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Votare o non votare, questo è il problema

5 Febbraio 2018 di Corrado Ocone 3 commenti

«Il mondo è uscito fuori dai cardini», si potrebbe dire con l’Amleto di Shakespeare. Anche se, nel nostro caso, è solo al mondo politico che ci riferiamo. La politica italiana sembra impazzita: apparentamenti inusuali che si fanno e disfanno in un battibaleno, promesse mirabolanti, faziosità manifesta anche se più esibita che praticata, ecc. ecc. Cosa abbiamo fatto per meritarci tanto, si chiede Ernesto Galli Della Loggia? Perché è accaduto tutto questo? Quale la causa? La risposta che sia tutta colpa nostra, un segno del nostro generale declino, non mi convince. Forse sarebbe opportuno lasciare agli storici di domani il compito di dare una interpretazione d’insieme della nostra attuale situazione politica. Mi sembra più impellente invece la questione pratica: Che fare?Come comportarsi? Più prosaicamente, a chi dare credito? O, addirittura, a chi dare il nostro voto il 4 marzo? Prima di tutto, dico subito che non mi associo nemmeno alle geremiadi sulla decadenza della politica: penso, infatti, che essa segua le sue regole, sempre le stesse, in tutti i luoghi e in tutte le situazioni. I leader di partito hanno riempito le loro liste di fedelissimi e ‘paracadutati’? E che altro avrebbero dovuto fare se non seguire come sempre hanno fatto il loro interesse e adattarlo alle nuove condizioni elettorali? Autolimitarsi per motivi ideali? A quel punto non sarebbe stato tanto meglio per loro non presentarsi proprio alle elezioni, non almeno con queste regole? Si dice poi che Matteo Renzi è arrogante perché ha messo sotto schiaffo il suo partito. Ma bisogna chiedersi: da quando in qua i partiti sono stati democratici (così come le aziende, la scienza, e tante altre realtà del nostro mondo pur democratico in linea di massima)? E il politico si giudica più dai risultati ottenuti o dai tratti del carattere? Tutto questo dovrebbe esser ben chiaro soprattutto a chi si pone con gli occhi di un liberale di fronte alla realtà politica, e guarda quindi più alla tenuta del sistema che non alle fortune di un partito. Chi scrive ha sempre ritenuto che il partito liberale potrà pure esistere, con questo nome, in determinati contesti storici e geografici, ma in genere il liberalismo è una metodologia di azione politica che dovrebbe abbracciare nella misura del possibile tutte le forze politiche. Sempre nell’ottica della visione metapolitica, io credo poi che l’Italia, con il no al referendum costituzionale del 4 dicembre 2016, abbia perduto un’occasione storica, che difficilmente si ripresenterà nel futuro. Timida, contraddittoria, scritta male, senza dubbio, la riforma Renzi-Boschi. Essa, tuttavia, rappresentava un primo passo per rammodernare quell’edificio costituzionale e istituzionale che è, io credo, all’origine di buona parte dei nostri problemi politici. Avrebbe smosso degli equilibri, e nel senso giusto. E avrebbe cominciato a rompere in senso sostanziale il tabù della «Costituzione più bella del mondo». Ma tant’è! Gli italiani non hanno voluto e Renzi non ne ha tratto le conseguenze che un grande statista avrebbe dovuto trarne. Anche per lui, non credo che un treno del genere, quello della Grande Politica voglio dire, più passerà. Ora ci troviamo in uno stallo di cui è difficile intravedere l’uscita, pur essendo la politica arte umana per eccellenza, e cioè libera e imprevedibile. Si può protestare contro questo stato di fatto e non andare a votare, oppure turarsi il naso e fare la scelta che a noi sembra solo un pochino più razionale. Opzioni entrambe legittime. Per un liberale, l’astensione è una scelta come un’altra, anche se in Italia vige, iscritta nella nostra stessa Costituzione, la retorica della partecipazione. È un privilegiare quella che Isaiah Berlin avrebbe chiamato (in modo filosoficamente problematico) «libertà di» rispetto alla più prosaica «libertà da». Democraticismo, più che liberalismo. Io credo comunque che andrò a votare, nella speranza, forse fatalistica, che le cose si ricompongano da sole in un’ottica moderata e riformista. Il tempo della protesta fine a se stessa mi sembra ampiamente scaduto.

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Commenti

  1. maurizio griffo dice

    6 Febbraio 2018 alle 20:00

    IL prossimo 4 marzo occorre andare a votare per abbassare il quorum dei 5stelle. I partiti democratici che abbiamo non sono un granché ma i 5stelle sono il peggio del peggio.

    Rispondi
  2. Gianfranco Pasquino dice

    6 Febbraio 2018 alle 15:09

    Votare o non votare? sarebbe molto utile, prima di e per scrivere su questo argomento leggere il fascicolo di Paradoxa Aux urnes, citoyens! Comunque, gli italiani hanno saputo come votare nel referendum del dicembre 2016, e lo hanno fatto alla grande.

    Rispondi
  3. Dino Cofrancesco dice

    6 Febbraio 2018 alle 8:37

    «Sempre nell’ottica della visione metapolitica, io credo poi che l’Italia, con il no al referendum costituzionale del 4 dicembre 2016, abbia perduto un’occasione storica, che difficilmente si ripresenterà nel futuro. Timida, contraddittoria, scritta male, senza dubbio, la riforma Renzi-Boschi. Essa, tuttavia, rappresentava un primo passo per rammodernare quell’edificio costituzionale e istituzionale che è, io credo, all’origine di buona parte dei nostri problemi politici. Avrebbe smosso degli equilibri, e nel senso giusto. E avrebbe cominciato a rompere in senso sostanziale il tabù della «Costituzione più bella del mondo».
    Parole sante, come si diceva una volta.

    Rispondi

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