La pesantissima sconfitta della candidatura di Roma a Expo 2030, intitolata L’era del cambiamento: insieme per un futuro chiaro, suscita non solo inutili rimpianti, ma utili riflessioni. Dei 165 Stati votanti, Riad ha ottenuto 119 voti (tecnicamente un’enormità poiché molti osservatori ipotizzavano un ballottaggio), la coreana Busan 29, Roma 17. Ovviamente non si deve affatto scartare l’ipotesi che il progetto saudita fosse/sia il migliore. Al tempo stesso, è indispensabile riflettere su quanto il denaro, promesso sotto forma di regali e favori dei più vari tipi, talvolta al limite della corruzione (l’Arabia Saudita si trova a metà della classifica fra i paesi più e quelli meno corrotti), di investimenti, di prestiti, riesca a essere molto influente, soprattutto quando è molto.
Il fatto che l’Arabia Saudita è un regime autoritario con forti componenti teocratiche, il cui maggiore esponente, Mohammed bin Salman è accusato di avere fatto uccidere Jamal Kashoggi, giornalista oppositore del regime, che nel 2022 vi siano state eseguite 147 condanne a morte, che la condizione delle donne sia miserevole, non ha scoraggiato il voto a suo favore da parte di non pochi sistemi politici democratici, ad esempio, pubblicamente la Francia. Almeno altri nove Stati-membri dell’Unione Europea, che considera la pena di morte ostativa all’adesione al suo consesso, non hanno comunque scelto l’Italia. Sappiamo che l’Albania, il cui Primo Ministro Edi Rama qualche settimana fa è stato visto recentemente a braccetto con Giorgia Meloni, non ha sostenuto l’Italia, come pure tutti gli Stati dei Balcani, la Moldovia, l’Ucraina.
Ricorriamo pure al detto latino pecunia non olet e aggiungiamo eventuali gravi errori di presentazione e presunzione della candidatura italiana. Certo, l’Expo non costituisce il bottino di un duello fra democrazie e autoritarismi. Tuttavia, è evidente che moltissimi Stati ritengono sostanzialmente irrilevante ai fini della loro scelta la natura politica di un regime. Non si pongono neppure il quesito se in questo caso un successo serva/irà anche a rafforzare quell’autoritarismo, addirittura quasi a legittimarlo.
Sicuramente, nel mondo arabo il prestigio dell’Arabia Saudita è cresciuto, la sua leadership è più ammirata e nessuno potrà permettersi di chiederle un allentamento della sua presa oppressiva e repressiva sulla società, a partire dall’applicazione della sharia. Tuttavia, qualsia riflessione sull’autoritarismo non può dimenticare che talvolta fanno capolino elementi inaspettati che influiscono sul regime. Il turismo di massa, che si attiva in occasione di eventi come l’Expo (22 milioni e 200 mila nel caso di Milano 2015) ha caratteristiche tali da iniettare germi di cambiamento.
Milioni di turisti uomini e donne, che si muovono liberamente, vestiti non certo come il regime impone alle ‘sue’ donne, che si abbracciano e baciano anche per strada, che portano e leggono libri proibiti molti dei quali in occasione della loro partenza regaleranno ai/alle sauditi/e che hanno conosciuto e, seppur brevemente, frequentato, potrebbero essere germi di un cambiamento al quale immagino molti giovani e donne saudite aspirano da tempo. Come magra consolazione almeno rimaniamo sul filo dell’illusione e alimentiamola.
raffaella gherardi dice
Mi piacerebbe tanto poter accarezzare anche solo a livello di “consolazioni e illusioni” per il presente l’antica idea che, sulla direttrice Montesquieu-Kant, l’ésprit de commerce possa tradursi in maggior comprensione fra i popoli sulla linea anche dei diritti. Per ora mi sembra che realisticamente si possa argomentare per l’esatto contrario, stando al fascino che i regimi autoritari esercitano, a vari livelli, su Stati e popoli anche in occidente. Non dimentichiamo, emblematicamente per casa nostra, che c’è un ex Presidente del Consiglio nonché Senatore della Repubblica che solo qualche tempo fa ha indicato l’Arabia Saudita come culla di un nuovo Rinascimento.
Michele Magno dice
Evcellente. Acuto e insieme equilibrato