L’esito negativo dei referendum sulla giustizia era in parte scontato, anche se forse non erano scontate le dimensioni dell’astensionismo: solo poco più del 20% degli elettori si è recato alle urne, un nuovo minimo per questo genere di consultazioni. Va aggiunto che anche fra i votanti i favorevoli a mantenere l’assetto esistente non sono stati pochi: ad esempio, il 47% si è detto contrario all’abolizione della legge Severino, nonostante le proteste che la legge ha sollevato da tempo fra gli amministratori locali.
Il messaggio della consultazione referendaria è quindi netto: alla maggioranza dei cittadini la riforma della giustizia interessa poco o nulla e comunque si tratta di una materia in cui la magistratura – che con i suoi rappresentanti associativi i referendum li ha nettamente avversati – continua ad avere una sorta di diritto di veto.
In realtà, sui limiti del referendum come strumento per riformare il nostro sistema giudiziario si è detto ampiamente, soprattutto negli ultimi tempi, ad esempio criticando i quesiti perché considerati troppo complessi, poco chiari, non in grado di incidere veramente sui reali problemi della nostra giustizia ma forieri di conseguenze negative. Del resto, si tratta di uno strumento ormai usurato: il calo costante della partecipazione al voto fa sì che anche una minoranza di non più del 15-20% dell’elettorato, astenendosi, sia in grado di vanificarne l’esito. Per questo, chi mira a questo risultato deve evitare di enfatizzare il voto. In questo caso, dopo qualche errore iniziale – ad esempio, la proclamazione dello sciopero contro la riforma presentata dalla ministra Cartabia e, almeno implicitamente, anche contro i referendum – la magistratura associata ha seguito una strategia di ‘basso profilo’ che ha avuto pieno successo.
Ad ogni modo, il no e l’astensione sono stati sostenuti da buona parte dei media – ad esempio, da un quotidiano influente come «Repubblica» – confermando quella che è un’alleanza di fatto fra media e magistratura. Anche nella classe politica non sono mancate le adesioni alle posizioni della magistratura: non solo i 5 stelle – un partito notoriamente giustizialista – ma anche il PD, pur con qualche valorosa eccezione, si sono schierati per lo status quo.
Quali le prospettive per il futuro? A questo punto, le possibilità di introdurre innovazioni nel nostro sistema giudiziario, già scarse, sono probabilmente destinate a ridursi ulteriormente. La riforma Cartabia – pur modesta nelle sue ambizioni – per essere approvata dovrà tener conto del riconfermato potere della magistratura così come della persistente debolezza della politica. Perciò, l’esito più probabile sarà un provvedimento limitato, destinato a non incidere su problemi di fondo come le verifiche di professionalità dei nostri magistrati, oggi assolutamente inefficaci.
Naturalmente, senza reali riforme i problemi del nostro sistema giudiziario non spariranno certo. Come la durata dei procedimenti che vede un processo civile di primo grado in Italia richiedere in media più di 500 giorni, di fronte ai 400 della Francia e ai 300 della Spagna, paesi con sistemi giudiziari – e risorse – molto simili al nostro. O come le continue oscillazioni della giurisprudenza – che in campo penale può avere implicazioni devastanti per chi vi è coinvolto – che si aggiungono ad un’ipertrofica produzione normativa nel rendere il nostro sistema giuridico poco prevedibile. O ancora come le numerose indagini che spesso partono con il vento in poppa per poi naufragare, non prima però di aver rovinato la reputazione di tanti cittadini, grazie anche al coro colpevolista dei media.
In altre parole, è probabilmente vero che anche un esito positivo dei referendum poco avrebbe cambiato lo stato delle cose. L’esito negativo – e la conseguente probabile paralisi dei tentativi di riforma – farà comunque sì che la crisi della giustizia sia destinata a rimanere con noi ancora per un bel po’.
Sergio Belardinelli dice
Condivido in pieno quanto scritto da Carlo Guarnieri. L’alleanza di fatto tra media e magistratura durerà ancora a lungo e a perderci saranno la politica e, soprattutto, i cittadini. L’esito referendario dimostra però che, almeno in parte, ce la cerchiamo.
Giuseppe IERACI dice
Condivido quanto scritto da Guarnieri sulla giustizia e i sui “paladini” che la rendono difficilmente riformabile. Sul declino, evidentissimo, dei referendum il discorso credo sia più ampio.