«Il libro che ha fatto nascere un movimento mondiale»: così è stato definito Liberazione animale del filosofo australiano Peter Singer. Sono passati 50 anni da allora e il testo di Singer è diventato negli anni una sorta di bibbia per tutti i movimenti in difesa degli animali, rappresentando un autentico punto di svolta: il passaggio dalla tradizionale zoofilia − ispirata a sentimenti di amore, pietà e compassione nei confronti degli animali − al moderno animalismo, inteso come movimento filosofico e politico che ha al suo centro la richiesta di giustizia per gli animali in quanto esseri senzienti. Il parallelo con le lotte di liberazione degli umani è un punto fermo dell’impostazione singeriana. Anche nel caso del movimento di liberazione degli animali si tratta infatti di porre fine al pregiudizio e alla discriminazione basati su un criterio – la specie – ritenuto vacuo e arbitrario allo stesso modo della razza e del sesso. Da qui la stretta analogia instaurata tra razzismo, sessismo e specismo, intesi come forme di discriminazione ingiustificabili, fondate sull’egoismo di gruppo e sulla pretesa di perpetuare l’esistente gerarchia di potere. La sconfitta, almeno teorica, del razzismo e del sessismo pone dunque come obiettivo di lotta immediatamente successivo lo specismo. In tal senso il cammino dei movimenti di liberazione non ha fine: ogni movimento di liberazione richiede infatti un continuo allargamento dei nostri orizzonti morali, una puntigliosa rimessa in questione di pratiche ritenute naturali e lecite ma che si rivelano, ad una più attenta considerazione, forme di oppressione.
Non è senza significato che tale continuità tra movimenti di liberazione umana e animale sia stata nel passato sfruttata con intenti parodistici dagli oppositori. Basti ricordare che alla fine del ‘700 il filosofo Thomas Taylor scrisse un libello sarcastico intitolato Vindication of the Rights of Brutes (1792) col preciso intento di confutare l’opera di Mary Wollstonecraft Vindication of the Rights of Women (1791). Taylor intendeva compiere una reductio ad absurdum delle tesi emancipazioniste: riconoscere diritti alle donne avrebbe significato inevitabilmente riconoscere diritti anche agli animali. Egli si rivelò, tuttavia, più che un fine umorista un buon profeta: esattamente un secolo dopo sarebbe apparso un testo significativamente intitolato Animals’Rights (1892) basato su un’impostazione radicalmente nuova, se non rivoluzionaria, del rapporto uomo/animali. L’autore, il filosofo inglese Henry Salt − studioso di Thoreau, amico di Gandhi, fondatore della Humanitarian League e impegnato nelle più importanti riforme del suo tempo (dalla lotta contro la pena di morte alla riforma dei sistemi carcerari, alla rivendicazione dei diritti delle donne e delle minoranze oppresse) – vi elaborava una vera e propria ideologia animalista fondata sulla connessione tra lotta per i diritti degli animali e progresso sociale. Ingiustizia contro gli animali e ingiustizia contro l’uomo sono legate inscindibilmente giacché – scriveva − «rinunciare ai principi di umanità significa inevitabilmente la perdita dell’umanità stessa». L’ispirazione libertaria di Salt si ritrova, un secolo più tardi, nel libro di Singer. Anch’esso riguarda la tirannia degli umani sui non umani, una tirannia – si legge – che ha causato e sta ancora causando una somma di pene e di sofferenze raffrontabile solo con quella prodotta da secoli di tirannia esercitata dai bianchi sui neri. Ancora una volta – Singer lo ribadisce a più riprese – non si tratta di semplice benevolenza o amore per gli animali ma di una richiesta di giustizia, di un appello a principi morali fondamentali, universalmente accettati, la cui applicazione è richiesta dalla ragione, non dal sentimento o dalle emozioni. «Semplicemente vogliamo che gli animali siano trattati come gli esseri senzienti che sono, e non come mezzi per i fini umani». L’assunto per cui chi è interessato a tale problema è un ‘amico degli animali’ (animal lover) è fuorviante: allo stesso modo lo sarebbe definire ‘amico dei negri’, tipica definizione razzista, chi è impegnato nella lotta contro la discriminazione razziale per l’eguaglianza umana. Naturalmente l’affermazione dell’eguaglianza non comporta la negazione delle differenze, talora importanti, tra gli umani e i non umani, differenze che danno origine a diversi diritti. Ciò che si rivendica non è pertanto un’eguaglianza di trattamento ma un’eguale considerazione degli interessi. La caratteristica vitale su cui si fonda tale rivendicazione è la capacità di provare piacere e dolore, comune agli animali umani e non umani. «Quale che sia la natura dell’essere, il principio di eguaglianza richiede che la sua sofferenza sia valutata quanto l’analoga sofferenza di un altro essere». Già da queste sommarie considerazioni emerge la novità rivoluzionaria di una prospettiva etico-filosofica capace di mutare radicalmente i termini della questione animale e grazie alla quale l’attenzione per tale tematica si è andata progressivamente estendendo al più ampio pubblico, con modificazioni rilevanti sul piano del costume e dell’etica sociale, aiutata, occorre aggiungere, da una crescente sensibilità per i problemi ecologici e ambientali. Si è creato, in altri termini, un clima culturale maturo per la discussione di progetti di riforma legislativi e per l’elaborazione di carte dei diritti. Nel 1978 è presentata all’UNESCO la Dichiarazione universale dei diritti degli animali che recita all’art. 1: «Tutti gli animali nascono eguali davanti alla vita e hanno gli stessi diritti all’esistenza». Nel 1986 il ministro dell’ambiente Valerio Zanone presenta un disegno di legge sui diritti degli animali in cui viene introdotto il concetto di biocidio, cioè di delitto contro la vita, che rivoluziona le vecchie impostazioni che vedevano nell’animale un oggetto da tutelare solo in quanto l’uomo fosse stato offeso nel suo patrimonio (art. 638 C.P.) o nella sua sensibilità (art. 727 C.P.). L’animale comincia a diventare un soggetto degno di essere salvaguardato in quanto essere senziente capace di provare piacere e dolore. A Genova, lo stesso anno, si tiene – organizzato dall’Università e dal Centro di Bioetica – il primo Convegno Nazionale sui Diritti degli animali che vede riuniti filosofi, scienziati, giuristi, esponenti del mondo politico, in dialogo con le associazioni protezioniste. Come conciliare – ci si chiede – i nostri standard di giustizia con i maltrattamenti inflitti agli animali? Quali responsabilità morali e giuridiche dovremmo assumerci?
Domande – non dimentichiamolo – che avevano assillato già fin dagli anni ‘50 un profeta inascoltato, colui che può considerarsi il primo teorico italiano dei diritti degli animali, il filosofo Aldo Capitini, che estende agli esseri non umani il valore della nonviolenza gandhiana con un allargamento della nozione di prossimo al di là dei confini della specie. La novità della sua impostazione sta nell’ispirazione religiosa, in quella ‘religione aperta’ che apre a una prospettiva palingenetica di rigenerazione morale dell’umanità, caratterizzata dalla fine della violenza dell’uomo sull’uomo e dell’uomo sugli animali. È tuttavia solo a partire dagli anni ‘80 che inizia in ambito internazionale una approfondita riflessione teologica sul rapporto tra Cristianesimo e questione animale di cui è significativa testimonianza il testo Christianity and the Rights of Animals (1987) del teologo Andrew Linzey. Il tema dei diritti degli animali viene riconsiderato in una prospettiva teocentrica che vede in Dio colui che nella Bibbia assegna agli animali alcuni diritti fondamentali: al cibo, al riposo, alla felicità. All’uomo spetta dunque il dovere di riconoscerli e di rispettarli.
Il problema di un corretto trattamento dei non umani, la ricerca di un rapporto di armonia e di rispetto nei confronti delle altre creature che condividono con noi il pianeta, diviene in tal modo una questione ineludibile per la nostra società, vera e propria avvisaglia, secondo le parole profetiche di Norberto Bobbio, di «una possibile estensione del principio di eguaglianza al di là addirittura dei confini del genere umano, un’estensione fondata sulla consapevolezza che gli animali sono eguali a noi uomini, per lo meno nella capacità di soffrire». Dagli allevamenti intensivi alla sperimentazione, dall’antropizzazione degli habitat alla distruzione della biodiversità, il testo di Peter Singer ha contribuito a sollevare una questione etica che rappresenta ancora oggi per noi una vera e propria sfida. Il lungo viaggio degli animali verso la giustizia è appena iniziato.

Lido Giuseppe Chiusano dice
Sempre puntuali e interessanti le tue analisi e i tuoi commenti che giro subito per conoscenza ai miei figli ed ai miei amici e parenti!