I mezzi di informazione tendono a presentare e affrontare il conflitto in Ucraina non solo con categorie riduttive, ma addirittura alimentando una serie di contrapposizioni artificiose che certamente non giovano alla comprensione e al giudizio. Per riportare il dibattito su un binario più costruttivo ci si può iniziare a porre una serie di domande che non vengono poste o che vengono affrontate con categorie apodittiche. In un precedente intervento Emidio Diodato ha affermato che la storia degli equilibri internazionali è da riscrivere ed è forse proprio da qui che bisogna partire per andare oltre l’attuale dibattito pubblico.
Una prima domanda che ci si deve porre è se – e in che termini – l’attuale guerra mette in crisi l’ordine internazionale che si è definito dopo il crollo dell’Unione Sovietica. La risposta è sicuramente affermativa se guardiamo agli anni Novanta come al momento in cui rinascono le speranze per la creazione di un vero ordine liberale internazionale, il cui pieno sviluppo era stato precluso nei quaranta anni precedenti dall’affermarsi dell’ordine bipolare. Sempre ragionando all’interno di questa prospettiva si tende a presentare l’ultimo trentennio come un progressivo sgretolamento di questo momento illusorio. A favore di questa lettura possono essere citati i comportamenti dei principali attori globali – dagli Stati Uniti durante la presidenza Trump alla Cina fino, ovviamente, alla Russia – di fatto uniti dal rigetto più o meno esplicito dell’ordine internazionale inteso in senso normativo e basato sui trattati e sulle organizzazioni internazionali. In questo senso il ritorno della guerra in Europa rappresenta, per certi versi, la prova ultima del ritorno della politica di potenza e del cambio di paradigma delle relazioni internazionali.
A questa lettura, che certamente presenta il pregio della linearità e dell’immediatezza, se ne può però contrapporre un’altra che invece riafferma l’attualità del paradigma liberale internazionale e rilancia un’immagine del sistema internazionale come basato su norme e regole. Il mancato conseguimento immediato dell’obiettivo da parte della Russia va spiegato certamente in termini militari e strategici, ma vi è anche una componente diplomatica che spiega l’isolamento in cui la Russia è finita (almeno fino ad ora). Il fatto che la Russia sia parte di questa guerra rende certamente inoperativo il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite e blocca una serie di potenziali risposte, ma questo non ha impedito, ad esempio, all’Assemblea Generale di condannare l’aggressione con una maggioranza molto più significativa di quella che, in precedenza, aveva condannato l’intervento russo in Crimea.
Quella russa è certamente una sfida al sistema di relazioni internazionali basato su norme e regole e lo sarà sempre più in futuro soprattutto se, come da più parti è stato correttamente sottolineato, quello utilizzato in Ucraina diventerà un paradigma costante della politica estera russa. Ma forse potremmo vedere proprio in questa obiezione persistente e ideologica che la Russia – e altri paesi con minore costanza e pervicacia – rappresenti una minaccia per l’ordine liberale internazionale, un elemento a favore della solidità di quest’ultimo, che regge nonostante l’attacco di una grande potenza.
Un secondo punto degno di attenzione è quello relativo alla ‘maggiore’ importanza che la guerra in Ucraina avrebbe per il semplice fatto di essere una guerra ‘europea’. È questo un punto particolarmente sensibile: lo si vede in particolare guardando ai social, dove è frequente imbattersi nel discorso, logicamente difficile da seguire, per cui l’attenzione per il conflitto ucraino sarebbe eccessiva in considerazione del fatto che i governi e le opinioni pubbliche dei paesi maggiori avrebbero trascurato altri teatri, da quello yemenita a quello palestinese passando per la Siria. Ora, ci si può certamente infognare nel tentativo di gerarchizzare i conflitti per importanza. Si può però cercare di fornire alcuni argomenti utili per spiegare le ragioni di questo presunto primato della guerra in Ucraina su altri conflitti. Il primo è relativo, per l’appunto, alla presunzione del primato: l’idea che si tratti di un conflitto più importante di altri è legata al fatto che si guarda agli atteggiamenti delle opinioni pubbliche europee. Con questo non si vuole dire che le opinioni pubbliche di paesi extraeuropei siano disinteressate al fenomeno, ma una loro analisi mostra sensibilità e percezioni diverse derivanti dalla lontananza e dal fatto che la guerra riguarda un contesto politico e territoriale diverso da quello in cui si vive. Un secondo argomento è relativo al fatto che, a differenza che in altri conflitti, la guerra in Ucraina pone in contatto ravvicinato Stati Uniti e Russia e questo apre delle questioni di deterrenza ed equilibrio che in altri conflitti, anche più sanguinosi e prolungati, non si verificano. L’ultimo aspetto riguarda la ‘memoria’ dell’attuale sistema internazionale: dalla seconda guerra mondiale in poi questo è infatti abituato a pensare che l’Europa rappresenti il luogo di test degli equilibri globali. Forse non a caso si è soliti narrare la guerra fredda come un confronto che inizia in Europa, segnatamente in Germania, e si conclude con il crollo del muro di Berlino. Anche queste percezioni, che siano giuste o sbagliate attuali o superate, hanno il loro valore e una riflessione razionale non può non tenerne conto.
La guerra in Ucraina sollecita in vario modo alcuni assunti di fondo della teoria e della storia delle relazioni internazionali del XX secolo e, forse proprio per questo motivo, rappresenta un oggetto di studio da maneggiare con cura.
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