Per la prima volta nel nostro Paese sarà una donna a divenire premier: a livello simbolico un’inversione di rotta in un ambito tradizionalmente marcato al maschile, soprattutto per quanto riguarda le posizioni apicali. E lo diventerà anche grazie al voto delle donne che ne condividono le idee e forse apprezzano il suo essere ‘donna’ (tra coloro che sono andate a votare, il 62,2% delle aventi diritto al voto, il 27% ha votato per FdI, il 21% per il PD e il 15% per il Movimento 5 stelle; fonte: onData).
Questa novità, di per sé eclatante, ha generato molti dibattiti specie tra le intellettuali, femministe e non. C’è chi ha sollevato l’interrogativo principe: «Quale significato ha la vittoria di Meloni per le donne e per il femminismo?». Le posizioni emerse a questo proposito sono molteplici: si va dall’esultazione per l’avvenuta rottura del soffitto di cristallo alla preoccupazione relativa alla salvaguardia dei diritti delle donne e delle minoranze. C’è poi chi si domanda, polemizzando con il maschilismo presente nei partiti di sinistra: «Perché sono soprattutto le donne di destra a ricoprire ruoli di potere?».
Il patto stabilito da Giorgia Meloni con l’elettorato femminile sui temi che riguardano le donne è ambiguo, nel senso di non garantire affatto il perseguimento dell’obiettivo della parità di genere che molte si aspettano: ad esempio, in una lettera aperta le si ricordano le priorità di cui occuparsi quando diventerà premier come la tragedia dei femminicidi, le disparità di genere nel mondo del lavoro, le condizioni drammatiche delle migranti fuggite dai loro paesi in guerra (Famiglia Cristiana 6/10/2022). Rispetto al tema ‘caldo’ dell’aborto (le manifestazioni del 28 settembre organizzate dalla rete antiviolenza NonUnaDiMeno), Meloni da un lato rassicura che non abolirà la legge 194, dall’altro dichiara di volere mettere le donne in condizione di potere scegliere di portare a termine la gravidanza. Il suo programma elettorale, infatti, è teso a ridare valore al classico ruolo femminile, la figura della Madre prolifica vista come salvatrice della Patria, dato che contrasterà il calo demografico al fine, si presume, di potere fare a meno della presenza dei migranti. Tema sul quale nella coalizione di centrodestra sono tutti d’accordo: vedi l’istituzione del ministero della Famiglia e della natalità.
Anche il tema della violenza di genere e del femminicidio viene affrontato attraverso la lente della politica anti-migratoria, della sicurezza e della lotta al degrado, come si desume dal programma elettorale di FdI che prevede l’introduzione del poliziotto di quartiere e di sistemi di videosorveglianza. Il video dello stupro di una donna ucraina a Piacenza da parte di un ugandese, rilanciato da Meloni il 21/8/2022 sui suoi canali social, è la dimostrazione della strumentalizzazione del femminismo a scopo anti-migratorio (il femonazionalismo che accomuna le destre di molti paesi; cfr. Farris 2019): in un comizio essa ha dichiarato che per la sinistra un clandestino è più importante di una donna violentata, come dire che FdI protegge maggiormente le donne. Sappiamo invece dai dati statistici (Istat, Eures, Casa delle donne per non subire violenza) che i femminicidi, e le violenze che spesso li precedono, vengono commessi soprattutto da uomini di nazionalità italiana e per lo più nell’ambito di una relazione intima in corso o finita, all’interno delle mura di casa. Il considerare questo problema strutturale solo come una questione di sicurezza elude inoltre la questione culturale che è alla radice della violenza di genere. Ad esempio, FdI osteggia le iniziative nelle scuole di educazione alle differenze – dunque al rispetto dell’altro/a da sé –, combattendo la presunta ideologia gender. Non è perciò garantito il fatto che l’Italia continuerà ad aderire alla Convenzione di Instanbul per la prevenzione e l’eliminazione della violenza di genere ratificata nel 2013, dato che in essa è centrale il concetto di ‘genere’, ossia la costruzione socioculturale della disparità di potere tra donne e uomini (la stessa Turchia ne è uscita nel 2021 e il premier ungherese Viktor Orban, a cui Meloni fa riferimento, non l’ha ratificata proprio perché promuoverebbe l’ideologia gender).
Il Governo Meloni si troverà dunque di fronte a sfide difficili per quanto riguarda le tematiche relative alla vita e al corpo delle donne: per mantenere il consenso acquisito si tratta di non deludere le aspettative in termini di parità di genere suscitate nell’elettorato femminile dall’improvvisa ascesa di una leader donna, perseguendo al tempo stesso una politica conservatrice che non mette in discussione il maschilismo, così come le categorie di genere tradizionali. C’è chi sostiene che è questo il motivo principale per cui fanno carriera soprattutto le donne politiche di destra, viste come meno minacciose per gli uomini.
Lascia un commento