C’è una domanda alla quale non so rispondere. Se è vero, come è stato scritto da autorevoli politologi, che “bisogna dire a chiarissime lettere che esiste una linea divisoria netta fra democrazie e non-democrazie”, se è vero che la vicenda ucraina e oggi quella israeliana sono la dimostrazione che l’Occidente è sotto assedio, che più della metà del pianeta non si riconosce nelle democrazie liberali, nei diritti di libertà civili e politiche, nel rispetto della dignità umana, nell’eguaglianza dei sessi, nella laicità dello Stato, che sono (sarebbero) a fondamento delle nostre istituzioni, non ne dovrebbe derivare l’impegno a non rafforzare le autocrazie, a limitare drasticamente gli ‘affari’ con i gangster internazionali, per non irrobustirli economicamente e impedire che la ricchezza accumulata si converta in armi puntate contro di noi? Personalmente i discorsi sull’accerchiamento dell’Occidente, della grande mobilitazione dei dittatori contro le democrazie europee e nordamericane mi hanno sempre lasciato perplesso. Il Brasile di Lula e l’India di Modi possono venir considerati stati parafascisti per le posizioni assunte sia nei confronti dell’invasione ucraina da parte della Russia sia degli attentati terroristici in Israele? Ho l’impressione che l’union sacrée degli eredi dell’illuminismo contro i ‘fanatici dell’Apocalisse’ sia spesso la maschera ideologica dietro la quale si nascondono corpose ragion di Stato, strategie geopolitiche, interessi dei ‘mercanti dei cannoni’ che, indipendentemente da ogni teoria complottistica, nelle guerre ci sguazzano come rane nello stagno. E’ innegabile, tuttavia, che ci sono superpotenze, e la Cina in primis, che perseguono disegni espansionistici che mettono in pericolo gli equilibri internazionali e rappresentano oggettivamente una minaccia per l’area euroatlantica. Intervistato dal ‘Giornale’ il 29 ottobre u.s. – v. l’articolo di Matteo Sacchi, Xi vuole ristabilire uno status antico. L’espansionismo di Pechino è realtà – Federico Rampini ha confermato che la Cina non sembra troppo refrattaria all’uso dell’opzione militare: «Non solo a Taiwan ma anche con India, Giappone, Corea del Sud, Vietnam, la Cina mostra continuamente i suoi muscoli militari. Di recente ha aggredito alcune navi delle Filippine. Quella è l’area che considera il suo cortile di casa, il primo cerchio della sua sfera d’influenza, dove assistiamo già da tempo a un uso della forza sempre più minaccioso. E’ un avvertimento per chi s’illude che in altre parti del mondo Pechino possa accontentarsi di fare business». Ammettiamo, per ipotesi, che tra non molto la Cina invaderà Taiwan come la Russia di Putin ha invaso l’Ucraina, cosa faranno gli Stati paladini della ‘società aperta’: commineranno sanzioni economiche e persino culturali come hanno fatto, con lo zar, in seguito agli eventi del 24 febbraio 2022? Sennonché la Russia è sostanzialmente un paese esportatore di materie prime, che si possono acquistare altrove – anche nel Qatar che, nel suo doppio gioco, finanzia i terroristi di Hamas – mentre Pechino è il centro di una potenza industriale ed economica che potrà pure trovarsi dinanzi a una crisi epocale ma che in tale crisi trascinerà tutto il pianeta.
Di recente mi è capitato di leggere sul ‘Sole 24 Ore’, un articolo Stellantis mette a punto la sua strategia per la Cina, in cui si parla dell’«ultima mossa della casa guidata dal ceo Carlos Tavares – che annovera 14 brand, tra i quali Peugeot, Citroen, Fiat, Jeep, Ram e Maserati»: un accordo per acquisire una partecipazione pari a circa il 20% in Zhejiang Leapmotor Technologies, società di Hangzhou, nata nel 2015. Leapmotor è specializzata in progettazione e produzione di veicoli elettrici sia Bev sia, e questo è un punto chiave, anche con powertrain Erev, Extended range electric vehicle, dove un motore termico funge da generatore per ricaricare le batterie in marcia. Il carmaker cinese si è quotato a Hong Kong nel 2022. Il titolo (-11% questa mattina) era salito del 25% nel 2023, conferendo alla società un valore di mercato di 5,4 miliardi di dollari al momento della sigla». E l’articolo così conclude: «Alla presentazione del deal Tavares ha precisato che Stellantis non ha chiesto l’indagine della Commissione Ue per stabilire se i veicoli elettrici cinesi più economici venduti in Europa beneficino o meno di sussidi statali. «Poiché dobbiamo affrontare questioni globali, dobbiamo adottare una mentalità globale. Non sosteniamo un mondo frammentato. Ci piace la concorrenza. Avviare un’indagine non è il modo migliore per affrontare tali questioni», ha aggiunto. E ancora: “La protezione dei consumatori in Europa si è tradotta in massima apertura del mercato anche alla concorrenza cinese, che ha, come sappiamo, un vantaggio enorme, intorno al 20%, nella competitività di prezzo”».
Insomma sta per nascere un colosso cinoeuroamericano destinato a fare concorrenza all’altro supergigante Tesla, sempre a “protezione dei consumatori in Europa” e nella logica divenuta ormai senso comune di una democrazia che non significa sovranità dei produttori (come nella retorica fascista e corporativista) ma sovranità dei consumatori, essendosi perso ormai il ricordo della democrazia come sovranità dei cittadini (tutto ciarpame ottocentesco).
A questo punto mi chiedo: ma a che gioco stiamo giocando? Noi occidentali – posto che questa espressione abbia ancora un senso – seguendo il consiglio dello studioso di Relazioni internazionali, Joseph Nye, ci affidiamo nei rapporti con le dittature, al soft power (commerciale e culturale) pensando di non dover ricorrere all’hard power (alle armi) e che il ‘douce commerce’ finirà per portare la pace al mondo. E se poi gli autocrati invadessero, come predoni famelici, una vasta area che considerano ‘cortile di casa’, non ci troveremmo forse nella condizione infelice di chi ha contribuito alla loro potenza?
Il processo di globalizzazione va avanti, inarrestabile, non risparmiando i settori che un tempo gli stati nazionali consideravano ‘strategici’. Che fare? Non m’intendo di economia e tanto meno dispongo di ricette politiche da suggerire ai reggitori del mondo. Però il pensiero che non è affatto improbabile il sacrificio di migliaia, di milioni di vite umane quando “les bons amis” che hanno fatto con noi “les bonnes affaires”.si trasformeranno in competitori armati mi fa sprofondare in uno stato d’angoscia.
Vittorio Midoro dice
e se i predoni famelici fossimo noi?
Giuseppe IERACI dice
Totalmente d’accordo con Dino Cofrancesco, l’argomento circa l’accerchiamento dell’occidente o la minaccia ai suoi valori è una retorica, volta a mascherare reali interessi e la “ragion di stato”.
Faccio letture un po’ strampalate, e in ultimo ho letto Jack London, The People of the Abyss. Leggetelo, non solo perché ha profondamente ispirato G. Orwell di Down and Out in Paris and London.
Si parla (in The People of the Abyss) del capitalismo inglese di 120 anni fa, ma non è difficile scorgere in quelle pagine quell’abisso di disperazione e indigenza che produce il capitalismo di oggi, di come il capitalismo di oggi spinga nuovi disperati ai margini e li sprofondi in un nuovo abisso.
Per cui, che a qualcuno l’occidente sembri meritevole di qualche tiro di missile non mi sembra poi così sorprendente.
Maria Zanichelli dice
Anch’io ringrazio, perché di questi interrogativi e inviti a riflettere abbiamo bisogno.
Maria Zanichelli
Michele Magno dice
Il prof. Cofrancesco si conferma come uno dei più acuti analisti in circolazione delle contraddizioni che attraversano l’occidente. Ai suoi dilemmi si potrebbe rispondere banalmente con i vecchi arnesi della realpolitik. Vecchi e obsoleti. Si parva licet, anch’io non so rispondere e anch’io sono angosciato. Tuttavia, porre le domande giuste è già dare una mezza risposta. Grazie.