Su Repubblica del 31 luglio 2024, Roberto Esposito presentava l’apertura del XXV Congresso Mondiale di Filosofia, svoltosi a Roma nella Città Universitaria della Sapienza, dall’1 all’8 agosto 2024, citando la chiusura del Manifesto marxiano, «Filosofi di tutto il mondo unitevi!» per sottolineare l’universalismo al quale la filosofia non può non tendere, che però non deve significare omologazione.
Con quasi 6000 partecipanti registrati, il congresso di Roma non ha superato i quasi 7000 di Pechino nel 2018, ma ha raddoppiato i 3000 riscontrati ad Atene nel 2013, l’ultima volta in Europa. È stato bello vedere le aule sempre popolate, in un programma che ogni giorno iniziava alle 9:00 e finiva alle 19:00 – con una coda, per tre sere, dalle 21:00 alle 22:30 al Palatino –, un programma estremamente fitto, consultabile su un’applicazione dedicata e pubblicato in un documento online di 552 pagine. Quali le linee più innovative tracciate al congresso? Certamente, come ha notato Marina Calloni sul Caffè del 10 agosto 2024, il discorso sull’interculturalità, l’approccio interdisciplinare, le questioni di genere.
Le lingue ufficiali erano quelle delle Nazioni Unite, con l’aggiunta del tedesco e dell’italiano, ma senza l’arabo. Da notare come, per la prima volta nella storia del congresso mondiale, delle applicazioni di intelligenza artificiale abbiano prodotto, assieme alla trascrizione su schermo della lingua originale, eccellenti traduzioni simultanee da una lingua in entrata e sei in uscita: cinese, francese, inglese, italiano, russo, spagnolo, tedesco.
Come ricordato da Esposito, erano presenti filosofi provenienti da 109 paesi, dai cinque continenti. La globalizzazione chiede alla filosofia una narrazione innovativa di inclusione e riflessione. Da qui la necessità di un’etica globale: cosa dobbiamo scegliere e cosa guida le nostre scelte? Sono possibili risultati etici? L’etica globale considera la globalizzazione nelle varie forme di attività sociale compresa la vita economica, politica e culturale. A loro volta, le questioni legate alla globalizzazione richiedono nuovi approcci per affrontare i conflitti che sorgono quando diverse norme e pratiche culturali diverse si scontrano, come chiarito da Kwasi Wiredu, nel suo saggio On the Idea of a Global Ethics, pubblicato in Journal of Global Ethics 1 (2006).
Nella molto attesa plenaria del 3 agosto 2024, Living in a Sustainable World, Jeffrey Sachs ha elencato sei requisiti per definire un approccio etico globale allo sviluppo sostenibile: (1) studio delle grandi tradizioni, Confucio, Buddha, Aristotele, Maometto; (2) sviluppo della cittadinanza; (3) benevolenza e reciprocità; (4) dialogo, incontro, risoluzione pacifica dei problemi; (5) responsabilità della ricchezza e del potere, il mondo è per tutti, non per pochi; (6) felicità e benessere.
Pensiamo ai 17 obiettivi indicati dalle Nazioni Unite nell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile, in primo luogo SDG1 Nessuna povertà, SDG10 Riduzione delle disuguaglianze, SDG5 Parità di genere, SDG16 Pace e SDG17 Cooperazione. Obiettivi per i quali è stato approntato un esercizio di valutazione di medio termine – ce ne ha parlato Enrico Giovannini nel Rapporto ASVIS 2023, presente online all’indirizzo https://asvis.it/rapporto-2023/ –, che ha messo in evidenza come non tutti siano raggiungibili nel quindicennio inizialmente programmato, cosa che richiede il loro aggiornamento in quella che sarà l’Agenda 2050. Il nuovo orizzonte del 2050 non significa un allentamento degli sforzi. Piuttosto, significa una migliore pianificazione a lungo termine. Del resto, sono passati solo nove anni da quando l’allora segretario generale dell’ONU, Ban Ki Moon, dichiarò che non abbiamo un piano B perché non esiste un pianeta B; e ogni nuova catastrofe ce lo ricorda giorno dopo giorno.
Nell’undicesima tesi su Feuerbach, Marx rimprovera ai filosofi di aver solo interpretato diversamente il mondo in vari modi, senza provare a trasformarlo. La domanda è, al XXV Congresso Mondiale abbiamo visto solo interpretazioni del mondo o anche progetti per la sua trasformazione? Domanda legittima, che nel caso, ad esempio, della sessione tematica 61 Philosophy of Food, purtroppo, trova una risposta nel primo corno del dilemma: ricchezza di interpretazioni, per dirla con Marx, ma ancora scarsa consapevolezza dell’inaccettabilità di mettere a repentaglio la sicurezza alimentare (SDG2 Sconfiggere la fame) o l’uso politico del cibo fatto sempre più spesso nelle due guerre in corso (SDG16 Pace).
Eppure, oggi, i filosofi possono occuparsi molto concretamente delle condizioni di possibilità di una governance etica che rispetti l’armonia nella diversità e dunque elaborare strategie per rimediare alle inefficienze che ancora vediamo insistere sui sistemi multilaterali.
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