Da un paio d’anni a questa parte mi è capitato più volte di scrivere sul politicamente corretto e su quella che considero una sua diretta conseguenza: la cosiddetta cancel culture. Non era ovviamente necessario che il politicamente corretto degenerasse nella cultura della cancellazione, ma di sicuro, almeno secondo me, ne conteneva alcune premesse. [Leggi di più…]
La cancel culture come volontà senza verità
Quando si parla di cancel culture si fa riferimento a un fenomeno diffuso un po’ in tutto il mondo occidentale ma che negli Stati Uniti ha assunto dimensioni parossistiche. È di questi giorni, ad esempio, la notizia della rimozione della statua di Thomas Jefferson dalla New York City Hall, per via del suo ‘schiavismo’. Egli avrebbe posseduto infatti oltre seicento schiavi e in quanto tale non sarebbe più meritevole di alcun onore. Il fatto che sia stato il terzo presidente degli Stati Uniti e uno dei padri fondatori della nazione americana diventa insomma irrilevante.
Mi fido del vaccino. Ma…
Ma che cosa sta accadendo con i vaccini? Fino a ieri sembrava che il vaccino AstraZeneca non potesse essere somministrato agli over 55, ma l’Aifa, l’Agenzia italiana del farmaco, ha deciso che sia somministrabile a tutte le persone sane fino a 79 anni. L’EMA, l’Agenzia europea, pur non escludendo che il suddetto vaccino potesse essere efficace anche per persone più anziane, aveva tuttavia dichiarato che «non ci sono ancora abbastanza risultati relativi a persone con più di 55 anni per poter dire quale sia l’efficacia del vaccino (AstraZeneca) su questo gruppo di persone». In alcuni paesi, come la Svizzera, pare che tale vaccino non sia stato nemmeno autorizzato.
Che cosa deve fare dunque un quasi Settantenne come il sottoscritto, che non sa nulla di vaccini, si fida dei vaccini, ma quando ne sente parlare ha l’impressione che le opportunità politiche abbiano il sopravvento su quelle sanitarie?
Il Coronavirus tra natura e cultura
Questa pandemia scatenerà un pandemonio. Il mondo intero e l’Italia non saranno più come prima. Quando la natura mostra il suo volto matrigno, velenoso (il virus, appunto) produce danni non soltanto alla salute, ma a tutto quel grandioso artificio che chiamiamo mondo umano, costruito proprio, non dimentichiamolo, affinché potessimo difenderci dalla natura (gli animali feroci, la fame, la sete, il freddo), quindi sopravvivere, e nel contempo poter vivere bene o almeno in modo decente.
A proposito di umana responsabilità
Alla fine degli anni Settanta, Hans Jonas propose, in uno dei suoi libri più importanti, Das Prinzip Verantwortung (Il principio responsabilità), una vera e propria «euristica della paura» come grimaldello per fronteggiare il potere sempre più minaccioso della tecnica sulla natura e sugli uomini. La sua tesi di fondo era che, dovendo scegliere tra le prospettive nefaste di un determinato sviluppo e quelle favorevoli, fosse molto più ragionevole affidarci alle nostre paure che ai nostri desideri. Una tesi indubbiamente molto seria, che però con gli anni mi sembra che abbia subito una pericolosa radicalizzazione.
E oggi si tende ad assumere i ‘pericoli possibili’ connessi alle nostre scelte come se fossero ‘pericoli reali’, facendo poi leva sulla paura per impedire qualsiasi scelta della quale non si possa garantire l’assoluta sicurezza. Chi ha paura pretende di aver ragione per il semplice fatto di aver paura.
A proposito di fine vita: un appello alla ragionevolezza
È terribile dover discutere di questioni ultime, di questioni, letteralmente, di vita e di morte, con argomenti che inevitabilmente feriranno coloro che non li condividono. D’altra parte, però, se non vogliamo ridurre il nostro pluralismo a un semplice gioco di società, è evidente che non si può impedire a nessuno di difendere le proprie convinzioni più profonde. Il problema è piuttosto quello di evitare che la discussione diventi una sorta di ‘guerra civile condotta con altri mezzi’. Ma come?
La predittività nell’era della tecnica e dei big data
Nell’ambito delle scienze sociali si discute pressoché da sempre di predittività. Non pochi classici della sociologia sono stati attratti dall’idea di scoprire le leggi che regolano le società, al fine di poterne prevedere gli eventi, più o meno come le leggi fisiche consentono di prevedere gli eventi fisici. Oggi, secondo alcuni, questa esigenza sembra poter essere soddisfatta dai cosiddetti big data e dai potentissimi algoritmi che sono in grado di utilizzarli ‘creativamente’. Ma, detto in tutta franchezza, preferisco i classici che richiamano l’attenzione sulla specificità, diciamo pure l’unicità, dei fenomeni sociali, al fine di comprenderli, non di prevederli. D’altra parte, nel mondo sociale, le stesse spiegazioni sono sempre ex post, non sono previsioni. [Leggi di più…]