Ha l’Italia le condizioni per stare da sola nell’arena internazionale, svolgendovi un ruolo significativo, ai fini suoi e ai fini degli equilibri mondiali, e non di comparsa? Di tutta evidenza, la risposta è no, e sbaglia drammaticamente chi pensa il contrario. Dunque, non rimane che l’Europa, ove del resto già siamo. Secondo quesito. Ha l’Italia le condizioni per stare in Europa svolgendovi un ruolo significativo e non di mera comparsa? Ancora una volta, e penosamente, la risposta è no. Chi si illude del contrario danneggia la nazione e rende ininfluente il ruolo dell’Italia in Europa sia in ordine ai propri interessi sia in favore dell’Europa complessivamente intesa.
Se ci si chiede perché l’Italia è ridotta a così poco, la realtà suggerisce che la nostra nazione è troppo debole e inconsistente su tre terreni cruciali: militare, culturale, economico. Nessun soggetto collettivo operante nella scena continentale e internazionale può permettersi, al punto in cui siamo, la somma di queste tre debolezze, al cospetto degli alleati come al cospetto di chi alleato non è: i primi così ci snobbano, i secondi ci fanno bersagli facili. Per quanto in particolare riguarda il Vecchio Continente e i suoi assetti istituzionali, è ormai acclarato che, tra le tante sfide cui nella vicenda storica ogni sintesi politica deve fare fronte, oggi il problema migratorio è quello più immediato, ed è destinato, così come ogni indicatore demografico mostra, a montare progressivamente nel prossimo futuro, anno dopo anno, fino a diventare problema insolubile nell’arco massimo di un ventennio, se non ci si attrezza adeguatamente.
Va detto con franchezza che la democrazia italiana (forse ogni democrazia, salvo i casi in cui tale regime riguardi nazioni che hanno o hanno avuto vocazioni imperiali gratificanti, come il Regno Unito o gli Stati Uniti) è in qualche modo idonea a gestire situazioni e affari politici che possiamo definire, per intenderci, di ‘ordinaria amministrazione’, ma lo è molto meno se si profilano impegni che comportino una ‘straordinaria amministrazione’. Per essere affrontate con probabilità di successo, sostenendo i propri interessi e aspettative, e in pari tempo contribuendo a garantire la convivenza continentale e la pace globale, le sfide straordinarie comportano una esigenza di ordine, disciplina, spirito civico, selezione adeguata di classi dirigenti: e nulla di tutto ciò è presente in buona proporzione nella nostra nazione. Un’orgia di diritti spesso implausibili e distruttivi della coscienza collettiva sta cancellando il senso del dovere. Ben pochi stanno più al posto che compete loro in ragione del merito e della capacità. Un buonismo indiscriminato e banalizzante sta cancellando ogni consapevolezza che ci attendono tempi complessi: si facciano pure parlare i misericordiosi a responsabilità limitata, ma non li si ascoltino. Le regioni sono ormai una piaga della nazione, e le pretese divisioniste incalzano. L’ordinamento giuridico complessivo (penale, civile, amministrativo, contabile) arranca sotto il peso di una incontenibile elefantiasi legislativa, che alimenta con le sue contraddizioni e inconsistenze normative l’incertezza del diritto. L’anarchia sociale è distruttiva. Molti italiani, riconosciamolo, non vogliono lavorare, vogliono solo il ‘posto’, molti non sanno lavorare: la società non può farsene carico indiscriminatamente. La crisi di legittimità del regime è ormai in bella vista: esito gravissimo, se si dovesse giungere alla conclusione che la democrazia, invece di essere una opportunità, è un ostacolo allo sviluppo della nazione. Certo si sosterrà, come già avviene, che l’Europa non consentirebbe ad alcun Paese della sua Unione di perdere la democrazia: ma intanto sono gli altri che piazzano alle loro frontiere con l’Italia truppe e polizie per impedire l’ingresso degli emigranti nei loro territori.
In breve. Il decennio che parte da adesso esige un progetto italiano per l’Italia e per l’Europa. In primo luogo, realizzando un potenziamento continuo, anno dopo anno, delle forze armate in personale e in mezzi aggiornati di terra, di mare e di cielo. In secondo luogo, restituendo serietà, rigore e selettività al sistema scolastico e universitario, docenti inclusi, anche per evitare che i giovani migliori lascino l’Italia. In terzo luogo, accrescendo la produttività e la resa dell’apparato industriale, del terziario e delle nuove tecnologie. La sinergia di questi tre grandi segmenti della nostra vita collettiva e individuale è in grado di offrire spazȋ di lavoro e credibilità alla nazione, con beneficio per essa e per l’Europa. È un percorso difficile? Ma le cose facili le sanno fare tutti. Sta alle classi dirigenti, se sono all’altezza della situazione, proporre e imporre le cose difficili a realizzarsi: difficili ma non impossibili, se si sanno calibrare le scelte in corso d’opera, senza farsi cogliere impreparati dalle dure prove che incombono.
Gianfranco Pasquino dice
Da par suo, vale a dire da uomo colto, con senso della Stato e con la capacità dello studioso di vaglio, Fisichella stila quello che de Gaulle chiamerebbe un vaste programme. Concordo. Non vado alle ricerca, come taluni, di colpevoli che neppure sono mai stati al governo in questo paese, poiché sono convinto che la battaglia di fondo l’abbiano persa i liberali, che non l’hanno neppure combattuta, e i sedicenti liberali che combattevano contro mulini a vento da loro stesso immaginati (costruiti sarebbe dare loro troppo credito). Di solito, si afferma che la soluzione, ma certo non esiste un’unica soluzione, si trova nella scuola, nella formazione, nell’educazione civica (attualmente oggetto non identificato), nella cultura. Quand’anche fosse così, ma Fisichella appropriatamente sottolinea che parte del problema sta proprio lì, bisognerebbe cominciare subito e ci vorrebbe almeno una generazione per vedere qualche conseguenza positiva, a patto che lo sforzo fosse condiviso, intenso e protratto. Talvolta sostengo che solo l’Europa potrà/ebbe salvarci. Poi, guardo che cosa succede in Ungheria e in Polonia, ma anche al confine di Ventimiglia con la “civilissima” Francia dell’europeista Macron, e mi intristico. Comunque, è giusto e importante riflettere sulle indicazioni di Fisichella (buttando nella pattumiera tutto quello che riguarda piccoli smorfiosi leader politici e i loro psicologi di riferimento).
Dino Cofrancesco dice
Condivido tutto. L’amico Domenico, però, sottovaluta il fattore culturale, i danni e le devastazioni causate da settant’anni di ideologia azionista, comunista e cattolico-sociale che hanno contribuito a erodere le basi di quella ‘comunità nazionale’ su cui si fondano i sistemi politici e le ‘forme di governo’.
Domenico Fisichella dice
Grazie a Dino per la sua costante attenzione. Ho richiamato la dimensione culturale che perciò non ho trascurato. Ma non potevo certo fare in poche righe la storia della mia battaglia intellettuale e morale contro i bersagli indicati dall’amico Cofrancesco.