I numeri attestano che la vittoria di Donald Trump è stata epocale. Segna un’epoca che, forse, a causa dell’età, non sarà lui a guidare, ma che è uno spartiacque nella storia USA. Troppo spesso il ‘suo’ elettorato è stato fatto coincidere quasi esclusivamente con la grande maggioranza degli uomini bianchi di mezz’età (e le loro famiglie), con limitato livello di istruzione e redditi medio-bassi. Per tutti costoro le tematiche di genere, gli scontri sul politicamente corretto, le riscritture della storia dell’uomo bianco colonizzatore e oppressore, non erano semplicemente riprovevoli e sbagliate. Politicamente e culturalmente colpivano il loro status sociale. In gioco era la loro stessa identità di americani, osteggiati, isolati, circondati. Certo, i latinos portano via posti di lavoro, ma c’è di più. Portano con sé una cultura di organizzazione familiare, di vita sociale, di musica e di cibo, di forme di svago che non si incontra e non si mescola con quella degli americani ‘come noi’. Anzi, che la vuole più o meno inconsapevolmente sostituire sotto gli occhi amichevoli e beneaguranti degli intellettuali e dei divi, delle grandi università dedite al multiculturalismo e dei quotidiani delle grandi città, come se davvero le culture potessero essere messe tutte sullo stesso livello, dimentiche che «e pluribus unum» (il motto del federalismo USA) indica l’obiettivo dell’integrazione, non la conservazione della separatezza.
Tutti, o quasi, affermano che l’Occidente è in declino tanto quanto, e viceversa, gli USA. Non è accettabile nessuna rassegnazione a quell’esito. Make America Great Again è un compito che restituisce l’orgoglio, la consapevolezza di potere fare quanto altri non riuscirebbero neppure a immaginare. Da un lato, una componente non trascurabile, forse persino crescente dei latinos, si fa coinvolgere: saranno parte attiva del ritorno alla grandezza, prova provata della loro integrazione riuscita; dall’altro, fenomeni simili attraversano non pochi sistemi politici europei: i sovranisti variamente declinati come Veri Finlandesi, Democratici Svedesi, Fratelli d’Italia et al. Vecchi e nuovi americani non chiedono autocritiche, ma desiderano pieno riconoscimento di dignità storica e di cittadinanza. Suggeriscono come (ri)conquistarle perché il loro tempo non è passato, ma futuro.
Che un uomo bianco possa fare tutto questo meglio di una donna di colore, vista con sospetto persino dagli stessi uomini di colore, appare addirittura scontato. Quell’elettorato trumpiano non attendeva nient’altro che l’offerta credibile di riscatto. Madornale è l’errore di credere che la sua motivazione prevalente fosse la paura e che i Democratici offrissero speranza, che, invece, era contrizione per i misfatti dell’uomo bianco e della potenza egemone. Unico sollievo per la leadership democratica è che Trump durerà per un solo mandato. Però, se i Democratici non trovano quel (weberiano) imprenditore politico che sappia delineare una strategia di attrazione attorno al credo americano (opportunità per tutti) e ai valori costituzionali troppo spesso disattesi nei confronti dei cittadini di colore, lo scontro culturale continuerà a premiare i repubblicani trumpiani post-Trump.
Graziano Angeli dice
Abbiamo capito.
Ora torniamo a pensare – anche un Italia – a come ricucire politiche positive e “simpatiche” rinunciando alle retoriche del vaffa e alla (ormai) litania del ritorno dei fascisti. Il tempo ci è necessario: usiamo al meglio.
Cama Giampiero dice
Pienamente d’accorso. Non solo negliUsa, le nuove destre hanno intrapreso una sfida anche culturale che rappresenta il tentativo di rispondere al presunto declino della civiltà occidentale e alla insicurezza identitaria che ne è derivata.
In ballo non ci son quindi solo fattori materiali ed economici (che anch’essi ovviamente contano).
ORESTE MASSARI dice
analisi e spiegazione assolutamente centrali e convincenti.
e valgono anche per la sinistra italiana. E si incrociano con le analisi di Ricolfi.