Nel romanzo distopico The Men in the High Castle, Philip K. Dick immagina un esito ben diverso della II Guerra Mondiale. L’Asse nazi-fascista ha vinto, l’America è ridotta a paese vassallo della Germania, il mediterraneo è prosciugato, e l’Italia ha ora esteso il suo dominio su quelle ‘terre’. Proviamo a immaginare un altro racconto distopico. La II Guerra Mondiale l’hanno effettivamente vinta gli Alleati, ma già nei primi mesi del ’46 la tensione tra lo schieramento occidentale e l’Unione Sovietica cresce.
Chi ha paura del Lupo cattivo? Cambiare l’art. 138 della Costituzione Italiana per riformare
Dopo l’impasse che nel 2013 portò al sesto scrutinio alla rielezione di Napolitano, analogamente nel 2022 i nostri Grandi Elettori richiamano e rieleggono Mattarella all’ottavo scrutinio. Ce n’è abbastanza per chiedersi: ma perché il Presidente non ce lo eleggiamo noi ‘popolino’ direttamente? È una suggestione che a poche ore dalla riconferma di Mattarella rilanciava anche Sabino Cassese, salvo poi ammettere che per una svolta presidenziale o semi-presidenziale non avremmo la cultura politica.
Un Presidente non si giudica dall’elezione
Secondo Francesco De Gregori, un calciatore non si giudica da un calcio di rigore. Un Presidente si giudica dalla sua elezione? Il punto è capire se l’elezione diretta ‘popolare’ del Presidente, di questo stiamo parlando, incida sulle relazioni istituzionali. Oggi, all’indomani delle votazioni per il settennato 2022-2029, ha un senso discuterne, visto che qualcuno sbrigativamente l’ha suggerita per l’Italia, in ragione della trasformazione del suo ruolo nella prassi politica degli ultimi decenni. (Di questo ci siamo già occupati in Paradoxaforum, De facto o de jure, siamo una repubblica semipresidenziale? 25.11.2021).
De facto o de jure, siamo una repubblica semipresidenziale?
Prima che parta l’ennesimo tentativo di modificare la nostra forma di governo per le vie previste (ex art. 138 della Costituzione italiana) e probabilmente convinto che tanto ne uscirebbe fuori il solito topolino (niente), Giancarlo Giorgetti ha recentemente proposto una scorciatoia, scommettendo a breve su «un semipresidenzialismo de facto in cui il presidente allarga le sue funzioni approfittando di una politica debole». L’obiettivo immediato sarebbe quello di rinnovare (o prorogare?) il mandato di Mattarella, oppure (e successivamente?) d’insediare Draghi al Quirinale.
The boots on the ground, ovvero esportare la democrazia
Politologi, storici, sociologi, antropologi hanno spesso sostenuto la tesi che la democrazia non sia un regime facilmente impiantabile e replicabile a piacimento. Sabino Cassese però continua a ritenerla sbagliata e la definisce una «versione estremistica della democrazia» (I diritti universali, «Corriere della Sera», 22 agosto 2021). Ci sono due aspetti nel ragionamento di Cassese che meritano attenzione, uno è esplicito e poggia per la verità su basi deboli: si tratta dell’argomento che, siccome ci sarebbe il riconoscimento del diritto alla democrazia, allora si deve fare il possibile per diffonderla nel mondo, soccorrere i popoli che l’invocano. L’altro argomento è implicito, più sottile, e se opportunamente sviluppato non privo – secondo me – di qualche giustificazione etica e filosofica, forse anche di qualche fondamento positivo. [Leggi di più…]
La rete organizzativa e l’insostenibile leggerezza di un leader. Giuseppe Conte e il MoVimento
Difficilmente avremmo scommesso su Giuseppe Conte quando il 29 giugno scorso Beppe Grillo, all’apice della crisi interna del MoVimento sulla questione del nuovo Statuto, scrisse nel suo blog: «Conte, mi dispiace, non potrà risolvere i problemi perché non ha né visione politica, né capacità manageriali. Non ha esperienza di organizzazioni, né capacità di innovazione.» Più chiaro di così: nessuna visione politica, nessuna spinta innovativa, nessuna capacità di gestione organizzativa. Insomma, un non-leader. [Leggi di più…]
Perché non ha ‘senso’ la vendetta
Con il suo solito acuto gusto per la provocazione, Dino Cofrancesco giorni fa ha argomentato un Elogio della vendetta (24 Giugno 2021), che non si può non leggere se non con piacere e ammirazione, ma che qualche domanda la suscita.
Cofrancesco cita a chiusura un comune amico e maestro, Mario Stoppino, che avrebbe sostenuto il recupero del «valore morale (ed estetico) della vendetta». Intuisco – forse sbagliando – che questa affermazione di Stoppino si collegava alla sua concezione di una terza etica (accanto alle due weberiane della responsabilità e della coscienza), l’etica del destino. Non è facilissimo dire qui cosa intendesse Stoppino con il concetto di «etica del destino», visto che il nostro disgraziatamente non ha lasciato molti scritti, tuttavia non credo di sbagliare riportando che tale etica rinvia ad una concezione assiale della società, nella quale gli individui occupano posizioni prestabilite e immutabili nell’ordine sociale. Così, qualsiasi evento loro capiti, questo stesso è interpretato come ‘giusto’ e ‘dovuto’ in base a quell’ordine sociale immutabile.
Quindi, eventualmente, anche essere ammazzati per vendetta da qualcuno che per ordine e gerarchia ha il diritto/dovere di farlo se abbiamo trasgredito. Si tratterebbe di una concezione estranea all’achieving societies della contemporaneità e più tipica, appunto, delle società assiali e anche di quelle medievali pre-moderne. [Leggi di più…]