Nel quadrilatero comunicativo ai cui vertici si collocano gli attori politici, gli scienziati ed i medici, i media mainstream ed i social media, l’irruzione di Omicron e la velocità della sua propagazione rappresentano una rottura ed un punto di svolta rispetto alle fasi precedenti della copertura mediatica della pandemia. Quella della variante sudafricana è la terza fase; le prime due sono state caratterizzate, rispettivamente, dalla centralità della figura mitizzata del medico-eroe, e successivamente dall’irruzione del paradigma scientifico – il vaccino come arma risolutiva – e dei suoi rappresentanti (in primo luogo, virologi ed epidemiologi), con un ruolo di sostanziale subalternità degli attori politici.
Nel corso della prima fase, la novità assoluta della pandemia e delle misure drastiche di contenimento, a partire dalle severe limitazioni agli spazi pubblici dell’interazione sociale – il lockdown – hanno richiesto l’ancoraggio della copertura mediale a figure mitiche di riferimento, capaci di rassicurare e ricucire la trama della vita quotidiana. Un’immagine-chiave: i volti di medici ed infermieri distrutti da turni infiniti nelle corsie. Una frase-chiave: «Andrà tutto bene». Nella seconda fase, la narrazione mediale ha svoltato bruscamente verso un paradigma ottimista basato sulla capacità dei vaccini, e dell’avviata campagna vaccinale di massa, di sconfiggere la pandemia e garantire il ritorno alla normalità. Ottimismo e fiducia hanno caratterizzato questa svolta, determinando un sostanziale allineamento di tutti e quattro gli attori del quadrilatero comunicativo su registri caratterizzati dalla centralità di ricercatori, virologi ed epidemiologi ed una riduzione a livelli minimi delle professioni sanitarie, con una inedita forte centralità dei decisori politici.
Omicron ha costretto questi attori ad un radicale ri-posizionamento delle strategie informative, ora conflittualmente allineate su assetti e narrazioni affatto diversificate. In primo luogo, l’aumento esponenziale della pressione sulle strutture sanitarie, lungi dal ridare centralità al mito del medico-eroe che aveva caratterizzato la prima fase, ha reso evidente la perdurante impreparazione di un sistema di cura centrato sull’ospedale polispecialistico ma incapace di gestire la territorializzazione della cura soprattutto per i pazienti COVID asintomatici o paucisintomatici. Allo stesso tempo, i media, sia mainstream che social, registrano ora l’improponibilità dell’altro mito, quello della potenza salvifica dei vaccini, che aveva caratterizzato la seconda fase. Balbettano le figure di riferimento di quella fase: e il registro linguistico, per non ridursi al conteggio quotidiano di contagi, ingressi nelle terapie intensive, indice Rt e numero di decessi si sposta significativamente sul terreno impervio delle previsioni, affannosamente richieste da ogni intervistatore all’esperto di turno. Il quadrilatero comunicativo è oggi arena di un conflitto il cui livello non era stato raggiunto in nessuna delle due fasi precedenti, che avevano individuato baricentri condivisi attorno ai quali governare, ognuno nella propria prospettiva, i flussi informativi: ognuno degli attori si trincera a difesa, e su tutto prevale l’incertezza di un futuro tornato minacciosamente impredicibile.
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