La rappresentazione che si dà di solito della crisi in corso nel Pd è che si tratti di una pura questione di potere, oppure, all’opposto, che si tratti di una incompatibilità originaria tra le due anime del partito, quella cattolico-democratica e quella post-comunista. Nessuna delle due spiegazioni è convincente. La seconda è palesemente sbagliata: se veramente ci sarà la scissione, da una parte e dall’altra ci saranno sia “comunisti”, sia “democristiani”. Del resto che ci sia stato un rimescolamento tra i due filoni originari è evidente da tempo a chiunque segua minimamente le vicende del Pd. Per quanto riguarda la prima spiegazione, il discorso è
più complesso. Certamente c’è in campo il desiderio, mai nascosto, di rovesciare un segretario sempre sentito come un usurpatore. L’azione di logoramento del leader, la ricerca continua di una distinzione dalle sue politiche, sono iniziate fin dalla sua elezione e sono naturalmente cresciute quando è diventato presidente del consiglio, con acrobazie sui provvedimenti legislativi, anche senza arrivare a votare contro. Ci si chiede quindi come mai questo improvviso salto di qualità, fino ad arrivare alla scissione, tanto più stupefacente da parte di un uomo come Bersani che ha sempre teorizzato “la ditta”. Si può pensare che c’entrino le liste per le prossime elezioni politiche, e certamente questo aspetto c’è. Ma il discorso non può ridursi a questo. Come ha ripetutamente osservato Massimo Cacciari, quella che stiamo vivendo non è solo una crisi del Pd, ma una crisi di sistema. Il risultato del referendum del 4 dicembre, e la successiva bocciatura della legge elettorale pensata per il nuovo assetto costituzionale, hanno comportato un terremoto nel sistema politico, già piuttosto traballante. Siamo di fronte alla fine del pur imperfetto maggioritario che ha caratterizzato la seconda repubblica, e al ritorno al proporzionale. E’ chiaro che questa evoluzione non dipende solo da una scelta (fatta dai partiti o imposta dalla Corte Costituzionale) tra leggi elettorali, ma trova la sua ragione più sostanziale nell’ormai consolidato formato tripolare del sistema dei partiti. E tuttavia sbaglia chi deduce dal tripolarismo la necessità o opportunità di tornare al proporzionale. Al contrario, la presenza di tre forze più o meno equivalenti, o comunque non molto distanti tra loro, rende ancora più necessario adottare un sistema elettorale che preveda un effetto maggioritario tale da rendere possibile un governo. E’ ben noto che nelle condizioni date e con le leggi risultanti dalle sentenze della Consulta non ci sarebbe governo possibile, forse nemmeno con una grande coalizione. La situazione dunque appare, dopo il fallimento del referendum, drammaticamente imballata. [Leggi di più…]