certo, forte, senso, rappresentatività batte governabilità, con il punteggio, diciamo, 5 a 1, poiché «ad un’assemblea elettiva nel contesto di un regime parlamentare» spetta, anzitutto e soprattutto, garantire buona rappresentanza. Con questi criteri nessuno dei corifei politici e accademici del boschianrenzismo supera l’esame. Con questi criteri merita valutare da adesso in poi tutte le proposte. Fiat lux.

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L’incostituzionalità dell’Italicum

6 Febbraio 2017 di Andrea Pertici Lascia un commento

L’Italicum è incostituzionale: lo ha dichiarato la Consulta con sentenza 25 gennaio 2017.

In attesa che vengano depositate le motivazioni, il comunicato stampa precisa che i profili di incostituzionalità sono due: 1) l’attribuzione del premio di maggioranza anche a seguito di ballottaggio, a chi non raggiunga, al primo turno, la soglia minima del 40%; 2) la possibilità per i capilista bloccati che si possono candidare in più collegi (fino a dieci) di scegliere del tutto arbitrariamente uno tra quelli in cui sono risultati eletti, selezionando così anche quali altri compagni di partito far accedere alla Camera.

Si tratta di una decisione attesa, in base alla sent. n. 1/2014, in cui si rilevava l’incostituzionalità del Porcellum laddove prevedeva l’attribuzione di seggi in più a chi  avesse ottenuto anche un solo voto in più del secondo classificato, proprio come nell’Italicum avveniva a seguito del ballottaggio. Questo, in effetti – diceva la Corte – determina un’illimitata compressione della rappresentatività, con un totale «rovesciamento della formula elettorale prescelta», cioè il proporzionale, posto alla base del Porcellum e dell’Italicum, che ingenera nell’elettore la legittima aspettativa che non si determini uno squilibrio nel peso del voto in uscita. Il premio di maggioranza non trasforma – a differenza di quanto talvolta si sente dire con approssimazione – il sistema in maggioritario, ma semplicemente innesta sul proporzionale un’alterazione per realizzare la stabilità di governo (considerato che quest’ultimo, in una forma parlamentare, deve poi ottenere la fiducia in Parlamento). Quest’ultima, però – prosegue la sentenza – è un obiettivo costituzionale che deve essere garantito nel rispetto del vincolo del minor sacrificio possibile per la rappresentanza. E questo ovviamente non avviene con un premio, che, ad esempio, nelle elezioni politiche del 2013, ha portato, con il Porcellum, al 55% dei seggi una coalizione che aveva ottenuto circa il 29% dei voti, mentre – se ci fosse stato l’Italicum – avrebbe portato al 55% dei seggi quella delle due liste che avevano ottenuto circa il 25% dei voti al primo turno che al ballottaggio ne avesse preso uno più dell’altra. [Leggi di più…]

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La via maestra di una nuova legge elettorale per Camera e Senato

2 Febbraio 2017 di Federico Fornaro 1 commento

Sono stato uno dei ventiquattro senatori della minoranza del Partito Democratico che non partecipò al voto sull’Italicum, mentre alla Camera dieci componenti, sempre della minoranza dem, della Commissione Affari Costituzionali furono sostituiti, una quarantina di deputati del Pd votarono contro (o non risposero alla chiamata) la fiducia posta dal governo sulla legge elettorale e il capogruppo Roberto Speranza si dimise da capogruppo.

A due anni di distanza, la Corte Costituzionale ha confermato la fondatezza di molti nostri rilievi a cominciare dal ballottaggio e, se mi è consentito, anche la giustezza della difesa intransigente dell’idea che, a maggior ragione dopo la bocciatura del «Porcellum», si dovesse ricercare un corretto equilibrio tra le esigenze della rappresentanza e quelle relative alla stabilità dei governi.

In una visione sistemica, e al netto quindi di chi ha contrastato con ragioni dimostratesi fondate l’iniziativa del Governo, per le forze politiche e per il Parlamento la pronuncia della Corte Costituzionale sull’Italicum rappresenta, però, una sconfitta tanto netta quanto amara. [Leggi di più…]

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Quel che serve per un sistema elettorale decente

22 Gennaio 2017 di Marco Valbruzzi 1 commento

Il 24 gennaio i giudici della Corte ci faranno conoscere il loro parere sulla costituzionalità dell’Italicum e tutti assieme, non proprio appassionatamente, torneremo a discutere del nuovo – l’ennesimo – sistema elettorale in grado di risollevare la fiacca democrazia italiana. Ricomincerà l’eterna discussione tra i proporzionalisti e i maggioritaristi (per non dire dei «mististi», molto in voga nel nostro paese, e cioè quelli che vorrebbero «un po’ e un po’», convinti che per scovare il Sacro Graal dei sistemi elettorali basti mettere assieme «il meglio dei due mondi»); ci saranno coloro che in modo truffaldino suggeriranno ai potenti di turno la loro miscela magica in grado di garantire, in un sol colpo, rappresentatività e governabilità; non mancheranno poi i «simulatori», ossia quello stuolo di esperti elettorali, di ogni ordine e grado, che simuleranno scenari ipotetici sulla base di assunti irrealistici e di leggi elettorali alquanto improbabili; infine, verranno riesumati i latinisti della domenica, quelli che non hanno ancora capito che il gioco di affibbiare nomignoli col latinorum alle nostre vicissitudini elettorali è bello finché dura poco e, soprattutto, fino a quando non ci fa perdere di vista l’importanza della questione.

Se questo è tutto quello che ci aspetta, almeno per i prossimi tre o quattro mesi, ritengo sia utile fare un po’ di chiarezza su alcuni nodi fondamentali attorno ai quali verterà l’intero dibattito elettoralistico. Due, in particolare, mi paiono le questioni che meritano di essere approfondite e sulle quali intendo concentrarmi. La prima è l’idea di governabilità che, nell’assurda declinazione che ne danno i nostri soi-disants riformatori, è diventata soltanto un modo diverso/perverso per sostenere che i sistemi elettorali, nessuno escluso, debbano «fabbricare» maggioranze, e cioè trasformare minoranze elettorali, spesso infime, in maggioranze parlamentari. In questo modo, la (fraintesa) governabilità diventa soltanto una formula matematica, un prodotto di più o meno complessi algoritmi in grado di costruire maggioranze out of the blue, dal nulla. Allo stesso tempo, questa concezione – puramente aritmetica – offre enormi alibi ai nostri governanti: se non si raggiunge l’agognata governabilità, la colpa è sempre dei meccanismi elettorali imperfetti e mai dei «manovratori».

Fig. 1 – Maggioranze «naturali» e maggioranze «fabbricate» in 17 democrazie europee dal 1945 al 2016 (%)

immagine valbruzzi

Purtroppo, questa visione errata della governabilità, intesa scioccamente soltanto come stampella istituzionale per partiti traballanti, ha preso piede solo in Italia. Quasi dappertutto in Europa (vedi fig. 1), le maggioranze di governo non sono minoranze «camuffate» o premiate dallo specifico funzionamento dei sistemi elettorali, ma sono il frutto di accordi elettorali o parlamentari tra partiti relativamente affini che decidono di assumersi l’onere del governo per un periodo più o meno limitato di tempo. Al massimo, a parte alcune eccezioni (come la Francia o il Regno Unito, dove si vota con sistemi maggioritari in collegi uninominali), i meccanismi elettorali servono ad “irrobustire” maggioranze di governo, in modo tale da proteggerle dai ricatti di piccoli partiti o correnti. Ma non si può chiedere alle leggi elettorali di «assicurare» – addirittura la sera stessa delle elezioni – la formazione di una maggioranza in parlamento a partire da una minoranza di consensi nella società. È lungo questa china che la governabilità perde il suo significato originario e diventa un furbesco feticcio al quale si aggrappano tutti quei politici che non riescono a costruire credibili progetti di governo.

La seconda questione da precisare riguarda l’essenza stessa dei sistemi elettorali. Prima di azzuffarci attorno alle soglie di sbarramento, al grado di proporzionalità nella traduzione dei voti in seggi, ai ballottaggi più o meno eventuali dovremmo avere ben chiaro a che cosa servono i sistemi elettorali. Purtroppo, anche in questo caso il dibattito italiano sembra del tutto fuori fuoco, completamente concentrato su aspetti secondari, ad esempio la ricerca spasmodica del mix ottimale tra rappresentatività e governabilità (entrambe, peraltro, ampiamente equivocate). Prima di tutto e soprattutto, i sistemi elettorali servono a dare agli elettori il potere di scegliere parlamentari capaci di offrire reale rappresentanza ai loro concittadini e di prendere decisioni efficaci in tempi ragionevoli.

Per troppi anni abbiamo perso di vista il fatto che il miglior sistema elettorale è quello che favorisce la selezione e la formazione della migliore classe politica. E così siamo passati da un sistema elettorale (Mattarellum) che aveva cominciato a produrre i suoi benefici sulla qualità della rappresentanza parlamentare a sistemi (Porcellum e, in misura minore, Italicum) che hanno – o avrebbero – prodotto una «casta» di auto-nominati senza alcuna qualità, se non quella di una cieca fedeltà ai capi o capetti di partito ai quali devono la loro rielezione. Soltanto se la discussione sulla prossima legge elettorale ripartirà dall’essenziale, superando slogan sbagliati e fuorvianti, sarà possibile giungere a risultati positivi per la democrazia italiana e per i suoi cittadini.

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Tre sistemi elettorali a confronto: Mattarellum, Porcellum e Italicum

19 Gennaio 2017 di Gianfranco Pasquino Lascia un commento

Restaurare non è mai una scelta apprezzabile soprattutto perché, quando sono coinvolti uomini e donne, e non statue e quadri, è impossibile riavvolgere il tempo. Cambiano gli uomini, cambiano le donne, entrambi imparano, il tempo passa e crea nuove situazioni. Dunque, non si “restaurerà” il Mattarellum che abbiamo conosciuto e che, utilizzato in tre elezioni, produsse esiti di volta in volta migliori. Riflettendo su vent’anni di elezioni e tre sistemi elettorali, è possibile fare meglio.

Qui cercherò in maniera sintetica di esaminare gli effetti del Mattarellum e del Porcellum paragonandoli a quelli proposti e promessi dall’Italicum che mai fu. Un sistema elettorale, tutti i sistemi elettorali debbono essere valutati, anzitutto, con riferimento al potere che danno agli elettori, in secondo luogo, con riferimento al Parlamento che eleggono, in terzo luogo, con riferimento alla formazione del governo. Il potere degli elettori varia a seconda che possano votare solo per un partito oppure anche per il candidato che li rappresenterà oppure anche per la coalizione preferita. Nelle democrazie parlamentari, gli elettori non votano mai per il governo. Il loro voto dà vita ad un parlamento nel quale si formerà il governo che da quel parlamento potrà essere “rimpastato” oppure sostituito nella sua interezza.

Tenendo a mente questi cinque elementi (scelta dei candidati, voto ai singoli partiti, elezione dei parlamentari, indicazione delle coalizioni, formazione del governo), è possibile costruire un indice che misuri il potere elettorale complessivo dei cittadini. A ciascun elemento sarà assegnato un punteggio che va da 0 (nullo) a 3 (massimo), con punteggi intermedi che indicano un potere ridotto (1) o medio (2). L’indice di “potere degli elettori” andrà, dunque, da 0 (nessun potere agli elettori) a 15 (massimo potere elettorale).

Partiamo dal Mattarellum. Questo sistema consentiva di votare per i candidati nei collegi uninominali e, alla Camera, anche per liste di partito. Dal momento che gli imperativi elettorali spingevano alla formazione di coalizioni pre-elettorali a sostegno dei candidati nei collegi uninominali, gli elettori avevano anche la possibilità di scegliere fra coalizioni che si candidavano al governo. La tabella che segue sintetizza questi elementi.

Potere degli elettori su: Punteggio Mattarellum Punteggio Porcellum Punteggio Italicum
Candidati 2 0 1
Partiti 2 1 2
Parlamento 1 1 2
Coalizioni 3 2 0
Governo 2 1 3

Nel caso dei candidati il punteggio non può essere il più elevato poiché grande fu il numero dei candidati paracadutati, quindi, 2. Per quel che riguarda le coalizioni sempre si trasformarono in governi. Quindi, 3. Le coalizioni “mascheravano”, almeno in parte, i partiti, quindi, punteggio 2 per il voto di partito. Nel caso del Parlamento, tenendo conto dell’alto numero dei trasformisti, il punteggio deve essere non più di 1. Soltanto inizialmente i governi furono espressione delle coalizioni. In nessuna delle tre elezioni 1994, 1996, 2001, il governo che aveva iniziato la legislatura riuscì a concluderla. La composizione dei governi cambiò, rispettivamente: molto nel 1996, abbastanza nel 2001, poco nel 2006 (punteggio 2).

Molto diversi sono stati gli effetti del Porcellum, un sistema elettorale proporzionale con premio di maggioranza alla coalizione che ottiene il più alto numero di voti e liste bloccate.

Con il Porcellum, gli elettori erano confinati a tracciare una crocetta sul simbolo della coalizione e nulla più in questo modo acconsentendo all’elezione dei candidati nell’ordine deciso dai capipartito (punteggio 0). I simboli dei partiti coalizzati erano visibili (punteggio 1), ma nell’opzione di voto la coalizione ha sicuramente avuto il sopravvento (punteggio 2). Anche i parlamenti eletti con il Porcellum (2006, 2008, 2013) sono stati caratterizzati dalla comparsa di un alto numero di trasformisti (punteggio 1). I governi ai tempi del Porcellum sono stati molti. Pochi derivanti dall’esito elettorale: Prodi 2006-2008 e Berlusconi 2008-2011. Altri nacquero in corso d’opera: Monti 2011-2012; Renzi 2014-2016; Gentiloni 2016-2017. Il governo Letta 2013-2014 è un mix, soltanto in parte conseguenza dell’esito elettorale (punteggio 1).

   Per quel che riguarda l’Italicum, la legge che, secondo Matteo Renzi (e i suoi corifei), “tutta l’Europa ci avrebbe invidiato e metà Europa avrebbe imitato”, stiamo parlando, tecnicamente, di un aborto: una legge nata morta. Tuttavia, mentre attendiamo la probabilmente inutile e sicuramente tardiva sentenza della Corte Costituzionale, possiamo valutare quelli che sarebbero stati i suoi potenziali effetti.

All’incirca il 60 per cento dei parlamentari diventerebbe tale per designazione dei capipartito/capicorrente (punteggio 1). I rimanenti avrebbero dovuto conquistarsi i voti di preferenza (disprezzatisssimi da molti corifei). Gli elettori sono costretti a votare i partiti (punteggio 2). Il parlamento potrebbe comunque esibire un alto numero di trasformisti (punteggio 2). Nessuna coalizione avrebbe interesse a formarsi (punteggio 0). Al ballottaggio gli elettori attribuirebbero un premio in seggi che consentirebbe/obbligherebbe il partito vittorioso a governare (punteggio 3). In buona misura questo sistema avrebbe, da un lato, fortemente distorto la rappresentanza politica e enormemente ridimensionato il ruolo del Parlamento, dall’altro, avrebbe prodotto la fuoruscita dal modello di governo parlamentare delineato nella Costituzione italiana.

Il punteggio complessivo comparato, per i tre sistemi elettorali, è indicato nella figura 1.

immagine pasquino

Alla luce di questa graduatoria comparata, c’è molto da lavorare per soprattutto per quei riformatori elettorali che mirino, ancora una volta, presuntuosamente, a inventare qualcosa che tutta l’Europa ci invidierebbe, invece di imitare il meglio che in Europa funziona da almeno cinquanta e più anni.

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Il ritorno del Mattarellum?

17 Gennaio 2017 di La redazione Lascia un commento

Con il post di Marta Regalia di lunedì scorso abbiamo aperto una discussione sulle leggi elettorali. Intendiamo offrire materiale per la riflessione e l’azione ai giudici costituzionali e ai parlamentari che dovranno impegnarsi a scrivere una buona, non perfetta, legge elettorale per l’Italia, in grado di dare rappresentanza ai cittadini e durare nel tempo. A seguire pubblicheremo un contributo di Gianfranco Pasquino (venerdì 20) e uno di Marco Valbruzzi (lunedì 23).

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Mattarellum, chi era costui?

15 Gennaio 2017 di Marta Regalia Lascia un commento

Nate dalle ceneri dei referendum del 1991 (sulla preferenza unica) e, soprattutto, del 1993 (che trasformò la legge elettorale del Senato in una legge propriamente maggioritaria), le leggi 276 e 277 del 4 agosto 1993 davano vita ad un sistema elettorale misto ribattezzato da Giovanni Sartori “Mattarellum” dal nome del suo relatore, l’attuale Presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Oggi, quasi 24 anni e due leggi elettorali dopo, da più parti si auspica la reviviscenza di tale sistema. Ma come funzionava il cd. Mattarellum? In questo primo intervento sul tema dal forum di Paradoxa cercherò di illustrarne i meccanismi e le particolarità, oltre ad alcuni effetti. Interventi successivi punteranno l’attenzione su aspetti più specifici in relazione ad altre componenti del sistema politico. Stay tuned!

In quanto sistema misto, il Mattarellum prevedeva due metodi di attribuzione dei seggi su basi diverse: una maggioritaria ed una proporzionale. 475 seggi alla Camera e 232 al Senato (e cioè il 75%) erano attribuiti con sistema maggioritario uninominale a turno unico. In ogni collegio, vinceva il seggio il candidato che otteneva la maggioranza relativa dei voti. Il restante 25% (e cioè 155 seggi alla Camera e 83 seggi al Senato) veniva invece assegnato con sistema proporzionale. Le similitudini tra i due rami del Parlamento, tuttavia, finiscono qui. Le altre caratteristiche del Mattarellum, sebbene spesso sottovalutate, differivano tra Camera e Senato, con esiti non trascurabili.

Per prima cosa, gli elettori avevano a disposizione due voti per la Camera dei Deputati (uno per la parte maggioritaria ed uno per la parte proporzionale) ed un solo voto per il Senato (per il candidato nella parte maggioritaria, che non poteva presentarsi in più di un collegio). Ciò comportava principalmente due conseguenze: primo, gli elettori potevano esprimere un voto disgiunto, votando strategicamente per l’uninominale e sinceramente per il proporzionale, solo alla Camera; secondo, al Senato venivano eletti i migliori candidati perdenti all’uninominale e quindi, affinché i voti non andassero persi in caso di non vittoria all’uninominale, i candidati di un partito in ogni regione dovevano essere tra loro collegati in vista del recupero proporzionale.

Secondariamente, i seggi proporzionali erano distribuiti, alla Camera, su 26 circoscrizioni con metodo Hare (e resti più elevati), mentre al Senato su base regionale con metodo d’Hondt. Ciò garantiva esiti maggiormente proporzionali nel primo caso, essendo la formula Hare estremamente proporzionale, soprattutto se comparata alla formula d’Hondt, la meno permissiva tra le formule proporzionali. Tuttavia, il meccanismo dello scorporo totale al Senato, che vedremo successivamente, permetteva la rappresentanza anche dei partiti più piccoli.

In terzo luogo, per la parte proporzionale, alla Camera erano previste liste bloccate e una soglia di sbarramento del 4% a livello nazionale, mentre al Senato non era prevista alcuna soglia, nemmeno a livello regionale, e una sorta di “graduatoria” dei candidati perdenti nella parte maggioritaria (ordinata secondo le percentuali ottenute nei rispettivi collegi) sostituiva le liste bloccate della Camera.

Infine, le due leggi elettorali prevedevano entrambe un meccanismo chiamato “scorporo” che aveva il fine di non sovra-rappresentare i partiti che avevano già ottenuto seggi nella parte uninominale, ma che veniva però messo in pratica in maniera diversa per l’elezione dei due rami del Parlamento. Alla Camera, lo scorporo era “parziale”: ciò significava che, al momento del computo dei voti per la quota proporzionale, ad ogni lista venivano attribuiti tanti voti quanti quelli ottenuti nella parte proporzionale, meno, per le liste che avevano ottenuto seggi nella parte uninominali, un numero di voti pari al secondo classificato in quel collegio uninominale più uno. Se il candidato vincente all’uninominale era collegato a più liste, lo scorporo avveniva in proporzione al numero di voti ottenuti da ciascuna lista. Al Senato, invece, lo scorporo era “totale”: tutti i voti che non erano serviti per eleggere un candidato (quindi tutti i voti, tranne quelli del candidato vincitore all’uninominale) venivano sommati su base regionale, partito per partito.

Con il Mattarellum gli italiani si recarono alle urne tre volte: nel 1994, nel 1996 e nel 2001. Nel 2001, per eludere, alla Camera, l’effetto compensativo della quota proporzionale, i partiti maggiori fecero ricorso alle cd. “liste civetta”. Vennero cioè appositamente create e presentate delle liste senza una reale forza elettorale alle quali i candidati nella parte uninominale dichiaravano il collegamento. In questo modo, lo scorporo avvenne ai danni di queste liste minori (Paese Nuovo per il centrosinistra e Abolizione Scorporo per il centrodestra), con poche probabilità di superare la soglia del 4% a livello nazionale, e senza intaccare quindi i voti ottenuti dalle liste maggiori con il voto nella parte proporzionale. Curiosamente, il trucchetto si ritorse contro la coalizione di centrodestra: l’abuso delle liste civetta impedì infatti a Forza Italia di ottenere tutti i seggi che le sarebbero spettati se non avesse fatto ricorso alle liste civetta. La lista di Forza Italia, infatti, aveva diritto a 62 seggi, ma disponeva di soli 55 candidati in quanto gli altri erano stati collegati ad abolizione scorporo. Al problema di questi 7 seggi, si aggiunse quello degli eletti in più di una circoscrizione. Ne conseguì una legislatura senza plenum.

 

Quali furono gli effetti del Mattarellum sul formato del sistema partitico? Indubbiamente, il sistema “misto-compensativo” non riuscì a ridurre la frammentazione. Secondo Sartori, se il sistema proporzionale in vigore fino al 1992 aveva prodotto 5/6 partiti rilevanti, il Mattarellum li triplicò. E questo non fu dovuto alla parte proporzionale, bensì alla quota maggioritaria, che concedeva ai piccoli partiti un significativo potere di ricatto. Da questo punto di vista, quindi, il Mattarellum non ebbe successo. Tuttavia, esso fu in grado di dare il via ad una stagione caratterizzata da coalizioni pre-elettorali, competizione bipolare e di alternanza al governo.

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