Non ce la raccontiamo. Nei referendum vince chi ottiene più voti. Tutto il resto sono favole, pardon, narrazioni, infondate, anzi, sfondate. Poi, è giusto tornare alla definizione della situazione e del quesito. Già, gli elettori, spesso, valutano anche il quesito. Sembra, quindi, davvero bizzarro sostenere che moltissimi elettori del NO non abbiano avuto come motivazione prevalente, non necessariamente esclusiva, quella di bocciare le riforme brutte e un tantino pericolose, perché concentranti, più o meno surrettiziamente, potere nelle mani dell’esecutivo. Quando poi il capo di quell’esecutivo personalizzava al massimo la sua prolungatissima (alla faccia della riduzione dei costi della politica) campagna referendaria portandola più volte nell’arena del plebiscitarismo, ovvio che moltissimi elettori abbiano deciso di votare contro il plebiscitante per mandarlo a casa.
Referendum – Sì?, NO: suonare i suonatori
Con le elezioni il popolo sceglie. Con l’iniziativa legislativa il popolo propone. Con la revoca il popolo scalza. Con il referendum il popolo decide. Scegliere i rappresentanti, mai, nelle democrazie parlamentari, i governanti; redigere un disegno di legge da sottoporre al Parlamento; mandare a casa e sostituire i rappresentanti sono tutti importanti poteri nelle mani del popolo. Però, il referendum è il più immediato, più incisivo, ma anche più controverso di questi poteri. Infatti, sono sempre stati molti coloro che sostengono che i referendum mal si conciliano con le democrazie parlamentari, nelle quali il potere di fare e disfare le leggi deve rimanere nelle mani e nelle menti dei rappresentanti eletti, poiché la maggioranza degli elettori, la maggioranza del tempo e per la maggioranza delle scelte, anche referendarie, non è abbastanza interessata, non è abbastanza informata, non è abbastanza partecipante.
La scomparsa delle culture politiche in Italia: note non troppo a margine
Ho riflettuto a lungo sugli interventi apparsi nel fascicolo di Paradoxa dedicato alla scomparsa delle culture politiche (n. 3/2015), anche dopo la sua uscita, e sulla discussione con Nicola Antonetti, Rosy Bindi, Mario Morcellini e Antonio Polito in occasione della tavola rotonda di presentazione. Ne sono venute queste note a margine.
Come già perspicacemente rilevato da Laura Paoletti nella sua introduzione al fascicolo, è vero che, in modi e con intensità diverse, tutti i collaboratori “pur nell’unanime riconoscimento di una profonda crisi” si sono opposti a “controfirmare la scomparsa effettiva e definitiva del patrimonio culturale di cui sono rispettivamente chiamati a farsi interpreti”. In un modo o nell’altro, tutti hanno cercato di negare che la cultura loro affidata è scomparsa. [Leggi di più…]
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