Che Trump voglia ricostruire l’America è pacifico. Una Trump America. Guardiamo all’uso degli ordini esecutivi, emessi dal presidente e che non richiedono l’approvazione del Congresso. Trump aveva firmato 220 ordini esecutivi nel corso del suo primo mandato. In confronto, Joe Biden ne ha emessi 160, mentre Barack Obama e George W. Bush, che sono stati entrambi in carica per due mandati consecutivi, ne hanno emessi rispettivamente 277 e 291. Se volessimo considerare tutto il periodo successivo alla Guerra fredda, allora dovremmo considerare i 166 di Bush padre, e i 365 nelle due amministrazioni di Bill Clinton. Con il ritorno di Trump per un secondo mandato, in un mese ne sono stati firmati 73 a fronte dei meno di 200 di tutti i mandati presidenziali precedenti eccetto Trump.
Tra questi almeno 22 riguardano la politica estera e internazionale. A conferma che la Trump America è anche un progetto geopolitico globale. Ad esempio, 3 ordini esecutivi sono relativi alla riforma delle funzioni del Segretario di Stato, aumentando il ruolo personale del Presidente e centralizzando il potere alla Casa Bianca. Nell’ordine esecutivo 1409 si legge, tra l’altro, che «l’autorità del Presidente in materia di politica estera è inestricabilmente legata alla competitività economica globale delle imprese americane. La sicurezza nazionale americana dipende in gran parte dall’acquisizione di vantaggi commerciali strategici da parte degli Stati Uniti e delle loro aziende, che si tratti di minerali critici, porti in acque profonde o altre infrastrutture o beni chiave». Altri ordini esecutivi riguardano, poi, l’uscita degli Stati Uniti da alcune organizzazioni internazionali, ad esempio l’Organizzazione mondiale della sanità, la UNHCR sui diritti umani, o la UNRWA a sostegno dei palestinesi. Inoltre, abbiamo ordini esecutivi che riguardano la sicurezza, tra cui almeno 2 sui confini, 3 sul terrorismo e 4 sulle forze armate. Tra questi ultimi si segnala l’ordine esecutivo 14186, con cui Trump rilancia il progetto di Reagan dello scudo spaziale, denominato The Iron Dome for America.
Da non dimenticare sono poi gli ordini esecutivi che riguardano la leadership globale degli Stati Uniti, in materia ambientale, nel settore della finanza digitale, per l’intelligenza artificiale. Alcuni sono indirizzati contro la Cina, oppure prendono di mira il Sud Africa per vari motivi, tra cui il fatto che «il Sudafrica ha assunto posizioni aggressive nei confronti degli Stati Uniti e dei suoi alleati, accusando tra l’altro Israele, e non Hamas, di genocidio presso la Corte internazionale di giustizia e rafforzando le relazioni con l’Iran per sviluppare accordi commerciali, militari e nucleari» (ordine esecutivo 14204).
Ma nella nuova Trump America come progetto geopolitico globale, forse l’ordine esecutivo più significativo è il 14172: Restoring Names That Honor American Greatness, con cui Trump ha proceduto anzitutto alla ridenominazione del Monte McKinley, ossia della vetta più alta del Nord America. La motivazione è che il presidente William McKinley, 25° presidente degli Stati Uniti, guidò eroicamente gli Stati Uniti alla vittoria nella guerra ispano-americana: «sotto la sua guida, gli Stati Uniti godettero di una rapida crescita economica e di prosperità, compresa un’espansione delle conquiste territoriali della nazione». Nel 2015, l’amministrazione Obama aveva eliminato il nome McKinley dalla nomenclatura federale. Nel discorso inaugurale del 20 gennaio, Trump aveva già anticipato la sua intenzione sostenendo che fu McKinley a dare a Teddy Roosevelt «i soldi per molte delle grandi cose che ha fatto, tra cui il Canale di Panama, che è stato stupidamente regalato al Paese di Panama dopo che gli Stati Uniti – gli Stati Uniti – voglio dire, pensate a questo – hanno speso più soldi di quanti ne avessero mai spesi prima per un progetto e hanno perso 38.000 vite nella costruzione del Canale di Panama».
La seconda ridenominazione prevista dall’ordine esecutivo è sicuramente quella che ha avuto maggiore eco, ossia quella che riguarda il Golfo del Messico. Sempre nel discorso inaugurale, Trump aveva detto: «l’America reclamerà il posto che le spetta come la più grande, la più potente e la più rispettata nazione della terra, ispirando la soggezione e l’ammirazione del mondo intero. Tra poco cambieremo il nome del Golfo del Messico in Golfo d’America». Nell’ordine esecutivo, il motivo della ridenominazione del Golfo è duplice: perché è stato «un’arteria cruciale per i primi scambi commerciali dell’America e per il commercio globale», ma anche perché resta «il più grande golfo del mondo le cui risorse naturali… sono ancora oggi fondamentali per l’economia americana».
Senza dubbio la politica internazionale è fatta di un altro tipo di decisioni, le quali riguardano il futuro dell’Ucraina o quello di Gaza, oppure i rapporti con l’Unione Europea, nel doppio gioco di Trump che vuole separare Putin dalla Cina e Putin che vuole separare Trump dall’Europa. Ma gli ordini esecutivi sulla politica estera richiamano la geopolitica pratica, ossia le modalità di formazione della politica estera, e soprattutto la geopolitica popolare, ossia quella che investe sull’immaginario collettivo. Qui la Trump America mette le sue fondamenta. E qui il progetto trumpiano è quello di un rilancio della vecchia geopolitica del Destino manifesto e dell’eccezionalismo americano, ma proiettata in un futurismo senza limiti. Sempre nel discorso inaugurale Trump lo ha chiarito: «gli Stati Uniti torneranno a considerarsi una nazione in crescita, che aumenta le proprie ricchezze, espande il proprio territorio, costruisce le proprie città, innalza le proprie aspettative e porta la propria bandiera verso nuovi e meravigliosi orizzonti. E perseguiremo il nostro destino manifesto verso le stelle, lanciando astronauti americani per piantare la bandiera a stelle e strisce sul pianeta Marte».
Luca Spinelli dice
Trump non sta solo ridefinendo la politica americana, ma sta anche riscrivendo il linguaggio della geopolitica. La domanda è: sta creando una superpotenza più forte o una nazione più isolata?
Dino Cofrancesco dice
Finalmente uno che parla di fatti e si astiene da insulti e caricature.Inutili!