La conferenza stampa di fine 2022 della nostra Presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha riportato all’attenzione la questione delle riforme istituzionali. Mi ha colpito questa sua affermazione testuale: «Per quello che mi riguarda, modelli ce ne sono diversi e […] si possono anche inventare. Si possono fare tantissime cose […]». Questo aspetto creativo dell’ingegneria istituzionale è normalmente sottaciuto anche dagli esperti del campo, dai costituzionalisti di professione che – non me ne si voglia, lo dico con affettuosa ironia, avendo amici e colleghi tra di loro – sono spesso un po’ bacchettoni e conservatori. Il loro conservatorismo nasce – non solo, ma anche – da un felicissima intuizione di Giuseppe De Vergottini che una trentina d’anni fa introdusse la tematica della «circolazione dei modelli istituzionali». Semplificando molto, s’intendeva con ciò il fatto che nella fase istituente si trae ispirazione da questa o quella esperienza e i padri fondatori sono sempre influenzati più o meno consapevolmente dagli esempi offerti da altri paesi e dai precedenti storici. S’inventa ben poco, perché è più agevole copiare e perché i costituenti seguono modelli che conoscono e ai quali sono vincolati per identificazione ideale ed etico-politica.
Nulla è più vero, ma resta il fatto che si può anche variare o inventare molto, come appunto sostiene Giorgia Meloni, e che fossilizzarsi sulla ‘trinità’ Parlamentarismo-Semipresidenzialismo-Presidenzialismo è un buon modo per non combinare alcunché anche questa volta. Infatti, di questi tre principali ‘modelli circolanti’ esistono così tante versioni da farci dubitare che ciascuno in sé sia ‘una cosa sola’. Non sto a ripetermi su queste questioni che ho affrontato nel forum, chi abbia voglia può sfogliare a ritroso: De facto o de iure, siamo una Repubblica semipresidenziale? del 25.11.2021; Un Presidente non si giudica dall’elezione del 31.01.2022; e Chi ha paura del lupo cattivo? del 17.02.2022.
Ma come possiamo inventare? Essenzialmente, qualsiasi modello istituzionale poggia su una articolazione di ruoli o attori istituzionali, che possono essere individuali (il Capo di Stato, il Capo di Governo) oppure collettivi (tipicamente, le assemblee legislative e i Consigli o le Giunte esecutive). A questi ruoli, in secondo luogo, vengono attribuiti poteri o risorse ‘potestative’ che in definitiva fanno poi variare molto le tipologie. Ad esempio, visto che già di semipresidenzialismo ha parlato la Ministra Casellati, fa un certa differenza avere un presidente (come quello francese) molto forte, che disponga sia di ampi poteri esecutivi che legislativi, oppure all’opposto debole (come il presidente irlandese, sloveno o austriaco) che non dispone di poteri rilevanti nei confronti del Governo né del Parlamento. Nella soluzione francese, normalmente il Presidente del Consiglio è oscurato dal Presidente-Capo di Stato, in altre la ‘coabitazione’ sta nella carta costituzionale non nell’alea politica-elettorale. In terzo luogo, bisogna riflettere su come i ruoli istituzionali sono agganciati l’uno all’altro, in vere e proprie ‘arene istituzionali’. Ad esempio, nelle forme parlamentari, la sopravvivenza del legislativo dipende da quella del governo: un parlamento non esiste se non ha il suo governo e se non riesce a darselo deve sciogliersi. Nel presidenzialismo non è così: il legislativo vive di vista sua propria, quale che sia il presidente esecutivo di turno.
Le combinazioni che possiamo inventare – ha ragione la Presidente Meloni – sono moltissime, quasi infinite. Possiamo agire sul numero dei ruoli individuali e dei ruoli collettivi; possiamo modulare in modi svariati i poteri/le risorse attribuite a ciascun ruolo; possiamo, infine, incastrare questi ruoli tra di loro, come ci sembrerà più conveniente, facendo dipendere la sopravvivenza di uno dall’altro. Intendiamoci, inventare ex novo però non è affatto facile, si rischia molto perché possono mancare esemplificazioni di riferimento e, infine, la battuta della Presidente Meloni svela un’ingenuità. Infatti, un conto è disegnare su una tabula rasa nuove istituzioni in una fase costituente successiva al processo di democratizzazione (come avvenne in Italia tra il 1946-48), un’altra è intervenire con aggiustamenti su un assetto già esistente e che tutto sommato in oltre 70 anni ha anche mostrato di saper sopravvivere a crisi e superare conflitti.
Casellati ha ricordato che in Italia dal dopoguerra si sono succeduti 69 governi, con durata media pari a 14 mesi. Allora bisognerà stare attenti, perché più si moltiplicano gli attori rilevanti nel circuito istituzionale, più si disperdono i poteri tra di loro, più si moltiplicano i veto players e le opportunità di conflitto, più diminuisce la capacità di governo e questo stesso può finire in balia di tensioni contrapposte. Per la verità, anche nel modo in cui il dibattito ha mostrato di dipanarsi dalle prese di posizione iniziali di Meloni e Casellati, si ricava l’impressione che l’attenzione sia stata catturata superficialmente dal tema dell’elezione diretta del Presidente, per avere finalmente un ‘potere forte’, ma se l’obiettivo è stabilizzare gli esecutivi, non è detto che l’elezione popolare del Presidente della Repubblica sia la soluzione unica, bisognerà capire quali poteri gli saranno attribuiti, in che relazione questi saranno posti rispetto ai poteri del legislativo e che ne sarà del Presidenza del Consiglio.

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