Dov’è finita l’urgentissima legge elettorale? Sono i gufi a fare melina oppure i renziani che, rattrappiti dopo la botta alla legge più bella d’Europa, boccheggiano? Sono quei renziani a temporeggiare sperando di trarre qualche linfa dalle votazioni per il prossimo segretario? Ma se la legge elettorale è di tutti e per tutti perché attendere l’evento di un partito? Comunque, alla Camera dei deputati quel che ne rimane del Partito Democratico ha la maggioranza assoluta dei seggi. È sufficiente che introduca il Mattarellum, magari come primo atto riformista dell’inopinato Ministro delle Riforme Anna Finocchiaro, e lo faccia votare. Dopo, brevissimo il passo, toccherà al Senato dove il PD finalmente nominerà il Presidente della Commissione Affari Costituzionali, per esempio, un Senatore competente come Federico Fornaro, adesso di Art. 1, e subito dopo chiederà a uomini e donne di qualche volontà di procedere all’approvazione perché prima o poi si tornerà alle urne e, insomma, è meglio avere una legge votata dal Parlamento piuttosto che un testo scribacchiato (eh, sì, cara Corte Costituzionale, proprio di scribacchio si tratta) da non proprio competentissimi giudici. Le leggi elettorali non sono affare da giuristi, ma richiedono conoscenze politologiche. Periodicamente, è anche giusto ricordare a quelli che parlano di sovranità popolare che il Mattarellum non è caduto dal cielo e neanche dalla Consulta, ma è stato in prima e grandissima misura il prodotto di un referendum popolare approvato il 18 aprile 1993 da quasi il novanta per cento dei votanti. L’esito si applicava direttamente soltanto al Senato cosicché i deputati pensarono soprattutto a salvarsi la pelle, ovvero il seggio, e ne venne fuori il Mattarellum con la scheda di recupero proporzionale, ma anche con la posssibilità per gli ornitologi di fare le liste civetta per non perdere neanche un voto del cosiddetto scorporo. Brutto trucchetto che nel 2001 costò, a chi aveva ecceduto nella furbata, cioè la Casa delle Libertà, la bellezza di undici seggi. [Leggi di più…]
Liberali sbandati e sbadati
Le assenze dei liberali di destra, titola l’editoriale del «Corriere della Sera» del 23 febbraio. Poi, l’autore, Francesco Verderami, si dedica ai conflitti e alle distanze che intercorrono soprattutto fra Silvio Berlusconi e Matteo Salvini, fra quel che resta, pochino, di Forza Italia e la Lega per l’Indipendenza della Padania. Ho scritto per esteso il nome della Lega poiché, curiosamente, da ‘indipendentista’ vuole diventare, sulla scia di Marine LePen (bell’esempio di federalista), ‘sovranista’. Come faccia Verderami a pensare che c’è qualcosa di liberale in questi due tronconi e nella loro eventuale coalizione di governo è un mistero. Meno misterioso è il fatto che il «Corriere della Sera» ha condotto una campagna intensissima a favore del ‘sì’ per il referendum-plebiscito renziano su riforme costituzionali che con il liberalismo non avevano proprio nulla a che vedere. [Leggi di più…]
La fuoruscita costituzionale dall’Italicum
Le motivazioni della sentenza della Corte Costituzionale n.35/2017 non soltanto confermano l’esistenza di incostituzionalità per alcune clausole dell’Italicum, ma offrono alcune importanti indicazioni su cui riflettere anche per valutare retrospettivamente e prospettivamente i tanti, troppi strafalcioni dei sostenitori dell’Italicum.
Primo, più volte la Corte scrive a chiarissime lettere che l’Italicum è una legge elettorale proporzionale. «La logica prevalente della legge [è] fondata su una formula di riparto proporzionale dei seggi». Questo dovrebbe bastare a zittire tutti coloro che straparlano di un ritorno alla proporzionale. Di tipi di leggi elettorali proporzionali ne esistono moltissimi, e la flessibilità/adattabilità è un pregio dei sistemi proporzionali. L’Italicum, come il suo babbo, il Porcellum, è un sistema proporzionale stravolto dalle modalità di assegnazione di un premio di maggioranza eccessivo. Non stiamo tornando «alla proporzionale». La Corte invita a scrivere una legge elettorale decente che, qualora sia proporzionale, deve assomigliare il meno possibile all’Italicum.
Secondo, l’Italicum non era neppure lontano parente della legge usata per eleggere sindaci e consigli comunali. La pessima espressione «sindaco d’Italia» non è solo fuorviante. È anche, semplicemente, sbagliata. Al proposito, la Corte merita una citazione verbatim. Sottolineata la «logica distinta» che ispira la legge per «l’elezione di una carica monocratica, quale è il sindaco», la Corte sottolinea che «ciò che più conta è che quel sistema si colloca all’interno di un assetto istituzionale caratterizzato dall’elezione diretta del titolare del potere esecutivo locale, quindi ben diverso dalla forma di governo parlamentare prevista dalla Costituzione a livello nazionale». Punto, definitivo.
Terzo, l’obbligo, se le cose rimangono come sono riguardo alle candidature multiple, non gradite, ma neppure ritenute incostituzionali dalla Corte, l’individuazione attraverso il sorteggio della circoscrizione della quale la pluricandidata e plurieletta (ricorro al fastidioso politically correct, poi le donne faranno i loro conti) diventerà rappresentante è intesa a togliere dalle mani dei capipartito/capicorrente che già hanno sparato i loro colpi paracadutando i loro beniamini, un’arma: quella di scegliere chi lasciare fuori fra coloro che sono i primi non eletti dietro la pluriparacadutata. Peraltro, la Corte non impone il sorteggio se il legislatore saprà offrire una soluzione migliore, ad esempio, l’elezione nella circoscrizione in cui la pluricandidata è risultata più votata.
Infine – ma questo discorso non sarà di facile comprensione per tutti coloro che si sono riempiti la bocca con la parola governabilità per loro assicurabile soltanto da un cospicuo premio di maggioranza – la Corte sottolinea un notevole numero di volte la necessità di dare rappresentanza adeguata all’elettorato. In un certo, forte, senso, rappresentatività batte governabilità, con il punteggio, diciamo, 5 a 1, poiché «ad un’assemblea elettiva nel contesto di un regime parlamentare» spetta, anzitutto e soprattutto, garantire buona rappresentanza. Con questi criteri nessuno dei corifei politici e accademici del boschianrenzismo supera l’esame. Con questi criteri merita valutare da adesso in poi tutte le proposte. Fiat lux.
Tre sistemi elettorali a confronto: Mattarellum, Porcellum e Italicum
Restaurare non è mai una scelta apprezzabile soprattutto perché, quando sono coinvolti uomini e donne, e non statue e quadri, è impossibile riavvolgere il tempo. Cambiano gli uomini, cambiano le donne, entrambi imparano, il tempo passa e crea nuove situazioni. Dunque, non si “restaurerà” il Mattarellum che abbiamo conosciuto e che, utilizzato in tre elezioni, produsse esiti di volta in volta migliori. Riflettendo su vent’anni di elezioni e tre sistemi elettorali, è possibile fare meglio.
Qui cercherò in maniera sintetica di esaminare gli effetti del Mattarellum e del Porcellum paragonandoli a quelli proposti e promessi dall’Italicum che mai fu. Un sistema elettorale, tutti i sistemi elettorali debbono essere valutati, anzitutto, con riferimento al potere che danno agli elettori, in secondo luogo, con riferimento al Parlamento che eleggono, in terzo luogo, con riferimento alla formazione del governo. Il potere degli elettori varia a seconda che possano votare solo per un partito oppure anche per il candidato che li rappresenterà oppure anche per la coalizione preferita. Nelle democrazie parlamentari, gli elettori non votano mai per il governo. Il loro voto dà vita ad un parlamento nel quale si formerà il governo che da quel parlamento potrà essere “rimpastato” oppure sostituito nella sua interezza.
Tenendo a mente questi cinque elementi (scelta dei candidati, voto ai singoli partiti, elezione dei parlamentari, indicazione delle coalizioni, formazione del governo), è possibile costruire un indice che misuri il potere elettorale complessivo dei cittadini. A ciascun elemento sarà assegnato un punteggio che va da 0 (nullo) a 3 (massimo), con punteggi intermedi che indicano un potere ridotto (1) o medio (2). L’indice di “potere degli elettori” andrà, dunque, da 0 (nessun potere agli elettori) a 15 (massimo potere elettorale).
Partiamo dal Mattarellum. Questo sistema consentiva di votare per i candidati nei collegi uninominali e, alla Camera, anche per liste di partito. Dal momento che gli imperativi elettorali spingevano alla formazione di coalizioni pre-elettorali a sostegno dei candidati nei collegi uninominali, gli elettori avevano anche la possibilità di scegliere fra coalizioni che si candidavano al governo. La tabella che segue sintetizza questi elementi.
Potere degli elettori su: | Punteggio Mattarellum | Punteggio Porcellum | Punteggio Italicum |
Candidati | 2 | 0 | 1 |
Partiti | 2 | 1 | 2 |
Parlamento | 1 | 1 | 2 |
Coalizioni | 3 | 2 | 0 |
Governo | 2 | 1 | 3 |
Nel caso dei candidati il punteggio non può essere il più elevato poiché grande fu il numero dei candidati paracadutati, quindi, 2. Per quel che riguarda le coalizioni sempre si trasformarono in governi. Quindi, 3. Le coalizioni “mascheravano”, almeno in parte, i partiti, quindi, punteggio 2 per il voto di partito. Nel caso del Parlamento, tenendo conto dell’alto numero dei trasformisti, il punteggio deve essere non più di 1. Soltanto inizialmente i governi furono espressione delle coalizioni. In nessuna delle tre elezioni 1994, 1996, 2001, il governo che aveva iniziato la legislatura riuscì a concluderla. La composizione dei governi cambiò, rispettivamente: molto nel 1996, abbastanza nel 2001, poco nel 2006 (punteggio 2).
Molto diversi sono stati gli effetti del Porcellum, un sistema elettorale proporzionale con premio di maggioranza alla coalizione che ottiene il più alto numero di voti e liste bloccate.
Con il Porcellum, gli elettori erano confinati a tracciare una crocetta sul simbolo della coalizione e nulla più in questo modo acconsentendo all’elezione dei candidati nell’ordine deciso dai capipartito (punteggio 0). I simboli dei partiti coalizzati erano visibili (punteggio 1), ma nell’opzione di voto la coalizione ha sicuramente avuto il sopravvento (punteggio 2). Anche i parlamenti eletti con il Porcellum (2006, 2008, 2013) sono stati caratterizzati dalla comparsa di un alto numero di trasformisti (punteggio 1). I governi ai tempi del Porcellum sono stati molti. Pochi derivanti dall’esito elettorale: Prodi 2006-2008 e Berlusconi 2008-2011. Altri nacquero in corso d’opera: Monti 2011-2012; Renzi 2014-2016; Gentiloni 2016-2017. Il governo Letta 2013-2014 è un mix, soltanto in parte conseguenza dell’esito elettorale (punteggio 1).
Per quel che riguarda l’Italicum, la legge che, secondo Matteo Renzi (e i suoi corifei), “tutta l’Europa ci avrebbe invidiato e metà Europa avrebbe imitato”, stiamo parlando, tecnicamente, di un aborto: una legge nata morta. Tuttavia, mentre attendiamo la probabilmente inutile e sicuramente tardiva sentenza della Corte Costituzionale, possiamo valutare quelli che sarebbero stati i suoi potenziali effetti.
All’incirca il 60 per cento dei parlamentari diventerebbe tale per designazione dei capipartito/capicorrente (punteggio 1). I rimanenti avrebbero dovuto conquistarsi i voti di preferenza (disprezzatisssimi da molti corifei). Gli elettori sono costretti a votare i partiti (punteggio 2). Il parlamento potrebbe comunque esibire un alto numero di trasformisti (punteggio 2). Nessuna coalizione avrebbe interesse a formarsi (punteggio 0). Al ballottaggio gli elettori attribuirebbero un premio in seggi che consentirebbe/obbligherebbe il partito vittorioso a governare (punteggio 3). In buona misura questo sistema avrebbe, da un lato, fortemente distorto la rappresentanza politica e enormemente ridimensionato il ruolo del Parlamento, dall’altro, avrebbe prodotto la fuoruscita dal modello di governo parlamentare delineato nella Costituzione italiana.
Il punteggio complessivo comparato, per i tre sistemi elettorali, è indicato nella figura 1.
Alla luce di questa graduatoria comparata, c’è molto da lavorare per soprattutto per quei riformatori elettorali che mirino, ancora una volta, presuntuosamente, a inventare qualcosa che tutta l’Europa ci invidierebbe, invece di imitare il meglio che in Europa funziona da almeno cinquanta e più anni.
Cittadini con lo scettro
Non ce la raccontiamo. Nei referendum vince chi ottiene più voti. Tutto il resto sono favole, pardon, narrazioni, infondate, anzi, sfondate. Poi, è giusto tornare alla definizione della situazione e del quesito. Già, gli elettori, spesso, valutano anche il quesito. Sembra, quindi, davvero bizzarro sostenere che moltissimi elettori del NO non abbiano avuto come motivazione prevalente, non necessariamente esclusiva, quella di bocciare le riforme brutte e un tantino pericolose, perché concentranti, più o meno surrettiziamente, potere nelle mani dell’esecutivo. Quando poi il capo di quell’esecutivo personalizzava al massimo la sua prolungatissima (alla faccia della riduzione dei costi della politica) campagna referendaria portandola più volte nell’arena del plebiscitarismo, ovvio che moltissimi elettori abbiano deciso di votare contro il plebiscitante per mandarlo a casa.
Referendum – Sì?, NO: suonare i suonatori
Con le elezioni il popolo sceglie. Con l’iniziativa legislativa il popolo propone. Con la revoca il popolo scalza. Con il referendum il popolo decide. Scegliere i rappresentanti, mai, nelle democrazie parlamentari, i governanti; redigere un disegno di legge da sottoporre al Parlamento; mandare a casa e sostituire i rappresentanti sono tutti importanti poteri nelle mani del popolo. Però, il referendum è il più immediato, più incisivo, ma anche più controverso di questi poteri. Infatti, sono sempre stati molti coloro che sostengono che i referendum mal si conciliano con le democrazie parlamentari, nelle quali il potere di fare e disfare le leggi deve rimanere nelle mani e nelle menti dei rappresentanti eletti, poiché la maggioranza degli elettori, la maggioranza del tempo e per la maggioranza delle scelte, anche referendarie, non è abbastanza interessata, non è abbastanza informata, non è abbastanza partecipante.
La scomparsa delle culture politiche in Italia: note non troppo a margine
Ho riflettuto a lungo sugli interventi apparsi nel fascicolo di Paradoxa dedicato alla scomparsa delle culture politiche (n. 3/2015), anche dopo la sua uscita, e sulla discussione con Nicola Antonetti, Rosy Bindi, Mario Morcellini e Antonio Polito in occasione della tavola rotonda di presentazione. Ne sono venute queste note a margine.
Come già perspicacemente rilevato da Laura Paoletti nella sua introduzione al fascicolo, è vero che, in modi e con intensità diverse, tutti i collaboratori “pur nell’unanime riconoscimento di una profonda crisi” si sono opposti a “controfirmare la scomparsa effettiva e definitiva del patrimonio culturale di cui sono rispettivamente chiamati a farsi interpreti”. In un modo o nell’altro, tutti hanno cercato di negare che la cultura loro affidata è scomparsa. [Leggi di più…]
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