Non è sconcertante che un filosofo, Leonardo Caffo, così attento nei suoi libri al destino degli animali maltrattati, si riveli così violento nei confronti di una donna, la sua compagna, tanto da essere condannato a 4 anni di carcere per maltrattamenti e lesioni gravi (tra cui un dito fratturato)? Basti ricordare che in uno dei suoi testi più noti, Il maiale non fa la rivoluzione. Il nuovo manifesto per un antispecismo debole, scrive che gli animali, nati con l’unica sfortuna di non essere umani, vivono vite terribili, brevi e meschine solo perché è nei nostri poteri abusare delle loro esistenze per il nostro tornaconto. Vengono allevati a fini alimentari, usati per la ricerca scientifica, imprigionati tra le sbarre di uno zoo, ridicolizzati nei circhi, ma noi ignoriamo tutto questo, vivendo felici e inconsapevoli, e non ponendoci alcun problema etico nei loro confronti. Per comprendere la vera condizione di un animale – è la tesi fondamentale del saggio – ci si dovrebbe chiedere cosa penserebbe un maiale se avesse la possibilità di indicare quella rivoluzione che è la liberazione animale. In tal modo si delineano i nuovi orizzonti morali liberi da ogni violenza nel quadro di quello che l’A. definisce un ‘antispecismo debole’, cioè di un deciso rifiuto di ogni discriminazione in base alla specie (tale è appunto lo ‘specismo’) in grado di operare una sintesi tra le diverse prospettive animaliste.
Tanto più sconcertante appare pertanto il contrasto tra questa fine sensibilità etica che intende andare oltre le frontiere della specie, combattendo contro ogni forma di violenza, e la violenza inflitta ad un membro della specie umana, sia pure di sesso diverso: una donna. In realtà, razzismo, sessismo, specismo – lo afferma il massimo teorico della liberazione animale, il filosofo Peter Singer – sono tutti espressione di una discriminazione arbitraria: la razza, il sesso, la specie. E in effetti, dovremmo ricordare che la lotta per i diritti degli animali in quanto esseri senzienti, è stata storicamente combattuta in difesa di diritti di tutti gli oppressi. Basti pensare che dobbiamo al fondatore della Humanitarian Society, Henry Salt, amico di Gandhi, la prima Dichiarazione dei diritti degli animali (1891) in nome del progresso sociale e di una repubblica del futuro che riconoscesse diritti a tutti gli oppressi, agli schiavi, alle donne, ai bambini sfruttati nelle fabbriche. Si potrebbe aggiungere che la forte saldatura nella lotta contro ogni tipo di oppressione spiega il legame, più volte rilevato, tra femminismo e animalismo, un legame che è al centro dell’opera di Carol Adams, Carne da macello. La politica sessuale della carne (1990). Lo sfruttamento degli animali è, per la Adams, un’altra manifestazione della brutale cultura patriarcale e il trattamento degli animali come oggetti è associato alla stessa mercificazione dei corpi delle donne. Alle luce di tali considerazioni, si potrebbe rilevare che, se l’antispecismo di Caffo è debole, il suo antifemminismo sia invece forte e che il suo animalismo rischi di essere patriarcale. Per questo, al di là della solidarietà nei confronti di una donna che ha avuto il coraggio di denunciare una violenza che le veniva inflitta a fini ‘educativi’ – essendo definita tra gli epiteti più gentili «una vacca da latte» presumibilmente in via di ulteriore domesticazione – occorrerebbe riflettere sulle ambiguità e le aporie di un sedicente animalismo che ignora la sua storia, rinnega la sua stessa vocazione etica e contraddice i suoi fondamenti teorici, a partire da quella nonviolenza gandhiana che si traduce in rispetto per ogni essere vivente.
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