Non è un appello sentimentale per tenere viva l’attenzione nei confronti delle uniche vere vittime della tragedia afghana, le donne, gli uomini e i bambini che da un giorno all’altro sono rimasti ingabbiati in un sistema politico e sociale diverso da quello in cui, tra attentati e difficoltà di ogni genere, erano comunque vissuti negli ultimi vent’anni. Una doccia scozzese che dura peraltro da settant’anni. Quando ci andai negli anni ’70 a Kabul regnava ancora Zahir Shah; il paese si presentava come una confusa aggregazione di tribù pressoché indipendenti ma nelle città principali funzionava un primo abbozzo di stato moderno con scuole, mercati, servizi che progressivamente tendevano a trasformare anche l’Afghanistan in una nazione moderatamente laica (come erano in quegli anni le altre del Medio Oriente).
Letta e l’identità di sinistra
Appena insediato al vertice, Enrico Letta si è posto il problema che sin dalla sua fondazione angoscia il partito democratico, quello della sua identità. Un’esigenza che da sempre tormenta gli ambienti che ‘guardano a sinistra’, per i quali alla mancanza di tale identità si deve il declino anche elettorale di tutti i soggetti che, nel tempo, hanno cercato di raccogliere in qualche modo l’eredità social-comunista del dopoguerra, dimenticando che essa si fondava sull’idea marxiana di un rovesciamento profondo dei rapporti di classe, sia pure adattata alla particolare realtà italiana.
Anche il PD, nato nel 2007 dalla convinzione di Veltroni che tale retaggio potesse fondersi con quello del cattolicesimo sociale (confluito a suo tempo nella DC, per motivazioni storiche ormai superate) e costituire un’alternativa di sinistra legittimata a esercitare il potere in un paese oggi saldamente ancorato ai principi democratici e liberali occidentali, non è mai riuscito a liberarsi dal richiamo identitario di alcune minoranze elitarie (‘alla Nanni Moretti’, per intenderci) che, nostalgicamente, rimuginavano la mancata trasformazione radicale degli assetti economici e sociali anche a costo di restare inevitabilmente all’opposizione (e anzi forse proprio per questo, per non misurarsi con le inevitabili complicazioni che comporta il governare la variegata composizione sociale del Paese). [Leggi di più…]
Votare: è una parola…
Non sempre le elezioni sciolgono i nodi della politica; spesso il problema non è se votare o meno ma come farlo, con quale legge elettorale, con quali obiettivi, se privilegiando la governabilità oppure rispettando integralmente la rappresentanza del pluralismo delle opinioni. Né vale l’obiezione, spesso ripetuta, che si possano trovare soluzioni intermedie che salvino capra e cavoli perché, nonostante i marchingegni dell’ingegneria costituzionale, si arriva sempre al punto di dovere privilegiare uno dei due corni del dilemma.
Le soluzioni contorte provocano talvolta esiti paradossali, perché studiate in base ad aspettative che poi si dimostrano infondate. L’esperienza dimostra che ogni cambiamento della legge elettorale produce variazioni nelle intenzioni di voto, dando luogo a un avvitamento indecoroso al quale sarebbe bene mettere fine attraverso una seria riflessione che coinvolga non solo le principali forze politiche (tese a privilegiare le proprie presunte convenienze elettorali) ma anche l’opinione pubblica, la quale da tempo reclama regole che garantiscano la governabilità del Paese una volta per sempre. [Leggi di più…]
In rete le regole della rete
Da che mondo è mondo, le regole servono per proteggere i più deboli dalla prepotenza di chi potrebbe farne a meno.
È così che nascono gli stati di diritto sin dall’antica Repubblica romana, e ancora oggi sono le regole che tutelano i cittadini, tornati ad essere, nei paesi democratici, la fonte primaria del potere politico, dalle fragilità che possono condizionarne i comportamenti.
La libertà di espressione, sacra per i liberali e fondamento del moderno costituzionalismo, va non soltanto enunciata ma anche protetta da chi, magari in suo nome, la distorce per utilizzarla contro la verità dei fatti e spesso anche a danno della dignità delle persone.
Dopo di noi. Giovani, politica e social network
Le nostre generazioni, quella dell’immediato dopoguerra e quelle immediatamente successive che sia pure in modi talvolta antagonisti hanno avuto in comune radici culturali riconoscibili e mezzi di comunicazione nuovi ma comunque in continuità con quelli precedenti, si interrogano sul futuro che attende chi verrà dopo di noi. Una domanda legittima che i vecchi si sono sempre posti (quasi sempre, per fortuna, sbagliando le loro previsioni) e che comunque in un momento di crisi come quello che stiamo attraversando assume una rilevanza particolare. Anche perché quando qualcosa scricchiola di una costruzione che faticosamente abbiamo eretto mantenendola in un delicato equilibrio che ha resistito alle contestazioni e alle spinte che da ogni parte l’insidiavano, ci domandiamo se e dove abbiamo sbagliato. [Leggi di più…]