Non sono un economista e, pertanto, non ho le competenze necessarie per replicare a un discorso, come quello di Stefano Zamagni, che mi lascia molto perplesso come studioso di storia e lettore dei classici del pensiero politico occidentale.
Innanzitutto mi ha stupito una citazione dello jus migrandi—sancito dal Trattato di Augusta del 1555—che sembra quasi la prefigurazione del ‘diritto cosmopolitico’ . In realtà, la Pace di Augusta segna l’ingresso dello stato nazionale—al quale non sono mai andate le simpatie dei cattolici progressisti—in un’arena politica prima dominata da istituzioni sovranazionali, come la Chiesa e l’Impero.
Lo jus migrandi sanciva semplicemente l’obbligo fatto ai sudditi di seguire la religione del principe (cuius regio, eius religio) e il relativo diritto di emigrare in un altro principato la cui religione di stato coincidesse con la propria. Forse Zamagni pensava all’impossibilità, per i pochi irakeni e siriani di religione cristiana, di diventare cittadini della Grecia o della Spagna ma, francamente, tale impossibilità non mi sembra oggi il punto più drammatico all’o.d.g.
Neppure mi convince il quadro apocalittico di un cambiamento climatico che creerà i ‘rifugiati ecologici’ e, inoltre, trovo contraddittorio parlare, da un lato, degli < espulsi dal diffondersi di pratiche di land grabbing (accaparramento delle terre), cioè di sottrazione di terre fertili ai loro abitanti da parte di governi stranieri e di grandi multinazionali, soprattutto in Africa subsahariana> e, dall’altro, delle <rimesse degli emigrati> che renderebbero l’emigrazione < il modo più rapido e meno costoso per entrare in possesso delle abilità e delle conoscenze richieste dai nuovi paradigmi tecnologici>. Ma in un subcontinente devastato da un neo-colonialismo predatorio come potrebbero le rimesse degli emigranti contribuire al decollo dei paesi di provenienza?
“Gli immigrati ci tolgono ricchezza? ”,si chiede Zamagni. <In verità con i cinque miliardi di differenza tra i contributi versati dagli immigrati e i contributi percepiti da costoro nel 2015, l’INPS paga le pensioni di 600 mila italiani. Sempre nel 2015, 8,7% è stato il contributo al PIL del lavoro degli immigrati>. Abbiamo bisogno degli emigranti, d’accordo, ma di quelli qualificati non di quelli da qualificare e da mantenere, a spese dello Stato ovvero dei contribuenti e che creano problemi di ordine pubblico anche nei comuni rossi.
”I migranti, oggi, sono il cavallo di Troia del terrorismo in Europa?” incalza ancora Zamagni. No, ribatte,< la realtà è che la quasi totalità delle persone che scappano dai loro paesi d’origine, scappa dal terrore e dalle guerre”. Qui ,debbo essere sincero, mi sembra che il buonismo coincida con l’irresponsabilità. Sappiamo tutti che sui gommoni non s’imbarcano i terroristi (anche se non ne sarei troppo sicuro) ma il punto è questo o un altro ben più drammatico ed ‘epocale’ ovvero il clash of civilizations di cui parlava uno dei massimi scienziati politici contemporanei, Samuel P. Huntington? Il rischio che incombe sull’omogeneità culturale delle nostre comunità politiche si risolve finanziando incontri e master universitari sulla tolleranza e sul (presunto) reciproco arricchimento delle culture? La ‘crisi dello stato nazionale’(un processo in Italia iniziato sessanta anni fa) va salutata come inevitabile e alla politica—che di quello stato era il terreno privilegiato—va sostituito il diritto? Resta difficile capire come un progetto ambizioso come il Migration Compact possa realizzarsi senza una nuova comunità politica—oggi impensabile– forte, coesa, dotata di un esercito e di una polizia alle dipendenze di un unico e responsabile potere esecutivo, ma forse i miei sono pregiudizi da vecchio lettore di Machiavelli e di Pareto.
Fulvio Attinà dice
Sostenere che bisogna difendere l’omogeneità culturale europea e ricordare il principio del cuius regio, eius religio fa pensare. Col tempo, infatti, gli stati hanno abbandonato quel principio e accettato che l’omogeneità culturale europea includesse le diversità. Hanno capito, cioè, che è possibile proteggere i beni culturali, cioè i prodotti tangibili di una cultura, mettendoli sono campane di vetro nei musei, ma che una cultura cambia secondo le circostanze e non c’è campana di vetro sotto la quale conservare l’omogeneità culturale. Dovrebbero capirlo i nostri governanti che vogliono conservare l’omogeneità culturale europea con politiche che sono, come il migration compact, fragili campane di vetro. Mi spiego.
1. Gli stati europei e l’UE hanno due politiche migratorie: quella per chi cerca rifugio da violenze e quella per chi cerca lavoro. Hanno cominciato a parlare anche di ‘migrazione forzata’, ma per questa non hanno una politica! Parlano anche di politiche per i problemi di sicurezza e antiterrorismo ma, per fortuna, non mischiano i due ambiti di politiche e di problemi!
2. Secondo l’UE e i governi europei, chi cerca lavoro deve stare nel suo paese (anche se è un paese a disoccupazione cronica o strutturale) finché non trova un posto di lavoro, anche in Europa sperando che il suo governo abbia firmato con l’UE un accordo di ‘well-managed migration’. Chi cerca rifugio, invece, è meglio che stia nella regione, dicono a Bruxelles e intendono in uno stato vicino al suo sistemandosi, in mancanza d’altro, in un campo profughi, perché gli conviene aspettare lì vicino, anche per anni, che finisca la violenza dalla quale è fuggito. Se gli stati nella regione non ce la fanno, l’UE li aiuta purché accettino un Migration Compact.
3. Il primo Compact è stato firmato qualche giorno fà dall’UE e dal governo libanese. Contiene questa perla: “… aiming at easing the temporary stay in Lebanon of Syrian nationals who have fled the war in Syria, Lebanon commits to continue seeking, in conformity with Lebanese laws, ways to facilitate the streamlining of regulations governing their stay, including periodical waiver of residency fees and simplifying documentary requirements such as the “pledge not to work”, with a view to easing their controlled access to the job market in sectors where they are not in direct competition with Lebanese, such as agriculture, construction and other labour intensive sectors.”
4. Insomma, paghiamo i libanesi che, sebbene accolgano i profughi siriani con l’impegno di questi a non lavorare (ma questo succede quasi ovunque!), cercheranno di farli lavorare in settori come agricoltura e costruzioni sebbene loro, i libanesi, non ne abbiano bisogno perché, al contrario dei paesi europei, hanno già molta manodopera locale a basso costo.
5. Mentre i governi europei cercano di bloccare così l’ingresso di migranti disposti a lavorare in Europa in settori produttivi abbandonati dagli europei, le imprese di questi settori volenti (!) o nolenti (?) ricorrono al lavoro nero dei migranti irregolari che comunque entrano in barba alla politica esterna delle migrazioni dell’UE e grazie anche alla missione UE Triton.
Sull’assorbimento di questi lavoratori a basso costo in Europa e aspettando che vengano i ‘colletti blu’ e i lavoratori qualificati, si può leggere questo studio https://www.bertelsmann-stiftung.de/fileadmin/files/user_upload/Studie_NW_From_Refugees_to_Workers_Vol1.pdf
ed anche questo che risponde agli interrogativi che nascono da ansie culturali https://www.ceps.eu/system/files/LSE%20No%2092%20Facilitating%20Mobility.pdf ).
Francesco dice
Buongiorno,
condivido pienamente la replica di Cofrancesco, ma la reputo ancora insufficiente nel descrivere la situazione europea.
Per non dilungarmi invito alla lettura dell’interessente articolo di Meotti pubblicato recentemente e di cui allego il link:
https://it.gatestoneinstitute.org/9392/francia-muezzin-campane
Mi pare colga con precisione la realtà della situazione francese ed europea, sia sul piano dell’occupazione materiale (meglio direi corporale) del vuoto lasciato dalla decrescita demografica occidentale, sia perchè mette in evidenza come numerosi intellettuali francesi della “gauche” prevedano ormai da tempo una sorta di “auto-sottomissione” inevitabile pur di salvare fino alla fine gli aspetti ideologici pseudo-laicisti di una improbabile rieducazione.
Mi pare colga a pieno il fallimento totale di una strategia laicista e di una visione sociale che ormai sta giungendo al termine. A tal proposito si vedano i vari movimenti popolari inglesi, americani ed est europei, che dietro il vessillo identitario e nazionalista raccolgono il dramma reale della paura e degli attacchi impliciti della conquista territoriale, fisica e carnale dei movimenti migratori. Il rischio della sfida rieducativa attraverso la “buona riconversione democratica alla laicità”, appare troppo alto e complesso o in certi casi totalmente inefficace, perchè si contrappone ad una radicale visione teocratica e in questo senso fondamentalista e assolutuzzante che emana tutta la sua forza sociale e capacità di penetrazione in tutti gli ambti, da quello finanziario a quello civile, quello economico, familiare, scolastico, previdenziale e per finire religioso.
Cordiali saluti,
Francesco