[*L’articolo è stato scritto dall’Autore insieme a Veronica Montani]
Da lungo tempo la si attendeva. Parecchi erano stati, nel corso degli anni, i tentativi rimasti privi di successo. Il 3 agosto scorso, dopo tre anni di lavori e confronti, la Riforma del Terzo settore, soprattutto grazie all’iniziativa dell’on. Luigi Bobba, è giunta a compimento ed è entrata in vigore.
Il cambiamento è importante e detta la nascita del Terzo settore. Già, perché nonostante di Terzo settore se ne discorresse da oltre trent’anni, è solo con il recentissimo d.lsg. 117/2017 che da categoria socio-economica il Terzo settore diventa anche categoria giuridica, con una serie di conseguenze e di attese notevoli.
Così, mentre gli enti senza scopo di lucro o, se si predilige un anglicismo, del non profit continueranno a trovare soluzioni (e lacune) nel Titolo II del Libro I del codice civile, agli enti del Terzo settore viene dedicata una nuova disciplina, tanto sostanziale quanto promozionale, contenuta per l’appunto nel nuovo Codice del Terzo settore. Una riforma che si pone come riforma organica per la convivenza e l’economia civile.
Da tempo il codice civile si presentava inadeguato a fornire risposte alle mutate esigenze del settore e le diverse leggi speciali – si pensi alle disciplina esistente in materia di odv, aps, impresa sociale, enti lirici, fondazioni bancarie, solo per citarne alcune – hanno, di fatto, determinato un fenomeno di neo-corporativismo normativo offrendo soluzioni ma al contempo frammentando il mondo non profit.
Da altrettanto tempo lo stesso Terzo settore sentiva l’esigenza di un riconoscimento più unitario, che individuasse, pur nel rispetto delle diversità, i tratti comuni di questo agire sociale.
La normativa sulle O.n.l.u.s. già muoveva i primi passi in questa direzione, riconoscendo all’utilità sociale il carattere unificante degli enti ma la sua natura fiscale e non civilistica se, da un lato, ne ha rappresentato il motivo di successo, ne è stato il limite, dall’altro.
La riforma del Terzo settore compie quell’ulteriore passo e riconduce ad unitatem gli enti senza scopo di lucro – con un allargamento agli enti societari-impresa sociale a bassa remuneratività – riconoscendone il tratto unificante nello scopo civico, solidaristico o di utilità sociale dell’ente e nella loro attività di interesse generale.
Unitarietà, come detto, pur nel rispetto della diversità perché il nuovo Codice riconosce i diversi modi con cui l’attività degli enti si svolge: così, parallelamente alle forme di azione volontaria, di erogazione gratuita di denaro, beni o servizi, di mutualità e di produzione o scambio di beni o servizi, nell’ampio articolato normativo individuiamo, simmetricamente, le organizzazioni di volontariato, gli enti filantropici, le associazioni di promozione sociale e le imprese sociali.
Scompaiono, così, le O.n.l.u.s., enti fiscali, e nascono gli ETS, enti del diritto civile.
La premialità della vecchia categoria fiscal-tributaria, però, non scompare e, anzi, appare rimodulata sulla base del tipo di ente e dell’attività svolta, con centralità della nozione di ente non commerciale, a cui sono riconnessi regimi forfettari; un particolare favor è stato poi previsto per le imprese sociali a cui, data la natura di giano bifronte tra enti di libro I e enti di libro V ed in ragione della vocazione produttiva connaturata allo scopo istituzionale, è stato dedicato uno specifico decreto (D.Lvo 03/07/2017 n.112), pur riconoscendone la natura di ente del Terzo settore.
Certo, per la completa attuazione della riforma mancano ancora una quarantina di provvedimenti ministeriali – molti di non poco conto – e l’autorizzazione dell’Unione europea per alcuni profili fiscali e non entrerà dunque a pieno regime nella sua totalità fin da subito, ma le linee tracciate e fissate nel Codice risultano di fondamentale importanza, nella consapevolezza che il Terzo settore è e potrà essere sempre più fonte di risposta concreta alle esigenze dei cittadini e, al contempo, traino per l’economia e per le prospettive occupazionali.
Il Terzo settore rappresenta una nuova forma di economia, sociale per l’appunto, in cui le logiche del mercato si coniugano e si rimodellano sulla base ed in base ad esigenze altre e diverse rispetto a quelle del puro profitto, per il perseguimento di un obiettivo, anch’esso, in senso lato ‘sociale’. Non stupisce, quindi, come la riforma abbia previsto un sistema dialogante – e reciprocamente condizionato – tra struttura civilistica e struttura fiscale e come la prima detti, in funzione e a garanzia della seconda, regole di trasparenza, conoscenza e conoscibilità dei dati degli enti e di tutela dei terzi, variamente declinate in regole di governance minima, di contabilità e di iscrizione dell’ente (e dei suoi atti principali) nel nuovo Registro unico nazionale del Terzo settore, che dovrà assumere l’importante ruolo, unitamente al Consiglio nazionale del Terzo settore, di garantire regole, anche e soprattutto operative, uniformi su tutto il territorio dello Stato, superando quelle prassi regionali che hanno spesso determinato difformità applicative da Regione a Regione. Controlli, dunque, ma anche la previsione di forme di autocontrollo degli enti, attraverso la previsione di attribuzioni di specifiche competenze in capo ai CVS, anch’essi ripensati e ridisegnati sulla base delle nuove esigenze connesse al volontariato tout court, e alle reti di secondo livello.
Adeguarsi al nuovo Codice ed iscriversi nel (futuro) Registro unico nazionale non è certamente un obbligo per gli enti che ben possono liberamente valutare l’opportunità di non divenire ETS e di rimanere enti senza scopo di lucro, disciplinati esclusivamente dal titolo II del libro I del codice civile. Altrettanto vero è che l’iscrizione e l’adeguamento alle nuove regole è condizione per godere del regime di favor fiscale e per accedere alle agevolazioni per le donazioni e al riparto del cinque per mille.
Nuovi e più ampi sono i settori in cui gli ETS possono operare rispetto alle ‘vecchie’ O.n.l.u.s., di cui scompare anche il requisito della condizione di svantaggio dei beneficiari dell’agire dell’ente, ed una nuova procedura è stata prevista per l’ottenimento della personalità giuridica, incentrata sulla funzione notarile, sull’iscrizione nel Registro unico nazionale di natura costitutiva e sul patrimonio costitutivo minimo legislativamente individuato (15.000 euro per le associazioni e 30.000 per le fondazioni) di cui potranno usufruire esclusivamente gli enti del Terzo settore (per gli enti senza scopo di lucro resta, infatti, in vigore il d.p.r. 361/2000 con i relativi profili di silenzio diniego e di valutazione discrezionale dell’adeguatezza patrimoniale dell’ente rispetto al suo fine).
Riorganizzare e riformare un settore tanto complesso quanto eterogeneo è da sempre apparso compito non facile ma mai come oggi è maturata la consapevolezza della fondamentale importanza ricoperta dal Terzo settore e della conseguente necessità di creare un sistema di incentivo e sostegno per la crescita del Terzo settore stesso, quale più ampio tentativo di intervento strutturale di politica per lo sviluppo per l’economica civile del nostro Paese. Perché il Terzo settore possa, nei numeri e nei risultati, essere sempre di più il Primo.
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