Viviamo tempi di guerra. C’è la guerra in Ucraina: una guerra vicina, situata all’interno dell’Europa. È una guerra di stampo antico, finalizzata a distruggere fisicamente il nemico con l’uso sempre più massiccio di armi. È una guerra crudele, che non risparmia civili, innocenti, bambini.
Non è vero, però, che prima di questa guerra stessimo in pace. Questo non lo dico soltanto tenendo conto di tutte le altre guerre che erano scoppiate negli ultimi decenni e che, in molti casi, continuano a far vittime in varie parti del mondo. Pensiamo per esempio alla Siria, allo Yemen, ai tanti conflitti tuttora in corso nell’Africa subsahariana: guerre magari non vicinissime a noi, ma altrettanto crudeli e di stampo antico quanto ai loro effetti distruttivi. Lo dico, anche e soprattutto, considerando un’altra guerra, in corso negli ultimi decenni e tuttora aspramente combattuta. È una guerra subdola, perché non è immediatamente visibile nella realtà concreta. È una guerra che non fa uso di armi convenzionali e che non produce spargimenti di sangue, almeno in maniera diretta. Ma non per questo è meno vicina a noi e meno crudele, visto che c’interessa tutti. Sto parlando del conflitto che riguarda la conquista e il controllo degli ambienti digitali.
Non mi riferisco alle guerre combattute in un videogioco. Parlo proprio dell’instaurazione di quei nuovi ambienti di vita che sono creati o aperti dagli sviluppi tecnologici (in particolare dalle ICT, le tecnologie dell’informazione e della comunicazione), e delle conseguenze che tutto ciò ha comportato e comporta. Certo: chi ha dato inizialmente la possibilità di vivere questi ambienti online, grazie alla rete, non lo ha fatto per promuoverne un uso commerciale. Penso ad esempio a Tim Berners-Lee. Ben presto, però, una tale opportunità è stata colta e ha prodotto una corsa allo sfruttamento del web, concepito come un vero e proprio ‘nuovo mondo’, che è stata simile a quella che avvenne nel XVI secolo dopo la cosiddetta ‘scoperta’ dell’America: allo scopo, anche in questo caso, di accaparrarsi il controllo delle rotte e dei territori che rendevano possibile lo sfruttamento delle nuove risorse. Tutto ciò ha prodotto una serie di conflitti che hanno portato, in ultimo, ad attribuire il monopolio di tale sfruttamento commerciale ad alcune grandi companies.
Adesso è partita un’altra conquista. Si tratta della conquista di un altro spazio inventato. Perché questa, infatti, è l’intelligenza dell’operazione, conforme alla logica del marketing. Anzitutto si riconosce un bisogno, poi s’inventa una dimensione all’interno della quale esso può venir soddisfatto. Successivamente si pongono le condizioni per tale soddisfacimento, ottenuto attraverso una contropartita commerciale o commercializzabile, e infine si cerca di alimentare e consolidare, attraverso campagne di pubblicità mirate, quel desiderio che ci spinge ad accedere, sempre e di nuovo, nell’ambiente online: quello inventato, appunto, e di cui si ha il monopolio. Mark Zuckerberg, dopo aver compiuto con successo quest’operazione inventando e gestendo un Social Network, Facebook, ora – dato che la produttività di questa rete sociale sembra esaurita, anche a seguito di alcuni scandali che ne hanno mostrato l’utilizzo improprio – compie un’operazione analoga promuovendo e cercando di monopolizzare un altro ambiente: quello che chiama «metaverso».
Come viene detto sul sito di Meta, il «metaverso» è «un set di spazi virtuali nei quali tu puoi creare ed esplorare insieme ad altre persone che non stanno nel tuo stesso spazio fisico. Sarai in grado di frequentare amici, lavorare, giocare, imparare acquistare, creare e molto di più. Non si tratta necessariamente di passare più tempo online – Si tratta di far sì che il tempo che tu passi online abbia più senso». Si tratta più precisamente di rendere disponibile l’accesso ad ambienti virtuali, mediante per esempio dispositivi come visori e sensori, allo scopo di vivere non tanto in una realtà aumentata, quanto in una realtà altra. Questa non è propriamente una novità: nel sito viene detto chiaramente. È un modo di sviluppare e rendere condiviso un determinato uso della rete. Qui in effetti sta il punto. Nuovo non è l’uso del web, ma – come nel caso di Facebook – è il modo che ci viene offerto di collocarci in esso.
Nell’Arte della guerra di Sun Tzu, il famoso trattato cinese, è scritto che la strategia migliore per vincere le battaglie è quella che raggiunge l’obiettivo senza dover combattere. Un modo per ottenere questo risultato è far sì che la battaglia si combatta sul proprio terreno. Il modo più adeguato per far sì che un terreno sia il proprio è quello di crearselo. È ciò che sta facendo Zuckerberg con il metaverso. Ma ci sono altri competitor che si sono annunciati e che stanno seguendo strategie diverse nel contesto degli ambienti virtuali. Il principale di essi è Microsoft.
Non sappiamo se il tentativo di Zuckerberg avrà successo. Altri progetti in passato – analoghi, ma meno tecnologicamente sviluppati, come Second Life – dopo un po’ sono stati abbandonati. Zuckerberg, d’altronde, è alla ricerca di partner commerciali e istituzionali: sia per eliminare concorrenti, sia per accrescere gli investimenti, sia per dare una patina di carattere sociale alla sua impresa. Ecco perché, in occasione di un viaggio di piacere in Italia, è venuto a parlare anche con Draghi e con Cingolani.
In ogni caso, anche se non porta evidenti spargimenti di sangue, anche se si cercherà di vincerla prima di combatterla, questa è pur sempre di una guerra: una guerra di conquista per acquisire il monopolio di ciò che prima non c’era e che ci viene proposto a fronte di una contropartita commerciale o commercializzabile. È una guerra che si combatte sia offline che online, e che in ogni caso, come tutte le guerre, avrà ripercussioni forti nella nostra vita quotidiana. E a poco serviranno per evitare danni ulteriori – come nel caso delle reiterate richieste di cessate il fuoco per la guerra in Ucraina – proclami e dichiarazioni di principio. Chissà se Draghi era consapevole di tutto questo quando ha ricevuto Zuckerberg.
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