La letteratura politologica ha più volte ribadito che i collegi uninominali rappresentano una sorta di ostacolo all’elezione delle candidate. Le ipotesi avanzate a questo riguardo sono molte. Le principali guardano allo stile di comunicazione, più aggressivo in una campagna elettorale in cui ‘chi vince prende tutto’ e, quindi, considerato meno vicino allo stile femminile; al ruolo di gate-keeping dei partiti che, anticipando possibili reazioni avverse degli elettori, preferiscono non candidare le donne; al carattere tradizionalmente meno combattivo delle donne che, secondo questa ipotesi, preferiscono non entrare in una competizione molto dura come quella dell’uninominale; o, infine, agli stessi elettori, che attribuiscono al buon politico doti maggiormente incarnate da candidati uomini (capacità di prendere decisioni, forza, autorevolezza, sicurezza, ecc.).
L’Italia repubblicana non ha una lunga storia di rappresentanza uninominale. Tuttavia, dal 1994 al 2001, è stato applicato un sistema elettorale misto che prende il nome dall’attuale Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, e di cui questo forum ha già ampliamente parlato. Il sistema in vigore dal 1993 al 2005 prevedeva che il 75% dei seggi venissero attribuiti con sistema maggioritario in collegi uninominali, mentre il restante 25% con sistema proporzionale. L’applicazione su tre tornate successive ci permette di provare ad analizzare che impatto abbiano avuto i collegi uninominali sulla rappresentanza di genere. Iniziamo verificando quante donne sono state candidate nei collegi uninominali e dove sono state candidate. È infatti possibile che un’elevata percentuale di donne sia stata candidata nei collegi uninominali, ma pochissime in collegi ‘sicuri’. I collegi possono essere di tre tipi:
- Liberi, quando il partito vincente alla precedente elezione non presenta candidati;
- Non sicuri, quando un partito ha vinto alla precedente elezione con meno di 10 punti percentuali sul secondo e presenta un candidato;
- Sicuri, quando un partito ha vinto alla precedente elezione con più di 10 punti percentuali sul secondo e presenta un candidato.
Analizziamo i dati in tabella 1. Il 1994 ha solo collegi liberi, non essendovi comparabili collegi nelle elezioni del 1992. Vediamo che, su un totale di 2150 candidati, il 90,7% era uomo e il 9,3% era donna. Tali percentuali si ripropongono per quanto riguarda gli eletti: 90,9% maschi e 9,1% femmine. Ciò ci lascia intuire che il problema stia nella scarsità di candidature femminili, non in un elettorato non ancora ‘pronto’ a votare a favore delle donne.
Per il 1996 ed il 2001 è invece possibile effettuare quattro diverse comparazioni. In primo luogo, tra le percentuali di candidati: mai meno di 9 su 10 sono uomini (dagli 87,8% dei collegi liberi nel 2001 ai 96,7% dei collegi non sicuri sempre nel 2001). In secondo luogo, tra la percentuale di candidati nei tre tipi di collegi individuati. Nel 1996, il 10,1% dei candidati è donna nei collegi liberi, il 6,4% in quelli non sicuri e l’8,8% in quelli sicuri. Nel 2001 il 12,2% dei candidati è donna nei collegi liberi, il 3,3% nei collegi non sicuri e il 9,8% in quelli sicuri. Questi dati non mostrano particolari squilibri nei tre tipi di collegi. Paradossalmente, però, il fatto che percentuali inferiori di donne vengano candidate in collegi non sicuri potrebbe voler dire che, per cercare di vincere in un collegio incerto, i partiti preferiscono schierare uomini. In terzo luogo, tra le percentuali di eletti, che mantengono le stesse proporzioni dei candidati: circa 9 su 10 sono uomini (dall’89,4% dei collegi sicuri nel 1996 al 93,1% dei collegi liberi sempre nel 1996). Infine, tra la percentuale di candidate ed elette nei tre tipi di collegi individuati. Nel 1996, al 10,1% di candidate nei collegi liberi corrisponde il 6,9% di elette; al 6,4% di candidate nei collegi non sicuri corrisponde il 9,5% di elette; all’8,8% di candidate nei collegi sicuri corrisponde il 10,6% elette. Nel 2001 al 12,2% di candidate nei collegi liberi corrisponde il’8,8% di elette; al 3,3% di candidate nei collegi non sicuri corrisponde il 7,9% di elette; al 9,8% di candidate nei collegi sicuri corrisponde il 10,5% elette. Ciò significa che nei collegi liberi vengono candidate percentuali superiori di donne, ma ne vengono elette percentuali inferiori, mentre negli altri collegi vengono candidate percentuali inferiori di donne ma ne vengono elette percentuali superiori. Sembra quindi che le donne, quando candidate da partiti vincenti alla tornata elettorale precedente, indipendentemente dal margine di vittoria, riescano a vincere più frequentemente degli uomini. L’ostacolo alla parità, se così fosse, risiederebbe nei fattori socioeconomici che favoriscono/sfavoriscono le candidature femminili e nel ruolo di gate-keeping dei partiti e non in un bias dell’elettorato.
Confrontiamo ora la parte proporzionale con la parte maggioritaria. La Figura 1 mostra che, in tutte e tre le tornate elettorali, vengono candidate più donne nella parte proporzionale (40,6% vs. 9,3% nel 1994, 19% vs. 9,4% nel 1996 e 20,4% vs. 11,3% nel 2001). Tuttavia, la differenza tra candidate ed elette è maggiore nella parte proporzionale che in quella maggioritaria, anche se tale differenza tende ad assottigliarsi fino a sparire nelle tre tornate elettorali considerate. Nel 1994, infatti, il 40,6% dei candidati nella parte proporzionale è donna, ma solo il 31,5% viene eletta, mentre il 9,3% dei candidati nella parte maggioritaria è donna e il 9,1% viene eletta. Nel 1996, il 19% dei candidati nella parte proporzionale è donna, ma solo il 16,3% viene eletta, mentre il 9,4% dei candidati nella parte maggioritaria è donna e l’8,8% viene eletta. Nel 2001, infine, il 20,4% dei candidati nella parte proporzionale è donna, e il 20,3% viene eletta, mentre l’11,3% dei candidati nella parte maggioritaria è donna e il 9,1% viene eletta.
Possiamo dunque parlare di un effetto bloccante del collegio uninominale? Certamente no. In generale, 9 su 10 candidati nei collegi uninominali sono uomini. Tuttavia le donne, se candidate in collegi vincenti alla tornata elettorale precedente, vincono in proporzioni superiori rispetto agli uomini, indipendente dal margine di vittoria nell’elezione precedente. Le barriere alla equa rappresentanza di genere sembrano quindi innalzate soprattutto al momento della decisione sulle candidature (ragioni socio-culturali, motivazioni individuali, gatekeeping maschile, ecc.) piuttosto che per effetto del dispiegarsi della formula elettorale e delle decisioni degli elettori.
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