Non ho nessuna ragione specifica, personale, famigliare, amicale, di tipo culturale, neppure politica nel senso di appartenenza, per sentire, continuare a provare un profondo senso di colpa per le leggi razziali e, soprattutto, in maniera dolorosa per l’olocausto. Quel binario 21 della stazione di Milano dal quale intere famiglie di ebrei furono deportate ad Auschwitz e le pietre di inciampo che si trovano anche Bologna per ricordare alcuni di loro colpiscono costantemente le mie emozioni più profonde. In maniera non del tutto spiegabile razionalmente. Nessuno della mia famiglia e dei progenitori è stato ebreo. Non ho avuto compagni di scuola riconoscibilmente ebrei, non professori al liceo e all’Università, e neppure colleghi identificabili come ebrei. I miei scrittori italiani preferiti Cesare Pavese, Beppe Fenoglio, Italo Calvino non hanno nulla a che vedere con l’ebraismo e di ebraismo non hanno scritto. Certo, Lessico familiare di Natalia Ginzburg è un romanzo che ho amato, ma il ricordo ammirevole e ammirato che Bobbio ha fatto di Leone Ginzburg sta su un altro piano. Il mio Pantheon degli antifascisti mette in ordine Piero Gobetti, Giacomo Matteotti, i fratelli Carlo e Nello Rosselli. Quando lessi Se questo è un uomo di Primo Levi mi ero già fatto un’idea di che cosa era stato l’olocausto. La foto dell’ingresso al campo di Auschwitz si era già stampata nella mia mente.
No, non riesco proprio a equiparare il genocidio programmato dai nazisti come ‘soluzione finale del problema ebraico’ e da loro eseguito fino al 27 gennaio 1945 a nessun altro, per quanto grave, sterminio di massa. Pertanto, sono più che riluttante, nettamente contrario ad accusare gli ebrei in blocco e il governo di Netanyahu specificamene di genocidio dei palestinesi. Invece, colgo le sembianze di un possibile genocidio nello slogan From the river to the sea Palestine will be free, non so quanto inconsapevolmente pronunciato da molti, da troppi. Comunque lo ritengo ignobile e pericolosissimo. Non aggiungo controproducente poiché è evidente che quello slogan non agevola e non avvicina nessuna soluzione della rappresaglia, legittima, ma diventata enormemente sproporzionata, del governo israeliano contro Hamas.
Vorrei che, da un lato, fossero continuamente segnalate le responsabilità in questo conflitto di Hamas e dei suoi sostenitori e finanziatori, e dall’altro, fosse e rimanesse chiaro che nessuna soluzione potrà diventare duratura fintantoché i terroristi di Hamas godranno di agibilità politica. La eliminazione di una potente organizzazione terroristica è un obiettivo bellico giustificabile. Non significa certamente genocidio del popolo palestinese. Però quello che va detto a chiare lettere è che anche nei confronti di Hamas e dei suoi sostenitori debbono valere alcuni principi relativi alla proporzionalità della risposta e alla salvaguardia nella più alta misura possibile dei diritti e della vita della popolazione civile. Da questo punto di vista, non solo è opportuno porre l’interrogativo se il governo Netanyahu abbia commesso cimini di guerra. Tenendo quei crimini nettamente distinti dalle accuse di genocidio, è assolutamente doveroso perseguirli imputandoli a chi ne sarà individuato come responsabile sia fra i governanti israeliani sia fra i dirigenti di Hamas.

Eufrasia dice
Grande lucido articolo che mette in risalto anche i crimini di Hamas. Troppi non si chiedono perché Hamas non libera ( vivi o morti) gli ostaggi? A dare una parte di giustificazione ai bombardamenti israeliani? perché continua a far uccidere ( scudi umani a volte) i ‘suoi’ palestinesi?
Claudio Miorelli dice
Grazie per la lucida analisi e chiarimento del significato di genocidio! Penso proprio che i primi responsabili siano i finanziatori di Hamas. Senza nulla togliere alle responsabilità di crimini di guerra del Governo di Israele.
Maria Zanichellli dice
Un articolo splendido, che ci guida in una riflessione doverosa, indispensabile. Grazie Professore
Claudia Mancina dice
D’accordo. Analisi perfetta.