Spesso – dinanzi a propositi, intenzioni o promesse – si ripete il detto: tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare… Si tratta, come tutti sanno, di saggezza popolare largamente condivisa. Chi oserebbe, infatti, obbiettare alcunché? Ma l’implicito di questa saggezza popolare è poi un’esortazione a fare secondo il dire, perché il dire corrisponde per lo più alle nostre buone intenzioni, mentre il fare allude allo sforzo (tacitamente promesso) per far passare le nostre buone intenzioni nella vita reale.
Seguendo, anche solo distrattamente, la vita politica italiana di questi ultimi mesi, quella vecchia frase, prima citata, viene subito e di nuovo in mente. Qui il dire è fatto di (buone?) intenzioni… da campagna elettorale, mentre il fare dovrebbe corrispondere alla realizzazione di quelle (buone?) intenzioni, una volta al governo del Paese. Lo spettacolo che ci viene servito però dà l’impressione di portare da un’altra parte. Lo sforzo per andare dal dire al fare non ha i soliti connotati della ‘realizzazione’ di qualcosa, bensì quelli della… ‘virtuale realizzazione’ di qualcosa, cioè poi della realizzazione immaginaria di qualcosa. Complici i social. Cioè: lo ‘sforzo’ è immaginario tanto quanto le intenzioni, e il risultato dello sforzo, inevitabilmente, è altrettanto immaginario. Insomma, dall’immaginario non si fuoriesce in nessun caso. Sicché il ‘dal dire al fare…’ diventa lo stesso che un ‘dal dire… al dire…’.
La perla preziosa da citare a tal proposito mi pare il proclama dell’avvenuta abolizione della povertà in Italia, proclamata sul balcone di Palazzo Chigi dai leader M5S, una volta decisa (da loro a tavolino) la distribuzione del reddito di cittadinanza. Cosa detta, appunto, cosa fatta.
Facciamo ora un piccolo passo (filosofico) indietro. Ogni essere umano sa che dal progettare la costruzione di una casa al costruire una casa e, infine, ad avere una casa bella e pronta ci vuole tempo e ci vuole lavoro. Tanto tempo e tanto lavoro. Il fatto è che la stragrande parte delle nostre azioni hanno il fine non ‘in sé’, ma ‘fuori di sé’. La stragrande parte, ma non tutte, per nostra fortuna. Ad es., ‘vedere’ è un’azione che ha il fine in sé, perché lo stesso è ‘vedere’ e ‘aver veduto’. Altri esempi? Essere felici ha il fine in sé, perché lo stesso è esser felici ed essere stati felici. E ancora: vivere ha il fine in sé, perché vivere è lo stesso che aver vissuto. E ancora: danzare o giocare hanno il fine in sé, perché danzare o giocare e aver danzato o aver giocato sono la stessa cosa. Sono tutte azioni ‘perfette’, queste, azioni, cioè, sono azioni dove tra intenzione ed esecuzione non c’è di mezzo né tempo né sforzo verso il fine. Il fine è già lì, tutto pieno, mentre si agisce. ‘Imperfette’ sono invece le altre azioni prima ricordate (costruire una casa, ad es.), perché richiedono tempo, sforzo, materiali ecc. ecc. Perché non hanno il ‘fine in sé’. (La distinzione che ho appena fatto la dobbiamo al vecchio Aristotele; cfr. Met., 1048b, 18-35).
Naturalmente, noi amiamo molto le azioni perfette. E si capisce perché: non ci costano niente e ci gratificano molto. All’opposto, se possiamo, rimandiamo o anche evitiamo le azioni imperfette, perché ci costano tempo, sforzo, fatica, preoccupazione e così via. E possono pure fallire il fine loro. Ma ogni persona sensata sa bene che è inevitabile affrontare il gran mondo delle azioni ‘imperfette’, altrimenti non si cresce, non ci si confronta con la realtà quotidiana, non ci si guadagna da vivere ecc. Solo un bambino, e pure un bambino molto piccolo e molto ingenuo, può fantasticare intorno a una vita in cui il dire è sempre già il fare; o meglio, è il ‘già fatto’. Questa nuda identità permanente tra il dire e il fare potrebbe semmai essere prerogativa di un essere onnipotente, in cui, appunto, essere e parola, essere e pensiero, azione e intenzione devono essere necessariamente posti come lo stesso.
Certi nostri politici (pentastellati, per lo più; ma per i nomi provveda il lettore) sono come bambini piccoli (molto ingenui) o immaginano di essere onnipotenti? O sommano malamente in se medesimi – in qualche modo – entrambe le cose? E ancora: sono così o solo ci fanno? Saperlo…
Enrico dice
Purtroppo chi ci governa ha detto con grande precisione cosa voleva fare. Arrivato al governo, sta tendando di realizzare esattamente ciò che aveva promesso: il guaio è che si tratta di scelte che sono incompatibili- volta a volta- con la democrazia liberale, con l’appartenenza all’Unione europea e all’Euroarea,ecc. Se, letti i loro programmi, troppi hanno detto : “ si, lo scrivono, ma non lo faranno mai”, dobbiamo prendercela con noi stessi, non con loro.