Come apprende uno studente ideale?
Per 5 giorni la settimana, ogni mattina, seduto in un banco, segue 4-6 ore di lezioni, chiedendo spiegazioni se non capisce. Se viene interrogato, mostra quello che ricorda e che ha capito studiando a casa. Se sono interrogati altri, sta attento imparando qualcosa. Negli intervalli socializza con i compagni di classe. Per almeno cinque giorni la settimana, fa i compiti per il giorno successivo, studiando sui libri di testo per 2-4 ore. A somme fatte, studia dalle 6 alle 10 ore al giorno.
Studenti reali che assomiglino al tipo ideale sono rarissimi. Del resto, noi tutti considereremmo con terrore l’idea di seguire ogni mattina per 5 giorni consecutivi 4-6 conferenze di una quarantina di minuti, su argomenti più diversi, per poi, il pomeriggio, studiare testi imposti dai conferenzieri dei giorni precedenti, su cui verremo interrogati.
In un solo colpo, COVID-19 ha spazzato via questa idea rassicurante di apprendimento e la relativa organizzazione della scuola. Siamo costretti a restare a casa. Che cosa farebbe il tipo ideale di studente in mancanza di una tecnologia elettronica? Sarebbe perso, senza le spiegazioni dei docenti, senza nessuno che gli dica quali parti del libro di testo studiare e senza sapere se, quando e dove verrà interrogato. Per fortuna il tipo ideale di studente del XXI secolo ha, non richiesto dalla scuola, un dispositivo collegato a Internet.
Tuttavia, diversi studenti reali non hanno nessun dispositivo e molti di quelli che ce l’hanno lo usano malamente. Ma COVID-19 impone che ora, per fare scuola, studenti e docenti abbiano accesso alle tecnologie digitali e sappiano usarle. Così COVID-19 fa emergere il problema del digital divide, che appare di fronte alla scuola come l’iceberg del Titanic.
È un problema, questo, che non si può risolvere inondando le scuole con milioni di tablet. Tablet? E perché non pc o smartphone? Come si sceglie il dispositivo se non è chiaro a che cosa debba servire e se non è chiaro che per usarli efficacemente bisogna essere digital literate? Si dirà per fare a distanza quello che si faceva in presenza. E con questa convinzione si suggerirà alle scuole di adottare piattaforme e dispositivi che possano supportare questa idea.
Si sa che la scuola attuale è modellata dalla cultura del libro e di questa conserva tutti i caratteri. Il libro è monomediale, chiuso, sequenziale, unidirezionale (non interattivo), materiale. Analogamente l’apprendimento scolastico è basato principalmente su un solo medium, il libro.
È un apprendimento chiuso nell’ambito di ben definite discipline all’interno delle quali sono scelti determinati argomenti. È sequenziale e spesso l’ordine è determinato dallo sviluppo storico della disciplina. È unidirezionale, si suppone che la conoscenza possa fluire dal libro e dal docente verso lo studente, secondo uno schema trasmissivo del sapere. È basato su supporti della conoscenza che devono essere materialmente presenti durante l’apprendimento.
COVID-19 costringe la scuola a usare una tecnologia diversa dal libro, ma anche diversa dall’aula. È una tecnologia che ingloba il libro, ma va molto oltre. Gli oggetti che tratta offrono molte più possibilità. Comunicano con tutti i canali che conosciamo, audio, video, testi, immagini statiche, in una parola, sono multimediali. Sono oggetti aperti, nel senso che da uno di essi si può accedere agli altri, ciò li rende ipermediali, condivisibili, componibili.
Sono interattivi, reagiscono alle azioni di chi li usa. Sono sociali, perché permettono a chiunque li usi di entrare in contatto con chiunque altro li stia usando. Sono immateriali, collocati su memorie (cloud), che non sappiamo dove siano, ma che possiamo usare quando e dove vogliamo. Sono facilmente producibili, riproducibili, modificabili, condivisibili e volendo anche scaricabili su supporti materiali.
COVID-19 porta questi oggetti dentro la scuola, dove solo alcuni docenti pionieri li usavano, e ce li porta attraverso il cavallo di Troia della presenza, con l’illusione che non modifichino nulla. Non c’è bisogno di leggere McLuhan per capire che questa tecnologia scardina le fondamenta di una scuola costruita su libro e lezione. Vediamo un limitatissimo esempio.
Gli studenti di una classe sono chiamati ad assistere ad una lezione ad una certa ora su una data piattaforma. Ma che vincolo è questo? Perché non quando mi è più comodo? Perché allora il professore è disponibile. Ma questa è una tecnologia che consente anche la comunicazione asincrona, il professore metta su youtube la lezione e io me la studio quando voglio.
Ecco la lezione sulla spedizione dei mille. Ma che noia il professore che parla per un’ora! Toh, c’è Barbero che parla della stessa cosa. Guarda, ha citato il museo dei mille, fammi vedere. C’è anche un film sull’argomento, vediamolo. Guarda, ho trovato un discendente di un garibaldino, ora vedo se è su Facebook. Sì c’è. Lo contatto. Ci vediamo su Skype.
Anche il docente è disorientato, fare lezione davanti a una telecamera non è come stare in aula. Mi devo preparare, non posso essere impreciso, il video può rimanere registrato. Ma come si prepara una lezione audiovisiva? Quanto tempo può durare? E poi come chiedo agli studenti di fruirla, e come mi sincronizzo con i colleghi in modo da non sovraccaricare gli studenti? E non parliamo dell’interrogazione!
Ecco un microscopico assaggio di come il digitale scardina le vecchie abitudini. Ma non si tratta solo di abitudini. È il vecchio contenitore della conoscenza che sta crollando, portandosi dietro la scuola che su esso si basava. Dopo COVID-19 sarà ricostruita sulle stesse basi?
Certo è possibile, ma sarà come ricostruire una casa crollata per un terremoto, esattamente com’era prima, non antisismica. Senza contare che, per come era costruita, quella casa già prima scricchiolava e stava per venire giù anche senza terremoto.
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