Come ha scritto Biagio de Giovanni, sul «Mattino» del 3 luglio – Insieme contro, il solito vizio della sinistra – «Per l’Italia, il 4 dicembre, la bocciatura della proposta referendaria, è la data che fa da spartiacque: nessuno intendeva attribuire a quella riforma una funzione salvifica, e non era difficile vedere suoi difetti e limiti, ma là dentro c’era la possibilità di un nuovo corso politico, e magari di tensioni e conflitti ma finalmente marcati dal segno di un passaggio costituzionale e politico di grande portata». Si può essere d’accordo o in disaccordo con lo studioso rimasto uno dei pochi cervelli pensanti della sinistra italiana ma i fatti sono inconfutabili e i fatti, dicevano gli Antichi, sono divini. [Per saperne di più…]
E se scegliessimo la parte sbagliata della storia?
Un grande giornalista italiano di area liberaldemocratica – ma in gioventù dirigente della Federazione Giovanile Comunista –prendendosela con i philosophes parigini, che in odio a Emmanuel Macron hanno deciso di non recarsi alle urne – non potendo, certo, dare il voto a una nazionalista come Marine Le Pen – ha scritto che «rischiano di stare dalla parte sbagliata della storia». Che la mostrificazione di Macron sia un errore, ne sono convinto anch’io: se fossi francese, come Alain Finkielkraut, lo voterei ‘par défaut’ ma il punto non è questo. È l’invito a non porsi contro la storia che ha suscitato in me un invincibile senso di inquietudine. «Sapere dove va il mondo» o «dove va la Storia» (con la esse maiuscola) è sempre stata, infatti, la caratteristica fondamentale della mens totalitaria, di destra e di sinistra. Per i nemici della ‘società aperta’, gli individui, con i loro desideri, le loro paure, le loro speranze, le loro istanze morali, i loro bisogni «umani troppo umani», vanno incontro alla nullificazione ontologica se si mettono a nuotare controcorrente. Solo se alzano le vele seguendo la direzione del vento giungeranno in un porto sicuro. [Per saperne di più…]
Considerazioni di un liberale non libertario, laico non laicista sull’aborto
Se quella materia vivente, che somiglia a un mostriciattolo con fattezze umane, giunta al terzo mese dal concepimento, si ribella all’isterosuttore e si sforza con penosa fatica di non esserne risucchiata, non si distingue da una cisti seborroica o da un’appendice da asportare subito per non farla degenerare in peritonite, come credeva la radicale Adele Faccio (e come forse crede Emma Bonino), il problema non si pone. L’aborto è un ascesso dentario che la mutua può benissimo ‘passare’ (forse l’esempio è mal scelto giacché le cure medico-dentarie sono a carico del paziente, ma il discorso è chiaro). Mettiamo, però, che per alcuni le cose non stiano proprio così, ritenendo fin dall’inizio del concepimento ci si trovi dinanzi a una persona: è difficile crederlo, sulla base dei testi di medicina, ma questa è la posizione dei cattolici che si richiamano al principio della sacralità della vita, indisponibile in quanto dono di Dio. Si tratta di due stili di pensiero opposti e affini. Per i laicisti – spesso atei razionalisti – il feto è nulla, per i credenti il feto è già, in quanto persona, titolare di diritti: per i primi, liberarsene è eticamente irrilevante, per i secondi è un reato (e si potrebbe aggiungere: una colpa morale e un peccato). [Per saperne di più…]
Un commento a Vittorio Possenti
Vittorio Possenti, nel suo intervento L’insegnamento sociale della chiesa fonte di ispirazione per molte dottrine politiche?, ci richiama, in sostanza, all’adagio antico extra Ecclesiam nulla salus. Non sono un neo-illuminista né un ateo razionalista, non amo i laicisti né, tanto meno, quelli che un tempo venivano definiti i mangiapreti. Inoltre ho avuto una formazione laica ed empirista—i miei maestri erano Guido Calogero, Norberto Bobbio, Nicola Abbagnano, e in genere l’ala liberale della cultura azionista—che solo in età matura mi ha fatto scoprire che, nel nostro paese, c’è una filosofia cattolica che non ha nulla da invidiare a quella laica e i cui esponenti, Augusto Del Noce, Sergio Cotta, Vittorio Mathieu, Pietro Prini etc. avevano scritto—e continuano a scrivere, è il caso di Sergio Belardinelli, di Francesco D’Agostino e di qualche altro saggista– pagine sul nostro tempo, sulla cultura europea, sulla storia d’Italia, sull’etica politica, sulla civiltà del diritto spesso persino più profonde e meditate di quelle, assai più note, delle mie vecchie guide laiche. Fatta questa premessa e chiarito che non ho nulla contro il mondo cattolico e tanto meno contro intellettuali rispettabili e impegnati nella ricristianizzazione della società contemporanea, come Vittorio Possenti, debbo rilevare, ahimè, che al vaglio della mia ‘ragione scettica’(in senso humeano), risultano di colore oscuro le sue parole: <“Finalità immediata della dottrina sociale | della Chiesa | è quella di proporre i principi e i valori che possono sorreggere una società degna dell’uomo” (Centesima Annus, n. 10). Conosciamo questi principi: la persona, il bene comune, la destinazione universale dei beni, i limiti del mercatismo liberista, la sussidiarietà, la partecipazione, la solidarietà, la custodia del creato e della vita. |…| La categoria ‘persona’ è e rimane un’idea fondamentale nella controversia sull’humanum in corso ovunque>.
Una replica a Zamagni
Non sono un economista e, pertanto, non ho le competenze necessarie per replicare a un discorso, come quello di Stefano Zamagni, che mi lascia molto perplesso come studioso di storia e lettore dei classici del pensiero politico occidentale.
Innanzitutto mi ha stupito una citazione dello jus migrandi—sancito dal Trattato di Augusta del 1555—che sembra quasi la prefigurazione del ‘diritto cosmopolitico’ . In realtà, la Pace di Augusta segna l’ingresso dello stato nazionale—al quale non sono mai andate le simpatie dei cattolici progressisti—in un’arena politica prima dominata da istituzioni sovranazionali, come la Chiesa e l’Impero.
Lo jus migrandi sanciva semplicemente l’obbligo fatto ai sudditi di seguire la religione del principe (cuius regio, eius religio) e il relativo diritto di emigrare in un altro principato la cui religione di stato coincidesse con la propria. Forse Zamagni pensava all’impossibilità, per i pochi irakeni e siriani di religione cristiana, di diventare cittadini della Grecia o della Spagna ma, francamente, tale impossibilità non mi sembra oggi il punto più drammatico all’o.d.g.
Neppure mi convince il quadro apocalittico di un cambiamento climatico che creerà i ‘rifugiati ecologici’ e, inoltre, trovo contraddittorio parlare, da un lato, degli < espulsi dal diffondersi di pratiche di land grabbing (accaparramento delle terre), cioè di sottrazione di terre fertili ai loro abitanti da parte di governi stranieri e di grandi multinazionali, soprattutto in Africa subsahariana> e, dall’altro, delle <rimesse degli emigrati> che renderebbero l’emigrazione < il modo più rapido e meno costoso per entrare in possesso delle abilità e delle conoscenze richieste dai nuovi paradigmi tecnologici>. Ma in un subcontinente devastato da un neo-colonialismo predatorio come potrebbero le rimesse degli emigranti contribuire al decollo dei paesi di provenienza?
“Gli immigrati ci tolgono ricchezza? ”,si chiede Zamagni. <In verità con i cinque miliardi di differenza tra i contributi versati dagli immigrati e i contributi percepiti da costoro nel 2015, l’INPS paga le pensioni di 600 mila italiani. Sempre nel 2015, 8,7% è stato il contributo al PIL del lavoro degli immigrati>. Abbiamo bisogno degli emigranti, d’accordo, ma di quelli qualificati non di quelli da qualificare e da mantenere, a spese dello Stato ovvero dei contribuenti e che creano problemi di ordine pubblico anche nei comuni rossi.
”I migranti, oggi, sono il cavallo di Troia del terrorismo in Europa?” incalza ancora Zamagni. No, ribatte,< la realtà è che la quasi totalità delle persone che scappano dai loro paesi d’origine, scappa dal terrore e dalle guerre”. Qui ,debbo essere sincero, mi sembra che il buonismo coincida con l’irresponsabilità. Sappiamo tutti che sui gommoni non s’imbarcano i terroristi (anche se non ne sarei troppo sicuro) ma il punto è questo o un altro ben più drammatico ed ‘epocale’ ovvero il clash of civilizations di cui parlava uno dei massimi scienziati politici contemporanei, Samuel P. Huntington? Il rischio che incombe sull’omogeneità culturale delle nostre comunità politiche si risolve finanziando incontri e master universitari sulla tolleranza e sul (presunto) reciproco arricchimento delle culture? La ‘crisi dello stato nazionale’(un processo in Italia iniziato sessanta anni fa) va salutata come inevitabile e alla politica—che di quello stato era il terreno privilegiato—va sostituito il diritto? Resta difficile capire come un progetto ambizioso come il Migration Compact possa realizzarsi senza una nuova comunità politica—oggi impensabile– forte, coesa, dotata di un esercito e di una polizia alle dipendenze di un unico e responsabile potere esecutivo, ma forse i miei sono pregiudizi da vecchio lettore di Machiavelli e di Pareto.
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