Il termine-concetto ‘resilienza’ nei primi decenni del nuovo millennio ha conosciuto un crescente successo sia a livello di dibattito scientifico in senso ampio che nella cultura diffusa e nelle sfere della politica. Secondo alcuni commentatori, sarebbe addirittura assurto al ruolo di parola-simbolo dell’anno 2020 quando, in piena temperie pandemica covid-19, sembrò poter riassumere in sé una nuova e vincente ‘sfida’ – altra parola allora assai in voga – per significare la necessità di un riorientamento generale di politica, individui e istituzioni, di cui si trattava di immaginare necessarie e inedite alleanze di fronte a un nemico globale che non conosceva frontiere.
Per limitare all’Europa lo spettro d’osservazione, l’apoteosi della ‘resilienza’, nelle sue svariate e positive declinazioni rilanciate a tutto campo da parte della politica, è rappresentata dal documento chiave dell’Unione Europea che segna l’inizio del terzo decennio del XXI secolo, indicando i lineamenti progettuali degli anni a venire: il Next Generation UE. Recovery and Resilience Facility Plan. E il termine verrà poi effettivamente ripreso nei titoli dei progetti presentati dai singoli Paesi e nelle lingue relative. «Costruire un’Europa più resiliente»: ecco il grido di battaglia che verrà congiuntamente posto in risalto dai vertici delle più alte istituzioni europee – Parlamento, Consiglio e Commissione – inaugurando il 9 maggio 2021, in occasione della festa dell’Europa, l’avvio dei lavori della Conferenza sul futuro della UE. Essi sottoscrivono una dichiarazione che mette in risalto, fin dal titolo, il dialogo che, in tale prospettiva, s’intendeva instaurare direttamente con i cittadini, sollecitandone idee e proposte al fine di ridisegnare il ruolo della UE, di rafforzarne la democrazia e il ruolo di protagonista sulla scena globale. Si tratta della Dichiarazione comune sulla Conferenza sul futuro dell’Europa. Dialogo con i cittadini per la democrazia. Costruire un’Europa più resiliente.
Attraverso i lavori, i dibattiti, gli eventi organizzati nel quadro della Conferenza in oggetto e grazie al supporto di una apposita piattaforma digitale interattiva e multilingue, si intendeva dar vita a un processo ‘dal basso verso l’alto’, tendente a coinvolgere in primo luogo i giovani e chiamando la società civile europea ad esprimersi, nell’arco di un anno, su un insieme di tematiche rilevanti quali, per citarne alcune, ambiente, equità sociale, uguaglianza e solidarietà intergenerazionale, problemi migratori, rafforzamento dei processi democratici, ruolo della UE nel mondo.
Ed effettivamente nel segno della ‘resilienza’, la Conferenza sul futuro dell’Europa concluderà ufficialmente i suoi lavori, il 9 maggio 2022 – giornata dell’Europa – con la presentazione di quarantanove proposte alle istituzioni europee, proposte riguardanti nove temi di fondo: cambiamento climatico e ambiente; salute; una economia più forte, giustizia sociale e occupazione; l’UE nel mondo; valori e diritti, Stato di diritto, sicurezza; trasformazione digitale; democrazia europea; migrazione; istruzione, cultura, gioventù e sport. Un rapido giro online nei siti istituzionali della UE, a partire da quello della Commissione, serve a dare una prima sintesi dei lineamenti di fondo dei lavori, della documentazione relativa e degli indirizzi emersi sia in riferimento agli obiettivi generali sia per quanto riguarda le misure indicate. Vi si rileva come la Conferenza, inedita nel suo genere, sia stata «un grande esercizio democratico paneuropeo, con dibattiti guidati dai cittadini di tutta Europa che hanno consentito loro di condividere idee e contribuire a plasmare il nostro futuro comune». Un impegno volto a dare a tutti gli europei più voce in capitolo all’interno delle istituzioni della UE, rafforzandone i legami di appartenenza. Viene inoltre messo in rilievo il forte livello di partecipazione: «Con oltre 5 milioni di visitatori unici sulla piattaforma e più di 700 000 partecipanti all’evento, la Conferenza è riuscita a creare un forum pubblico per un dibattito aperto, inclusivo e trasparente con i cittadini su una serie di priorità e sfide fondamentali». Si mette poi in luce il seguito dato dalla Commissione ai risultati della Conferenza: le eredità attuali di quest’ultima nelle linee d’azione e iniziative concretamente attuate, nei suoi programmi di lavoro.
Alla vigilia delle elezioni europee sembra restare ben poco della sfida di «portare l’Europa oltre le sue capitali», e di portare alla ribalta i cittadini a prescindere da chi sono e dal luogo in cui si trovano, condividendo l’immagine di un presente-futuro resiliente per la UE e da progettare insieme, al di là delle specifiche diversità e differenze. La parola-simbolo ‘resilienza’ sembra addirittura scomparsa dal vocabolario della politica a ogni livello e tanto più se si parla d’Europa. Per quanto riguarda lo scenario nostrano basta guardarsi un po’ intorno nelle spire di una campagna elettorale in atto da mesi e mesi e che ora, avviandosi al termine, ogni giorno aggiunge elementi a uno ‘spettacolo’ in cui i partiti politici appaiono assai scarsamente interessati – per usare un eufemismo – a discutere in profondità di Europa, assatanati come sono, a misurare soprattutto il proprio consenso elettorale interno e in primo luogo quello dei loro leader. «E il modo ancor m’offende», potrebbe giustamente commentare ogni cittadino che davvero abbia a cuore le sorti d’Europa e che ambirebbe a essere chiamato a decidere a chi dare il suo voto, sulla base della serietà dei programmi e della competenza dei candidati rappresentanti in lizza. Tramontati in ogni dove gli appelli alla resilienza consapevole, da parte dei singoli individui, oltre che della società civile nel suo complesso, quali sono ora le idee aggreganti del politico e nella fattispecie in tema di Europa?
C’è ancora da qualche parte l’idea di una resilienza che fra presente e futuro deve far perno su una alleanza tra cittadini e istituzioni? Nel segno di quale progetto? Interrogativi vuoti, vera e propria perdita di tempo per politici che chiedono all’elettore soltanto un atto di personale fedeltà assoluta indicando il loro nome sulla scheda, anche sapendo a priori che essi non andranno al Parlamento europeo. Agli elettori/seguaci dei vari leader o esponenti politici in campo e che rispondono semplicemente ai soliti slogan urlati, non importa certo un programma per l’Europa… A questi elettori puntano in larga parte le forze politiche, magari le stesse che poi, a elezioni avvenute, saranno pronte a lamentarsi di un eventuale e probabile alto livello di astensionismo e, senza alcun pudore, lo ascriveranno all’indifferenza dei cittadini, fingendo di ignorare che a ingrossarne le fila potrebbero aver contribuito anche coloro che hanno ancora la forza di aspirare all’idea del ‘cittadino come arbitro’ di un’altra politica.
Fulvio Attinà dice
Concordo con l’argomento che la ricerca del consenso elettorale dei politici di oggi sfugge a qualsiasi responsabilità, ma è possibile che nel lungo sviluppo della crisi mondiale attuale vengono fuori politici europei responsabili. L’Europa federale è dietro l’angolo: dietro l’angolo dell’attuale processo di crisi e cambiamento del sistema mondiale. Al termine di questo processo, i governanti europei decideranno di compiere un altro passo della ‘resilienza’ europea. L’integrazione europea è iniziata dopo la guerra mondiale, evento critico al quale i governanti europei hanno risposto creando istituzioni e politiche europee mentre i cittadini assistevano consenzienti. L’integrazione ha fatto un passo avanti all’inizio degli anni Settanta. Giscard d’Estaing, Helmuth Schmidt, Aldo Moro e altri governanti dei paesi membri hanno avviato nuove politiche comuni per rispondere a eventi critici mondiali come la fine della parità oro-dollaro, il rincaro petrolifero e le inappropriate politiche americane in Vietnam e Medio Oriente. Dal 1985, Delors, Genscher, Colombo e altri politici europei hanno aperto la stagione della riforma dei trattati per rispondere alla perdita di competitività mondiale dell’economia europea e alla perdita di ‘voce’ dell’Europa nel mondo nel quale entrava in scena la Cina. Tenuto conto di questa storia dell’integrazione, la ‘resilienza’ europea è un fenomeno reattivo a crisi di scala mondiale ed è operata da politici responsabili che riconoscono di avere il consenso dei cittadini che i movimenti europeisti alimentano.