La questione delle culture politiche italiane e della loro quasi scomparsa nel corso degli ultimi 25 anni è tema appassionante e concreto, a cui Paradoxa ha dedicato il n. 4 del 2015 (ottobre-dicembre) con contributi di prim’ordine. Essi hanno ripercorso i momenti storicamente di svolta e le principali battaglie ideali in cui hanno preso carne tali culture (socialista, cattolico-democratica, comunista, di destra, azionista, liberale, federalista, gramsciazionista). Con tesi ad effetto ma non infondata G. Pasquino sostiene che nella notte in cui crollò il muro di Berlino, crollarono parimenti le molteplici culture politiche italiane, che già all’epoca mostravano variamente segni di fragilità. Il giudizio è forte, e gli stessi interlocutori hanno perlopiù mantenuto la speranza che talune tra quelle culture politiche non siano definitivamente tramontate.
Varia
Cittadini con lo scettro
Non ce la raccontiamo. Nei referendum vince chi ottiene più voti. Tutto il resto sono favole, pardon, narrazioni, infondate, anzi, sfondate. Poi, è giusto tornare alla definizione della situazione e del quesito. Già, gli elettori, spesso, valutano anche il quesito. Sembra, quindi, davvero bizzarro sostenere che moltissimi elettori del NO non abbiano avuto come motivazione prevalente, non necessariamente esclusiva, quella di bocciare le riforme brutte e un tantino pericolose, perché concentranti, più o meno surrettiziamente, potere nelle mani dell’esecutivo. Quando poi il capo di quell’esecutivo personalizzava al massimo la sua prolungatissima (alla faccia della riduzione dei costi della politica) campagna referendaria portandola più volte nell’arena del plebiscitarismo, ovvio che moltissimi elettori abbiano deciso di votare contro il plebiscitante per mandarlo a casa.
Clinton e il voto delle donne
Come ha scritto Amanda Terkel per l’Huffington Post, «For Many Women, It Wasn’t Just About Defeating Donald Trump. It Was About Electing Hillary Clinton» (vedi link). Ci sono americane che hanno votato Hillary Clinton con piena convinzione che meritasse di essere la prima donna Presidente. Probabilmente sono proprio loro le elettrici rimaste maggiormente deluse dal risultato. Oggi devono prendere atto che non sarà Clinton a tagliare il traguardo e questo dispiace perché, nel tempo, la candidata è stata per queste donne un simbolo della battaglia per le pari opportunità. Su questi temi Clinton si è sempre esposta con forza e coerenza, a differenza di altre leader che sono arrivate al potere senza mai troppo preoccuparsene, come notoriamente fece Margaret Thatcher.
Pronti si vota: fedeli ed infedeli da Nord a Sud
“Accozzaglie” o meno, gli schieramenti sono ormai chiari. Il Partito democratico che non riesce a cambiare la propria natura, perennemente diviso su tutto. Forza Italia più o meno compatta e convinta all’opposizione. Il Movimento 5 stelle schierato per un “no” ormai d’ordinanza e gli altri partiti sparpagliati qua e là (Lega, sinistra e destra per il “no”, Ncd diviso).
Contro la caverna sondocratica. Perché è giusto abbandonare i sondaggi
Avrei dovuto ascoltare il mio piccolo “campione” di studenti americani venuti in Italia a studiare il Bel Paese e a carpire i segreti delle sua grande, ma decadente, bellezza. Tutti rigorosamente bianchi, prevalentemente dell’America costiera (west and east), di famiglia medio-ricca, espressione di quel “mitico” ceto medio che cerca di resistere allo scivolamento progressivo verso un declassamento imposto dall’esterno, da eventi e fenomeni sui quali non ha alcun controllo e influenza. Tra di loro, solo una timida minoranza era disposta a votare per la dynasty clintoniana, espressione plastica di un establishment immutabile e, ai loro giovani occhi, indifendibile.
La scomparsa delle culture politiche in Italia: note non troppo a margine
Ho riflettuto a lungo sugli interventi apparsi nel fascicolo di Paradoxa dedicato alla scomparsa delle culture politiche (n. 3/2015), anche dopo la sua uscita, e sulla discussione con Nicola Antonetti, Rosy Bindi, Mario Morcellini e Antonio Polito in occasione della tavola rotonda di presentazione. Ne sono venute queste note a margine.
Come già perspicacemente rilevato da Laura Paoletti nella sua introduzione al fascicolo, è vero che, in modi e con intensità diverse, tutti i collaboratori “pur nell’unanime riconoscimento di una profonda crisi” si sono opposti a “controfirmare la scomparsa effettiva e definitiva del patrimonio culturale di cui sono rispettivamente chiamati a farsi interpreti”. In un modo o nell’altro, tutti hanno cercato di negare che la cultura loro affidata è scomparsa. [Leggi di più…]
Parole scomode: il “male”, per esempio
1. Ci sono parole interdette nel lessico oggi dominante e perciò furoreggiano gli eufemismi, che offrono vie d’uscita da situazioni imbarazzanti: quindi assolutamente no alla parola “guerra”, ma sì a tutto un ventaglio di espressioni che possono andare da “missioni umanitarie” a “contrasto del terrorismo” fino alla più diluita di tutte, ma dal significato evidente, cioè “assumersi responsabilità chiare” anche se questo comporta spese “e ciò riguarda anche l’opzione militare”. [Leggi di più…]