Colin Crouch si faceva una domanda simile una decina di anni fa, ma prima di lui erano stati in molti a chiederselo fin dai tempi di Malthus e Marx. Il capitalismo è finora sopravvissuto, perché ha mostrato una forte capacità camaleontica, adattandosi alle sfide più gravi portate dai movimenti filosofici, sindacali, politici che hanno cercato di contrastarlo, ma soprattutto per la sua capacità di soddisfare bisogni, veri o creati ad arte, dei cittadini delle società liberali in cui il capitalismo si è radicato, a fronte di altri sistemi economici che non ci sono riusciti. Parafrasando un’affermazione di Churchill sulla democrazia, il capitalismo è il peggior sistema economico, salvo che non ce n’è uno meglio. E così si è continuato ad offrirgli una legislazione sempre più favorevole, nell’illusione che la ‘crescita’ economica da esso indotta fosse come una marea crescente, capace di sollevare tutte le barche. Oggi sono sempre di più gli economisti che denunciano i gravi danni di un capitalismo lasciato a briglia sciolta e quindi la domanda che di questi tempi diventa urgente è la seguente: siamo forse di fronte a un punto di non ritorno? Le strade imboccate dal capitalismo per continuare ad affermare se stesso minacciano forse oggi la sua stessa sopravvivenza?
Quattro sono le strade che intendo qui richiamare. La prima è ovviamente la distruzione ambientale, sui cui pericoli non ho bisogno di discettare, perché sono ormai sotto gli occhi di tutti. Qualcosa si sta facendo per invertire la rotta, ma ad un ritmo troppo lento. La seconda strada è la consumazione della società, soprattutto visibile negli Stati Uniti, dove ogni giorno si registrano ammazzamenti che vengono addebitati alla diffusione delle armi. Ma questa è solo una facilitazione rispetto ad una causa più profonda: la progressiva perdita della coesione sociale dovuta alla competizione estrema che spinge i molti perdenti o all’autodistruzione con droghe, oppioidi, suicidi, come ha dimostrato il premio Nobel Angus Deaton nel suo libro Morti per disperazione, o all’odio contro la società che porta alla distruzione degli altri. La perdita dei beni relazionali, in primis la famiglia e i figli, ma poi gli amici, i vicini, le associazioni, desertifica la società come la crisi ambientale desertifica la natura. Non c’è abbondanza di beni materiali e di divertimenti che possa colmare questa carenza, il consumismo rampante non fa che rendere la perdita della socievolezza sempre più devastante. Anche in questo caso, esistono associazioni e imprese sociali che cercano di promuovere la coesione sociale, ma non in misura sufficiente.
La terza strada è quella delle armi sempre più potenti e distruttive. Le guerre ci sono sempre state e sempre hanno portato distruzioni di persone e cose, ma sulle guerre attuali incombe la minaccia dell’uso delle bombe nucleari che possono distruggere l’intera umanità, un esito mai prima implicato dalle guerre, il cui monitoraggio si sta dimostrando assai insoddisfacente. Ma forse la quarta strada, la più recente a cui si è rivolto il capitalismo, è ancora più pericolosa. Il capitalismo oggi non sta distruggendo solo la natura e la società, ma addirittura sta distruggendo la persona umana stessa. La cosiddetta intelligenza artificiale ha come obiettivo di sostituire la persona con algoritmi e robot non solo sul lavoro, ma anche nella sua propria esistenza, offrendo mondi virtuali in cui vivere un’altra vita, che diventa pian piano quella davvero desiderata, se pur esistente solo virtualmente. Già le tre crisi ambientale, sociale e bellica mettono a repentaglio la vita dei più, ma l’intelligenza artificiale colpisce al cuore l’umanità in ciò che è sempre stata ritenuta la sua caratteristica distintiva: quel mix di intelletto, spirito e coscienza fin qui responsabile di tutto lo sviluppo delle civiltà. È inutile che si cerchi di minimizzare questo salto, rassicurando che anche l’intelligenza artificiale può essere messa al servizio dell’uomo. In linea di principio, tutto ciò che è inventato dall’uomo può essere messo al suo servizio, ma in linea di fatto l’uso della tecnologia in tempi recenti si sta sempre di più allontanando dal servizio all’umanità, per servire solo chi possiede tale tecnologia, con il beneplacito delle leggi vigenti, inadeguate rispetto ai recenti sviluppi.
Il filosofo Emanuele Severino ha a lungo argomentato con grande persuasività che a distruggere il capitalismo ci avrebbe pensato la tecnica, in uno dei due seguenti modi: o perché i poteri mondiali si sarebbero persuasi a mettere il capitalismo sotto controllo per evitare la distruzione del mondo o perché il mondo sarebbe scomparso e con esso il capitalismo. Stiamo naturalmente dalla parte della prima opzione, di cui si stanno persuadendo anche alcuni capitalisti, ma si sta sufficientemente diffondendo l’urgenza di agire in tale direzione?
Dino Cofrancesco dice
Completamente d’accordo con Ieraci
Giuseppe IERACI dice
A me sembra che Vera Negri Zamagni sbagli il tiro, nel senso che ciò che lei lamenta credo abbia poco o nulla a che fare con il capitalismo in quanto tale. Distruzione ambientale, beni relazionali, armi e armamenti, intelligenza artificiale: nessuna di queste cosa può essere strettamente ed esclusivamente collegata al capitalismo, in quanto forma di produzione. La distruzione ambientale comincia con lo sviluppo economico pre-capitalistico; le relazioni sono trasformate dal passaggio dalla comunità alla società, che il capitalismo certo accelera ma non crea di sicuro; la corsa agli armamenti esiste da quando esiste l’istinto di potenza, da sempre; l’intelligenza artificiale è uno strumento come altri, un prodotto del progresso, che verosimilmente si diffonderebbe in qualsiasi altra forma di organizzazione sociale e del lavoro. La rivolta contro l’intelligenza artificiale è il luddismo della contemporaneità.
Speravo (come socialista) di trovare nell’articolo quelle che a me sembrano le storture serie (per me, naturalmente) del capitalismo: la scissione ormai completa della finanza globale dalla produzione; l’accumulo di ricchezze spropositate in mano a pochi; la crescita delle disuguaglianze sociali ed economiche, non solo tra le “classi” ma anche entro le stesse classi (tra padri e figli, per esempio); lo sfruttamento di masse diseredate (neolaureati pagati 6-7 E all’ora? Stipendi da fame e orari da 40-50 ore la settimana, e possibile?); l’incapacità di estendere il benessere fuori del perimetro dell’occidente.
Ma di questo, niente.
Biagio De Marzo dice
Il ragionamento è convincente. La risposta alla domanda finale è un ovvio NO, non si sta diffondendo l’urgenza di mettere sotto controllo il capitalismo. Quali strade concrete si possono avviare in quella direzione? con il concorso dei semplici cittadini.