Se dovessimo scegliere una parola per evocare il senso più profondo dell’epoca moderna, molto probabilmente sceglieremmo libertà. Da Lutero ai giorni nostri, passando attraverso le grandi rivoluzioni politiche e sociali del XVIII-XIX secolo, è questa la parola che, almeno in Occidente, ha trasformato radicalmente la nostra vita. Dopo che religione, politica, economia, filosofia, arte vennero pervase dalla libertà, niente poté più restare come prima. Ma oggi, sebbene la parola continui a risuonare ovunque, allargando addirittura lo spazio della sua sovranità (si pensi ai cosiddetti nuovi diritti), si incomincia ad avvertire anche qualcosa che, diciamo così, non torna. Da un lato siamo liberi di fare scelte che fino a ieri sarebbero risultate semplicemente impensabili, come mettere al mondo un figlio ricorrendo a sofisticate tecniche di inseminazione artificiale o come andare e tornare in giornata da Roma a New York, dall’altro, però, sembra che la nostra libertà non sia più capace di incidere veramente sulle condizioni ‘materiali’ e politiche della nostra vita.
Almeno in Europa, al di là della retorica sul liberismo economico che ne avrebbe decretato la crisi, siamo di fronte a un inedito liberismo sul piano della morale individuale e a un crescente dirigismo per quanto riguarda la politica, l’economia e l’educazione. Nella sfera privata tutto sembra permesso. Ma nella sfera pubblica no. Nella sfera pubblica si va affermando sempre di più una sorta di dispotismo morbido che tende a liquidare come nemici della libertà tutti coloro che non si piegano ai dettami dell’ideologia dominante. Sintomatico in proposito quanto sta accadendo ormai da anni nel campo dell’educazione. L’antica paideia, gli ideali umanistici che stavano alla base dei nostri sistemi educativi sono stati ormai sostituiti da protocolli, esperimenti, metodologie, competenze. L’importante è «imparare ad apprendere», non imparare contenuti. Come se fosse possibile imparare ad apprendere senza apprendere veramente qualcosa. Quanto alla formazione della persona, essa non è più la conseguenza indiretta di un lavoro, quello dell’insegnante, fatto con amore e passione e capace per questo di introdurre alla vita parlando soprattutto di grammatica, tabelline o geografia; è diventata piuttosto un obiettivo diretto, ideologico, da perseguire in virtù di precetti che interessano i nostri più disparati stili di vita sia in tema di salute che di sentimenti che di convivenza civile. Il tutto all’insegna di una falsa «neutralità etica», di uno scientismo di varia natura, ma comunque sempre ostile alla tradizione umanistica dell’Occidente, e di una stucchevole correttezza politica che tende semplicemente a rilanciare una pericolosa tentazione ‘statalista’ sull’educazione. Si pensi a quanto accade in paesi come la Francia, dove, dopo l’approvazione della famosa «Charte de la laicité», predisposta dal ministro Peillon, dal 2015 è stata introdotta un’ora di insegnamento di «morale laica», oppure agli effetti che incomincia ad avere nei sistemi educativi europei i cosiddetti «Standard per l’educazione sessuale in Europa», ispirati per lo più all’ideologia del gender, nonché all’idea che «Le principali fonti di informazione e di educazione sono: la scuola, i libri, i pieghevoli, i volantini e i CD-ROM educativi, i siti internet educativi, i programmi educativi e le campagne promozionali per radio e televisione, ed infine i servizi (sanitari)» (pp. 10-11 del suddetto documento). Come si può vedere, tutti sono potenziali educatori, meno che la famiglia. E la cosa è tanto più grave, proprio perché non si tratta di aritmetica, geometria o storia, ma di educazione sessuale.
Non si tratta ovviamente ritornare al passato, a una scuola per pochi, tutta rigore e severità, né si tratta di misconoscere l’importanza di un’educazione che susciti empatia verso l’altro, il diverso, insegnando a guardare le cose da molti punti di vista. Direi piuttosto che questo lo esige l’idea che abbiamo dell’uomo, della sua dignità e della sua libertà. Certe radicalizzazioni ideologiche sembrano andare però in un’altra direzione. Per usare una distinzione di Nietzsche, esse fanno pensare che stiamo davvero passando da una fase di «nichilismo passivo», diciamo pure di indifferenza, a una fase di «nichilismo attivo», ossia di imposizione di nuovi valori e modelli di comportamento. Lo spaesamento e la rinuncia a educare di ieri potrebbe lasciare il posto a una strategia aggressiva, dove in nome della laicità e della volontà di preservare la mente dei giovani da ogni superstizione, si preclude proprio la loro libertà. Un’ideologia sempre più arrogante ritiene che sia lo stato a stabilire in che cosa consista l’educazione e la scuola dovrebbe diventarne una sorta di braccio armato, dove, da un lato, si impara la laicità come ideologia e, dall’altro, si dice che ciò che conta è solo l’acquisizione di competenze, finalizzate magari all’ingresso nel mondo del lavoro. Ma la formazione, la famosa Bildung, è molto di più di questo. E di sicuro è assai difficile immaginare una società nella quale i singoli individui si riapproprino in qualche modo delle condizioni economiche e sociali della loro esistenza senza luoghi di formazione adeguati.
Barraco Tarlati Bartolomeo Walter dice
La parola Libertà non è niente se non si aggiunge Democrazia. Democrazia è sinonimo di Civiltà, ebbene oggi che in Italia si sta parlando di una legge elettorale, si soprassede a quel concetto violando addirittura l’articolo 46 del dettato Costituzionale. E pensare che il problema non è una legge elettorale ma la Governabilità, quindi il Parlamento dovrebbe occuparsi di risolvere il problema della governabilità e non della legge elettorale. Tutti sanno che intervenendo sulla legge elettorale nel modo in cui vogliono si toglie un pò di Libertà e di Democrazia, quindi stiamo facendo passi indietro rispetto alla Libertà.