«Paradoxaforum» mi consentirà una personale piccola finestra della memoria. Nei primi anni duemila, ragionando nelle pause del voto d’aula a Montecitorio con Saverio Vertone, intellettuale disorganico e perciò libero e in quel tempo anche deputato, formammo insieme un sodalizio contro le parole ipnotiche. [Per saperne di più…]
La politica «espace d’un matin»
Per capire la politica e i suoi mutamenti repentini occorre forse dismettere le chiavi consegnateci dalla scienza politica e dal diritto pubblico e accettare l’idea che lo stesso nome che continuiamo a dare a quelle cose che ne raccontano gesta e contenuti, corrisponde ormai ad altro, diverso da quello che intendevamo. [Per saperne di più…]
Il ‘centro’ e le ragazze di Pupi Avati
La ‘discesa in campo’ di Di Maio ha riacceso i fari sull’isola che non c’è: quel centro di gravità permanente che la Dc e Battiato – con diverse intenzioni – hanno iscritto nella cultura politica e popolare italiana. L’evento ha scatenato l’esegesi sui globuli scudocrociati che sgorgherebbero gagliardi dalle arterie di giovani aedi del ‘centro moderato’ e di vecchi navigatori paleodemocristiani impegnati ad ammaestrare con ricette prêt-à-porter gli acerbi discepoli. A scorrere l’anagrafe del ‘centrismo’ italiano in questo momento si contano, al netto di Berlusconi che almeno i suoi voti ce li ha (meno di una volta ma ci sono veramente), non meno di otto organismi, tra l’unicellulare e il ‘qualcosa di più’. Con una caratteristica che li accomuna: sono fatti di ceto politico, talvolta abbastanza consumato per ragioni anagrafiche e comunque proiettato verso la perpetuazione del sé.
Politica e danari: per il sindaco si raddoppia ma nessuno lo dice
La nebulosa del populismo ha depositato le sue sostanze tossiche dappertutto nel nostro ordinamento, presumendo di assecondare, non di guidare verso obiettivi compatibili con l’evoluzione del sistema – come si converrebbe per una democrazia matura – gli istinti e gli umori del popolo. Un capolavoro di questo genere di prodotti fu l’abolizione di ogni risorsa pubblica destinata ai partiti, scelta che ha sancito la definitiva consegna della politica nelle mani di finanziatori privati, più o meno occulti, affermando, peraltro, la tendenza cesaristica in atto da qualche decennio nel sistema dei partiti. Del resto nel nostro paese il rapporto ‘danari-politica’ ha rappresentato da sempre un argomento spinoso, circonfuso di sospetto, dove l’inversione dell’onere della prova rappresenta la regola. Si pensi, ad esempio, a quella scia velenosa lasciata nell’immaginario degli italiani dal trattamento – economico e non – riservato parlamentare, il ‘politico’ per antonomasia. [Per saperne di più…]
Dante e l’Italiano sprecato
Abbiamo appena alle spalle l’anno delle celebrazioni dedicate a Dante con un bilancio che pende dalla parte del ‘dovere della memoria’ piuttosto che dell’occasione afferrata. Una dose omeopatica di liturgie, il solito attor-comico declamatore, l’adempimento della presenza televisiva nelle reti pubbliche e para-pubbliche come dovere contrattuale e in più qualche fortunata uscita editoriale di autori che strizzavano l’occhio a liceali in pensione, hanno esaurito l’offerta del settecentesimo dalla morte del genio che inventò la lingua italiana.
Conformisti, tattici e qualche eroe. Una storia di 90 anni fa
Siamo in estate e la calura, esagerata e malsana perché qualcosa si sarà rotto definitivamente nelle meteorologie, spinge la mente verso il disimpegno e il piede verso l’ammollo. Persino i galatei delle ricorrenze sono rimossi e la dimenticanza appare un utile rimedio ai nostri giorni difficili (e non solo per il clima). Vorremmo, però, raccontare di un episodio accaduto novant’anni fa, nell’estate del 1931, che forse dice cose utili per capire il senso di alcune parole, come conformismo, astuzia ed eroismo, nello spirito pubblico degli italiani. Di 90 anni fa, certamente. Ma forse anche di oggi: i geni non si disperdono.
Dunque la Gazzetta Ufficiale del 28 agosto del 1931 pubblicò il regio decreto n. 1227 che all’articolo 18 obbligava i docenti universitari a giurare devozione «alla Patria e al Regime Fascista». Di fronte all’ineluttabile esito del licenziamento nel caso di rifiuto, giurarono quasi tutti. Si chiamarono fuori meno di venti su 1225 professori ordinari. In realtà il numero esatto fluttua tra 12 e 18 perché alcuni tra coloro che si rifiutarono non lo fecero con una espressione formale, ma adottando modalità indirette, come il pre-pensionamento (Vittorio Emanuele Orlando), o la permanenza o l’esilio in università straniere dove erano presenti per ragioni accademiche (Borgese, Sraffa).
Virtuosismi fiscali
L’antropologia culturale non ha ancora conosciuto, in qualsivoglia latitudine del globo terracqueo, gruppi di umani che si caratterizzino per versare all’erario i loro oboli fiscali con entusiasmo e larghi sorrisi sulla faccia. Non è così nei paesi invasi dal sole né in quelli circondati da boschi e tundre, nei quadranti infreddoliti del mondo e in quelli temperati dove la primavera è perpetua e tutti si sentono più buoni. Come l’Italia (…). Stesso sentiment dappertutto, dunque, nel Mediterraneo e nella mitologica (fiscalmente parlando) Scandinavia.
Il perché si spiega con un po’ di psicologia da strada: ogni essere umano, messo davanti alla scelta se gli faccia più dispiacere vedersi sottrarre cento euro che ha già in tasca piuttosto che rinunciare ai soldoni che arriveranno ma che fisicamente ancora non ci sono, non avrà dubbi nel dichiarare la sua massima sofferenza per il distacco da ciò che è già suo. Per questo le tasse sono istintualmente viste male, come un prelievo a tradimento di ciò che è nostro e ci viene sottratto con la forza dall’autorità statale, che le esige come pagamento delle sue prestazioni.