«L’uomo è la natura che ha preso coscienza di sé stessa». Le parole di Elisée Reclus (1830-1905), il più grande geografo dell’800, sintetizzano perfettamente il sentimento nuovo che l’ecologia ha generato nelle nostre coscienze e che la ‘Giornata mondiale per l’Ambiente’ ha il merito di ricordarci: l’idea della natura come responsabilità umana.
«L’azione dell’uomo, così potente per prosciugare i laghi, per livellare gli ostacoli tra i diversi paesi, per modificare la ripartizione primaria delle specie vegetali e animali», si legge nella sua opera più significativa, L’homme et la Terre, «è di un’importanza decisiva nelle trasformazioni che subisce l’aspetto esterno del pianeta. Essa può abbellire la Terra ma può anche imbruttirla: secondo lo stato sociale e i costumi di ciascun popolo, essa può contribuire tanto a degradare la natura quanto a trasfigurarla».
Alla crescita incessante delle grandi città corrisponde – secondo Reclus – una serie di mutamenti nel sentimento e nella coscienza degli uomini i quali, esiliati dalle campagne, maturano progressivamente un nuovo sentimento della natura. Quali saranno, tuttavia, gli esiti?
In pagine davvero lungimiranti vengono denunciati gli esiti negativi – la speculazione edilizia, il degrado, l’imbruttimento del paesaggio – del riflusso dalle città verso gli ambienti naturali: «Non soltanto rifiuti di ogni genere ingombrano lo spazio intermedio compreso tra le città e i campi ma, cosa ancor più grave, la speculazione si impadronisce di tutti i luoghi piacevoli delle vicinanze, li divide in rettangoli, li chiude entro mura tutte eguali, poi vi costruisce a centinaia casette pretenziose. In riva al mare, le scogliere più pittoresche, le spiagge più incantevoli sono anch’esse in molti punti accaparrate da proprietari gelosi o da speculatori che apprezzano le bellezze della natura come i cambiavalute stimano un lingotto d’oro. Nelle zone di montagna la stessa smania di possesso si impadronisce degli abitanti… Ogni curiosità naturale, la roccia, la grotta, la cascata, il crepaccio di un ghiacciaio, tutto fino al suono dell’eco può diventare proprietà privata».
Nelle nostre mani è dunque racchiuso il destino della Terra. L’ecologia è la scienza che ha restaurato la comunicazione tra uomo e natura facendoci scoprire la fragilità di quest’ultima e la nostra responsabilità di custodi della vita nel cosmo immenso.
Un sentimento nuovo che il filosofo della scienza Stephen Toulmin ha espresso coniando una suggestiva metafora, «la morte dello spettatore», intendendo che, sulla spinta dell’ecologia, non ci è più consentito di guardare al mondo come ad un oggetto separato da noi, come spettatori, appunto, che seguono l’azione da una platea. Siamo ormai al centro della scena, attori a tutti gli effetti in quanto membri di un ecosistema e, quindi, coinvolti in cicli di interazioni che generano relazioni complesse tra fenomeni naturali, biologici e sociali.
Un sentimento nuovo che ha tuttavia radici antiche. Oggi avvertiamo fortemente l’esigenza di ritrovare l’origine di atteggiamenti, scelte, consapevolezze – come quelle ecologiche – che ci appaiono spesso disancorate, non sufficientemente fondate sul piano teorico o che sentiamo estranee alla cultura ‘antropocentrica’ in cui siamo stati educati.
La ‘Giornata mondiale per l’Ambiente’ può allora diventare l’occasione di ricostruire la trama di un pensiero che si è andato tessendo nei secoli, ritornando, ad esempio, a quel filone che può definirsi umanesimo naturalistico, a partire da quei pensatori rinascimentali – come Giordano Bruno e Tommaso Campanella – che introducono una visione del cosmo in cui la Terra cessa di essere al centro dell’universo e l’umanità perde il suo posto privilegiato.
La rivoluzione copernicana comincia infatti a inscriversi, sia pure faticosamente, nella nostra coscienza generando un duplice sentimento: di spaesamento (siamo su un pianeta secondario, in una galassia marginale) ma anche di appartenenza (questa è la nostra Terra, la nostra unica dimora).
La condizione umana è quella di un essere che fa parte del più ampio sistema della natura, sottomesso alle stesse leggi che governano le altre creature: una visione che porterà, per mosse successive, al riconoscimento di fondamentali elementi di continuità tra i viventi, dalle forme più elementari di vita fino alle più complesse.
Pensare alle piante e agli animali – ci ricorda lo storico Thomas Keith – diverrà per gli uomini un modo di pensare a sé stessi trasformando la nostalgia per un mondo perduto e l’ansia di ritrovarlo in un interrogativo di fondo per filosofi e teologi, per geografi ed economisti, per storici e critici letterari.
È con queste correnti che dovremmo raccordarci per disegnare i lineamenti di un umanesimo ecologico in grado di integrare i principi dell’etica umana con i nuovi doveri verso la natura e le altre specie. Un umanesimo divenuto ormai consapevole che l’esclusiva concentrazione sull’uomo rischia di comportare immiserimento e disumanizzazione, secondo il monito di Albert Schweitzer per il quale «un’etica che si occupa solo degli umani è disumana».
Non si tratta tuttavia in alcun modo di vagheggiare impossibili ritorni a un’età dell’oro o a un Eden perduto. La società moderna – è la lezione umanistica di Reclus – è chiamata a saldare i vantaggi della civiltà, le conquiste del progresso con l’eredità della grecità e la tradizione classica delle virtù: il recupero di un rapporto armonico con la natura non comporta assolutamente un regresso a uno stato primitivo. «L’uomo moderno deve riunire nella sua persona tutte le virtù di quelli che lo hanno preceduto, senza abdicare a nessuno degli immensi privilegi che gli ha conferito la civiltà».
La sfida che ci troviamo dinanzi oggi consiste, forse, proprio nella ricerca di una nuova sintesi che sappia coniugare le istanze innovative espresse dal pensiero ecologico con le potenzialità creative dell’eredità umanistica. Proteggere il nostro ambiente non sarebbe più, quindi, soltanto una questione di prudenza razionale, all’interno di una gestione oculata delle risorse naturali, bensì di giustizia, e cioè di rispetto per i diritti dei futuri abitanti del pianeta.
Alessandro Bruni dice
L’articolo per argomento è interessante, ma troppo spesso l’autore cita fonti del passato assai datate ed oggi non più valide sul piano scientifico (Reclus, Bruno, Campanella). Inoltre cita gli autori di riferimento senza indicarne le fonti (Keith, Schweitzer) rendendo imprecisa la dissertazione e facendo cadere l’importante ‘Giornata mondiale per l’Ambiente’ in un ritorno al passato di carattere utopistico passatista piuttosto che a una necessità attuale. La campagna per l’ambiente non si sostiene con i filosofi, i massoni e gli anarchici del passato. Un bell’esercizio di cultura classica e nulla più.